lunedì 4 giugno 2012

L'età del ferro

Sono entrato nell'età del ferro. Appesantito dallo stile di vita e da un'ernia del disco che non voglio stuzzicare col mio jogging suburbano al piccolo trotto mentre attraverso quartieri periferici o parchi, passando lungo muri perimetrali di capannoni dismessi incisi da rabbiosi graffiti geroglifici compresi a mala pena dai loro autori, ho tirato fuori dal mio sgabuzzo un paio di vecchi manubri di ferro rugginosi e mi sono messo in men che non si dica ad esercitarmi facendo attenzione a non gravare sulla schiena con esercizi mirati. E a proposito della mia ernia del disco , tanto per intenderci, ogni volta che qualcuno mi guarda e tratta come una specie di invalido, rispolvero la vecchia battuta d'occasione che feci all'infermiera dal San Paolo mentre mi riportava in barella in corsia dopo la tac: è meglio un'ernia del disco che un disco di Leone di Lernia . I manubri vanno bene perchè non ho né il tempo né la voglia di recuperare una silouette gradevole ammazzandomi di diete e addominali del detenuto ed esercito i pettorali affinchè la pancia si noti meno, un po' alla Mickey Rourke, una cosa molto heavy metal o piuttosto metalmeccanica ludicomotoria. Le donne sì che hanno un grosso vantaggio, specie le più giunoniche e pettorute, a queste la pancia e quando la noti, se poi sfoggiano un bel decoltè? Così col corpo ancora caldo per un allenamento di media intensità, esco, la giornata è di quelle che meritano, c'è il sole, roba da celebrare come un evento, in questi lidi lombardoveneti . E dalla periferia di Milano, che mi piace immaginare essere periferia del mondo , col solito autobus 325, in mezzo al sartiame di passamano e reggipasseggeri, passo lungo il naviglio di Corsico in direzione Romolo , fermata di riferimento più vicina della metro . Poco dopo siedo in un treno completamente ricoperto di graffiti realizzati con rischio di notte da scrittori o pittori o tatuatori di mezzi pubblici urbani cui non basta un quadernetto o la tastiera di un pc per dire al mondo che esistono e che hanno qualcosa da dire, se non altro celebrare le grigie pagine cementizie del quaderno di vetrometallo di questa città civile che per farsi fare un pompino ha bisogna della scusa di un centro massaggi cino-thailandese dietro separè colorati adorni di pappagalli muti e silenti che hanno il pregio di farsi i fatti propri durante l'espletamento di certe pratiche che risalgono alla notte dei tempi e che non si ha il coraggio di chiedere alla propria moglie forse perchè a furia di vivere da queste parti ne ha assunto la patina grigia dei quaderni-muri del circostante laterizio. Seduto su questo treno del metrò, osservo i passeggeri , in prevalenza ragazze dai trenta in giù, sedute una a fianco all'altra , mentre si esercitano nell'attività prevalente di questi tempi moderni e tecnologici consistente nello smanettare febbrilmente il proprio iphone. Ci sono anche degli uomini che riescono a farlo in piedi con una sola mano mentre con l'altra si reggono a qualcuno di questi pali da lap dance che hanno il compito di non farti cadere addosso agli altri come un birillo da boowling ogni qualvolta il treno della metro frena e riparte seguendo il suo ritmo elettroencefalogrammatico. Ciascuna di queste ragazze postmoderne invade la contemporaneità con una propria tecnica di digitazione dell'iphone, chi con i pollici delle due mani, chi con pollice di una mano e indice dell'altra, chi con una sola mano che fa tutto, reggere il cellulare last generation e digitarlo col un pollice solo, come acrobati involontari del multitasking circense .Non si capisce cosa abbiano da scrivere così tanto né tantomeno a chi in un paese che non sa scrivere, non sa parlare e , soprattutto, non sa leggere . Roba da scomodare Lamarck e la sua teoria evoluzionista basata sull'adattamento degli arti degli esseri viventi all'ambiente, tra un po' avremo ragazze coi pollici simili a polpacci di Maradona . Ad un tratto una di queste girl assolutamente non di Ipanema , si alza in piedi e comincia ad osservare in fondo allo scompartimento , saluta con mano un'amica con cui si stava messaggiando , ma dico io due passi fino da nei no? Non ti vengono mica i calli ai piedi, fanno prima a venirti alle dita. E poi c'è uno con un tablet, gira le pagine di uno scritto col dito indice con una velocità impressionante, almeno la metà del tempo che impiegherebbe a girare la pagina di un testo cartaceo . Suo nipote dirigerà orchestre senza bacchetta . Quando arrivo in Stazione Centrale scendo dal treno e mi dirigo verso la missione da compiere che non consiste nel prendere un treno per Saint Tropez o per Saint Morritz , né un taxi per la prossima sfilata di Giorgio Armani ( quella dalle proprie responsabilità di aver messo una minuscola aquila bianca su magliette nere che pare la deiezione di un piccione facendosele pagare più di un salario mensile cinese ciascuna), si tratta di ben altra missione: comprare dei quaderni in carta riciclata e delle tratto pen ad alcool così che io possa imbrattarli con i miei strali da artista fallito da chi considera arrivato e di successo solo chi siede nel salotto della Bignardi a pontificare di panetterie e New York cercando di convincerci che fra le due cose c'è una relazione indispensabile da comunicare al genere umano. Non lo capiranno mai che il giorno in cui vedranno un mio libro in una sporta dell'Esselunga vicino a delle mozzarelle o peggioancora a dei sofficini , sarò diventato un prodotto di mercato pure io e mi comporterò come i suddetti sofficini finendo in padella cotto mangiato e digerito , dimenticato la mattina dopo appena alzati alla prima seduta sui sanitari della giornata . Prendo delle scale mobili e mi trovo catapultato all'interno di quella specie di stazione spaziale che è diventata la Stazione Centrale di Milano . Tutti intorno a me camminano , schivano gente all'ultimo istante, prendono scale mobili , digitando sul proprio iphone mentre danno un'occhiata barbina al modello di un manifesto ammiccante e tutto questo tutt'insieme e mi verrebbe da ammirarli se non fosse perchè penso , ma questa gente, queste ragazze per lo più, riescono ancora a fare l'amore come ai tempi di Adamo ed Eva o sono diventate delle specie di Moana Pozzi postatomiche che parlano al cellulare pure in quel momento mentre la telecamera di Dio Cupido inquadra solo quelle parti lì in basso? Mentre mi involo su dei tapis roulant e mi sento Philip Dick in un suo romanzo di fantascienza, mi cade lo sguardo su dei maxischermi che trasmettono h 24 pubblcità di vestiti e profumi di marca ma che in realtà, non sia mai, sono stati messi lì come prove generali per il prossimo golpe e da un momento all'altro qualche bellimbusto apparirà per dirci che è in vigore lo stato d'emergenza e che fra un po' partirà il coprifuoco senza riuscire a sentire la mia battuta immediata che fa, ma quale stato d'emergenza, quello che c'è sempre stato? L'emergenza è la forma di governo degli ultimi cinquant'anni in questo paese ed ha consentito in nome di questa presunta precarietà di schiavizzare milioni di persone e di far perdere loro qualsiasi speranza di vivere dignitosamente facendoci credere che tutto quel che si stava facendo da parte di loschi individui che invitavano a stringere la cinghia mentre loro se l'allentavano a furia di trigliceridi da cene di palazzo, era per il nostro sacrosanto bene. Una volta in cima davanti agli schermi di arrivi e partenze con sempre maggior sentore di essere in realtà derive e approdi, un mucchio e una sporta di senegalesi in vestiti sgargianti colorati e tradizionali, osservavano quei numeri di orari illuminati elettricamente come uomini della giungla amazzonica marziani con cornini ricetrasmittenti . Poco dopo scendo per delle scale deserte, la gente non le prende nemmeno per scendere, e mi ritrovo su un lato della stazione, dove , seduti su un gradone circondati di cartoni da supermercato, un gruppo di barboni marocchini fumano e bevano birre becks avendo capito tutto della vita e oziando della grossa, dal momento che se il fine del ben vivere è arrivare a non fare niente avevano deciso di portarsi parecchio avanti. Magri, olivastri, tatuati, barcollanti per l'alcool ingurgitato a prescindere dal cibo, fumavano sbuffando come locomotive ottocentesche all'ultimo viaggio prima della rottamazione e si godevano quel loro ozio come dei piccoli macilenti Bukowski assolutamente senza pretese letterarie , interpretando al meglio il ruolo di barboni senza vergogna, pronti a godersi le tiepide notti dell'estate incipiente, fumando e sbuffando alla luna, gracchiando alle divise e sorseggiando l'ultimo nettare batesoniano che danzerà la danza dei coltelli con i loro fegati allenati al peggio. Sul piazzale Duca D'Aosta me ne sto a guardare il Pirellone questa specie di gigantesco fallo cementizio piantato ad arte nello sfintere della Lombardia tutta, mentre tutt'intorno un mucchio di altri falli cementizi col fumetto di Generali, Radio 105, Mini Hotel Aosta in cima ai terrazzi come inevitabili creste di gallo che testimoniano la loro promiscuità , fanno a gara a dare l'assalto al creatore come piccole insignificanti Torri di Babele che Dio non degna neanche del più distratto sguardo, magari perchè ha messo il telecomando sul terremoto in Emilia . Dietro il Pirellone altri grattacieli fallici con un enorme numero illuminato di rosso in cima, quasi a mò di birilli identificativi per la prossima palla bomba da boowling scagliata da qualche paria estromesso dalla grande torta del potere, qualche sorta di altro Bin Laden di cui s'è perso il controllo. Intorno alle aiuole, venditori abusivi di occhiali da sole hanno messo in mostra le loro mercanzie , inforcano a loro volta i migliori manufatti della loro merce, guardandoci tutti come le Iene di Tarantino . Mi siedo ad un Mac Donald e una pazza urla qualcosa di incomprensibile contro la carne che si vende lì. Passa e spassa davanti e dà grossi colpi con un bastone sulle griglie delle biciclette dell'atm, andandosene via, con l'urlo che si sente sempre più flebile, mano mano che viene inghiotita dall'Enterprise della Stazione...

Nessun commento:

Posta un commento