domenica 9 dicembre 2018

Bansky, echi di una mostra, Mudec Milano 09/12/2018

Una bella giornata di sole, Milano, una domenica fredda ma tersa, priva di foschia. Decido di andare al Mudec, Museo delle Culture, dove danno una mostra su Bansky. La fila dura una mezz'oretta , al contrario della mostra su Friha Kahlo, dove ho dovuto attendere circa 3 ore. E questo è il primo dato che mi sembra interessante. Frida Kahlo non fa più paura, la sua arte i suoi scritti, sono stati inglobati e digeriti nel tritacarne del sistema di potere. E' diventata potere, funzionale icona di un opposizione sistemica che serve solo a poter dire che il capitalismo permette le critiche: in materia di femminismo, per esempio. Anche il femminismo è stato digerito: le donne hanno posti di potere ma si comportano con gli stessi criteri degli uomini, dei maschi. La facciata è salva, però. Bansky ,evidentemente, per i suoi messaggi antipotere fa ancora paura. Non più di tanto, comunque, come diremo. In fila c'è un mucchio di gente e resto in ascolto. Disdicono prenotazioni al ristorante, scrivono su Facebook che sono alla mostra su Bansky. Così, come qualcuno che voglia vantarsi che ha qualcosa di importante da fare. Di CULTURALE!. Una volta entrato registro nella mente alcuni pensieri aforismatici: 1) la gente riconosce la cultura quando deve pagare per vederla 2) ora capisco il vero senso del benessere della pratica del qi gong per un occidentale :resistere alle code e trasformarle in meditazione...sempre che si riesca a estraniarsi dal chiacchiericcio molesto...e senza distintivo. All'ingresso della mostra alcuni pannelli riassumono per iscritto il personaggio: un artista inglese di cui non si conosce l'identità ( le sue opere sono realizzate in contesti urbani di nascosto dalle polizie di mezzo mondo) che pesca le scaturigini del suo lavoro nelle avanguardie artistiche e culturali anarchiche che risalgono agli anni '50 e '60 nel mondo anglosassone. Stati Uniti in cima. Sostanzialmente Bansky è definito un graffitaro, perché all'origine pare che fosse questa la sua attività artistica prevalente. Ma in realtà è un artista visuale, ingiustamente paragonato a Andy Warhol. Una delle sue idee guida consiste nel saccheggiare opere già note intervenendoci su con modifiche che rendano quella stessa opera un'altra opera, un opera a se stante. Le tematiche trattate sono decisamente anarchiche, antibelliche, anticonsumistiche e in difesa dei migranti. Una delle figure da lui maggiormente ritratte è quella del ratto. I ratti rappresentano i reietti della società, gli ultimi, quelli che abitando le fogne sono il gradino più basso della scala sociale. Sulle pareti delle sale sono affisse incorniciate alcune delle sue opere più famose: dalla ciambella gigante trasportata su un blindato scortato da agenti di polizia, all'immagine di due selvaggi armati di lancia che individuano in due carrelli del supermercato degli strani mostruosi animali da abbattere, alla bambina povera tenuta per mano da due Mickey Mouse della Mac Donald, per non parlare dei due duri di Pulp Fiction con in mano due banane al posto delle pistole. Opere in parte disegnate, in parte nate da foto modificate, in parte ancora costituite da stencil stesi su pareti di numerose città del mondo, comprese alcune aree del conflitto arabo-isrlaeliano. La caratteristica del personaggio è la sua invisibilità. Realizza opere dal forte impatto visivo, in luoghi precisi delle grandi aree urbanizzate. Opere che durano pochi minuti, perché subito cancellate dalle cosiddette AUTORITA' COSTITUITE. In un documentario proiettato in una sala al termine del percorso si vede Tony Blair che cancella un graffito raffigurante due poliziotti inglesi maschi che si baciano in bocca. Opera dalla provocatorietà devastante. Famosissimo un graffito realizzato nei pressi dell'ambasciata francese a Londra, che raffigura Cosette, personaggio principale de "I miserabili" del romanziere Victor Hugo, sullo sfondo della bandiera francese, con in basso disegnato il candelotto di un lacrimogeno. E a destra un QR code connettendosi sul quale, con un normale smartphone si poteva accedere alla visione di un video, postato su internet, che mostrava gli scontri della polizia francese con i migranti di Calais, nel 2016. Un opera geniale, a mio modo di vedere. Geniale perché sfrutta a pieno ogni tipo di forma espressiva, dallo stencil per l'immagine di Cosette, al graffito per il lacrimogeno, al QR per l'interattività con internet. Ora io non ho idea se i curatori della mostra (prezzo 14 euro, ma li vale) versino dei contributi all'autore -che sospetto essere, più che una persona singola, un consorzio di persone ben organizzate (non si capisce altrimenti come possa un uomo da solo aggirare le telecamere di sorveglianza di un'ambasciata o entrare in un museo a Bristol , disseminandolo di opere complesse e ingombranti ,geniali gli hotdogs semoventi nei panini)-, ma il fatto stesso che questo fantasma dell'arte diventi oggetto di culto ed entri nella stessa catena consumistica che si picca di criticare aspramente con le sue opere, rischia di porlo al servizio del sistema stesso che combatte. Sotto questo profilo Vysockij, il cantautore-poeta ribelle , morto nel 1980, che sposò l'attrice francese Marina Vlady, boicottato nella grigia e liberticida Unione Sovietica, le cui canzoni registrate clandestinamente su mangianastri di fortuna circolavano a milioni nelle case sovietiche, rischia di apparire addirittura più eversivo e dirompente. Ma non voglio fare i conti in tasca a nessuno. La mostra vale la pena di essere vista. E le immagini delle opere di Bansky hanno un impatto sulla mente degli spettatori deflagrante. Costringono a riflettere. Sono un pugno in faccia in una giornata di tramontana. O la risata roca di un cantante giamaicano alla venticinquesima canna. E sicuramente mi confermano che nei tempi contemporanei in cui l'immagine è più fruita della parola scritta, la sua forma d'arte è destinata a lasciare un segno.