sabato 12 marzo 2011

Primo giorno lisboeta







Esco dall'hotel, sono in zona Jardim Zoologico, prendo la metropolitana. Mi spiegano che per andare in centro, nella zona intorno al porto, devo prendere la linea blu e scendere a Restauradores. Chiedo al punto informazioni, una ragazza carina,carnagione bianchissima, magra, esile, capelli scuri ricci e lunghi, con piccole atmosfere carnacee nei punti giusti-che poi risulterà essere lo stereotipo della donna portoghese- mi dà un cartoncino verde, valido un anno, che devo ricaricare volta per volta del credito necessario alle corse. Davanti all'ingresso della metro ci sono dei distributori metallici di quotidiani gratuiti e , pensate un pò, pieni zeppi del familiarissimo "Metro", distribuito nella metropolitana a Milano e in altre città italiane, l'internazionale della notizia quotidiana gratuita, la globalizzazione dell'informazione di giornata a costo zero per l'utente. Attendo il treno che mi porterà a destinazione, sulla pensilina. Le pareti sono decorate di piastrelle bianche che fanno da sfondo a tucani, scimmie e altri animali stilizzati, in uno stile moderno e pittorico. La gente in attesa è variopinta, multietnica, un mix di provenienza o origine dei paesi colonizzati dal Portogallo antico, in Africa, Sudamerica, Asia. Non c'è una faccia uguale, non c'è un volto ordinario, e benchè non siano facce che si sbellicano dalle risate non hanno la cupa tristezza delle nostre facce nella metro milanese. Facce serie, che non hanno cessato di ridere dentro, non ancora preoccupate, nonostante tutto. Sui display annunciano di stare attenti agli scippi e ai furti con destrezza, in particolare nei treni affollati e ai cambi di linea.
Scendo a Restauradores. Mi ritrovo in Rua da Liberdade, guardate un pò, quasi il destino mi volesse continuamente ricordare ciò a cui tengo più per me stesso e per il genere umano. I marciapiedi sono costituiti da mosaici di pietre incastonate sapientemente l'una con l'altra, pietre bianche e lucide che luccicano , lievemente umide per la pioggerella alternata, che si affaccia fastidiosa a tratti. Migliaia di persone di un pianeta multietnico vi passeggiano, nere con bambini in passeggino o in braccio, asiatiche di carnagione olivastra, qualche bianco portoghese che resiste alle contaminazioni ricavandone una bella faccia cadaverica e smunta circondata dalla solita aureola di fumo di sigaretta, che fumano in continuazione - le sigarette portoghesi si chiamano Portugues e c'è al versione rossa o blu, a seconda della pesantezza, così com'è convenzione globalizzata nel mondo tabagico-. Mi ritrovo in Praça D. Pedro IV , una bella piazza di pietra bianche iridescente sotto il sole che fa capolino in quel momento. Sono davanti ad una fontana e una nera alta due metri mi passa davanti ancheggiando elegantemente come una regina africana in libera uscita, mentre in un bar poco lontano una ragazza portoghese dai capelli lisci e neri corvini tenuti legati dietro al collo, fuma sapidamente una sigaretta "portugues", fra un sorso d'espresso e un pericoloso sguardo sghembo catturaconsensi. Sullo sfondo le case dai tetti rossi dell'Alfama, la medina lisboeta. Le piazze della città sono i loro ombelichi che guardano come occhi involontari verso il cielo, che, a sua volta, è l'unico e onnipotente ombelico di Dio il quale , evidentemente, non riesce a posare il suo sguardo su tutti gli ombelichi del pianeta. E poichè l'uomo odia gli spazi aperti perchè gli ricordano la possibilità di essere libero, ci sono sempre meno piazze e sempre più condomini-prigioni. E meno piazze vuol dire meno manifestazioni di dissenso per il potere. Almeno speriamo tutto ciò serva a Dio, ed a fargli riprendere il controllo della situazione. Mi ritrovo in Rua Augusta, una lunga strada dal pavimento acciottolato, che termina con un immenso arco, dietro il quale intravedo il mare. Chiedo ad una fioraia che vende le sue mercanzie floreali lì in mezzo alla strada di farmi una foto su quel magnifico sfondo. Lei non si fa pregare. Poi mi dice di stare attento al mio zainetto, perchè è pieno di scippatori. "Romenos", mi urla. (Più tardi una signora alla fermata del tram ventotto - a proposito loro i tram li chiamano "eletricos"- smentisce la teoria dei romeni-zingari scippatori, "la cosa grave", mi dice," è que son portugueses"). Ho fame e mi siedo a mangiare sardinhas asadas( sardine arrostite) sedendomi ad uno di quei tavolini al centro di Rua Augusta. Innaffio tutto con "Duas garafas de Sagres", due bottiglie di birra Sagres, la saporita birra portoghese che sanno servire alla temperatura giusta. Alla brasiliana, potrei dire. Per oggi derogo alla dieta vegetariana e sono largamente ricompensato da queste delizie gastronomiche: pesce freschissimo e saporito. Del resto detesto gli integralismi e fumare di quando in quando, bere un bicchiere di vino e mangiarsi un panino con la porchetta aiuta a goderti una vita che, vada come vada, nella sua fase calante, nutrirai comunque a pillole. Proseguo lungo Rua Augusta, attraverso quel suo meraviglioso arco e mi trovo davanti la spianata di Praça do Comercio e davanti ancora il mare. Ho preso un aereo alle sei e mezza di mattina per godermi tutto questo, per vedere il mare , scambiate iodio con odio, osservare le onde e cogliere nelle loro increspature le rughe d'espressione, le facce allegre o tristi o maliconiche, ma comunque vive, degli abitanti delle città di mare, quasi copiassero dal mare e si lasciassero suggerire i sentimenti dall'immensa e multiforme-cangiante, faccia idrica , che è il mare. Per contro alle facce degli abitanti delle città dove il mare non c'è, che hanno la stessa espressività dei metalli inerti e del calcestruzzo armato di cui sono circondati. Resto lì in contemplazione del mare. Mentre un uomo, un marocchino alto due metri con un cappotto nero e dei denti catramati, mi si avvicina cercando di vendermi dell'hashish. In pieno giorno e con a due passi poliziotti in assetto di guerra e vigili urbani su dei simpatici ed ecologici dueruote elettrici. "Voçe è brasileiro"?, mi fa il marocchino. "No, italiano".
"Cinquanta euro per questo. Mi mostra una stecca enorme di hashish. Saranno due etti. Mi chiede cinquanta euro. Io dico che non sono ineterssato. Tira fuori un'altra stecca e dice di volerne vendermene due allo stesso prezzo. Io declino. Poi aggiunge una busta incredibilmente enorme di mariujana. "Amico, fermati, come fai a nasconderti addosso tutta quella merce?". Per tutta risposta mi fa"vuoi coca, gli italiani impazziscono per la coca". Mentre gli rispondo di no, che non mi interessa per niente, chiama un vecchio e si fa passare delle bustine. Il vecchio è il suo deposito ambulante. Un vecchio dai capelli bianchi con la barba lunga da imam che nessuno si sognerebbe mai di perquisire. "Tieni, tutto cinquanta euro". "Sou brasileiro", gli dico, e vado via. Vado verso il mare driblando un altro paio di spacciatori. La piazza termina con una scalinata digradante verso l'acqua e con due colonne. Su ciascuna delle colonne ci sono due vanitosi gabbiani in posa, che amano farsi fotografare dai turisti e che mi suggeriscono l'idea che , in fondo, anche gli animali hanno un anima e dei sentimenti. E che, anche loro, non possono fare a meno degli umani difetti.

"viaggiare dovrebbe essere fermarsi più a lungo e girare di meno, forse si dovrebbe addirittura istituire la professione del viaggiatore solo per chi ne ha la vocazione ed è di gran lunga in errore chi crede che sarebbe un lavoro di poca responsabilità, ogni chilometro non vale meno di un anno di vita. Alle prese con questo filosofare , il viaggiatore finisce per addormentarsi, e quando al mattino si sveglia, ecco davanti agli occhi la pietra gialla, è il destino delle pietre, sempre nello stesso posto, a meno che non venga il pittore e se le porti via nel cuore"

Josè Saramago, Viaggio in Portogallo

Buona giornata e buona fortuna

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