venerdì 25 gennaio 2013

Un angelo nero caduto dal cielo

Correvo sotto l'acqua, in tuta, una tuta attillata da ballerino, all'interno del paese, un paese della cintura milanese, dove abitavo, dove abito, dove , in definitiva, non ho mai abitato, visto che non conosco nessuno, ma mi va bene così, la popolarità non mi piace, sa di dittatura, di bugie, di spettacolo, io sono una persona autentica. Vidi una donna con l'ombrello ferma sul marciapiede, una nera con scintillanti e grossi orecchini rotondi d'oro, vestita con un soprabito antico ma elegante, sembrava uscita dai fumetti di Hugo Pratt, sembrava la maga brasiliana di Bahia innamorata di Corto Maltese, le mancava una lunga sigaretta in bocca e un tavolino con i tarocchi sparsi davanti. Mi fermai. La osservai. Lei mi sorrise come se mi conoscesse. Era grande d'età, nè vecchia, però, nè troppo giovane, nè milf d'immaginazione segaiola, una donna seria, una di quelle che avrebbero aspettato una vita il marito a casa di ritorno dalla fazenda morto di fatica per lenirgli le ferite e lavargli i piedi, come un Gesù Cristincroce. Vuoi conoscere il tuo destino, mi chiese ? Sì,risposi senza riflettere troppo. Richiuse l'ombrello e mi invitò a entrare in un portone. Facemmo un piano a piedi e subito fummo in una sala abbastanza ampia e buia. C'era un tavolo al centro e lei mi invitò a sedermi. Cosa che feci con una certa calma. Ero stranamente calmo, pacificato, l'atmosfera intorno era ovattata come dopo una nevicata. Entrò in un'altra stanza che doveva essere la cucina. Dopo cinque interminabili minuti, praticamente un'era glaciale intera, tornò con delle tazze e una teiera. Bevi, disse, un pò di tè speciale. Io presi la tazza, lei mi versò il te' e bevvi. Aveva uno strano sapore d'erba, non sembrava un gusto che avessi già assaporato, aveva un sapore, come dire, ultraterreno. Bevve anche lei, in silenzio. Intorno a noi c'era la penombra e un mucchio di sedie apparentemente vuote, che mi davano l'idea di essere invece popolate di creature invisibili. Stai tranquillo, disse, sono i miei amici, mi tengono compagnia, vengono da molto lontano, e sono anche molto lontani, ma sedendosi a casa loro si siedono contemporaneamente anche da me. Riesci a capire? Chiese. Vagamente, dissi. Oh no, disse, capisci eccome, tu sei come me, solo che non lo sapevi. In che senso, chiesi. Sei come me, vivi di aria, di fumi, di pensieri, vivi nel passato presente, in un'altra era, in un altro pianeta, su un altro piano. Capisco, dissi. Cominciamo, dissi ancora. Apparve nelle sue mani un mazzo di carte e cominciò a mischiarle. Le sparse sul tavolo. Non vedevo il fondo del tavolo, doveva essere di vetro trasparente , era come se le carte restassero sospese, in aria, eppure non cadevano. Me ne fece scegliere alcune, a piacere, poi tirò via le altre e le scoperse. Erano disposte a semicerchio. Diedi un'occhiata sommaria e fra dieci carte mi soffermai su La Morte. Che significa , chiesi. La Morte non significa La Morte, indica che qualcosa sta morendo e che sta nascendo qualcos'altro. Cosa? chiesi. Stai per rinascere ancora una volta, la tua vita è un libro e sei al capitolo successivo. Ora però sta a te scrivere la storia. Morirò? Le chiesi. Non si muore mai veramente, qualcosa di noi resta sempre nell'aria, sulle pareti delle case che abbiamo abitato, nei letti dove abbiamo dormito o fatto sesso, sulle strade dove abbiamo camminato e persino sulla pelle dei corpi con i quali ci siamo amalgamati. Morirò? chiesi ancora. Non si muore mai, si cambia solo di stato. Fammi vedere cosa mi aspetta, chiesi. Attese un interminabile istante. Poi disse:" va bene, chiudi gli occhi". Aveva un viso fiero, denti bianchissimi, occhi penetranti, zigomi sporgenti ma aggraziati, pelle d'ebano e gli orecchini d'oro le illuminavano i lati del viso donandole un alone mistico. Chiusi gli occhi. Mi incamminai per un canyon illuminato da una luce appena antelucana, intorno a me non vedevo nessuno ma avvertivo delle presenze. Mi sentivo come su un tapis roulant, camminavo, camminavo, ma intorno lo scenario era sempre uguale. Rocce, deserto, strade sterrate, strade morte, Messico dell'anima. Poi lentamente incominciai a vedere qualcosa. Delle forme umane. Erano donne, avvolte in una sorta di burqua e gesticolavano come al rallenti. Sembrava volessero dirmi qualcosa. Mi si fece avanti una di queste creature e io la interrogai. Dove siamo qui? chiesi. Da nessuna parte e ovunque, rispose. Siamo all'inferno?, chiesi. Non siamo all'inferno, l'inferno è la tua vita. Ma io non sono infelice, non sto male, ho un lavoro, dei genitori ancora in salute, tanti amici. Non ti manca proprio niente? chiese la donna-fantasma. Ci pensai su un momento. Mi pare di no, dissi. Lei sorrise e fece per accarezzarmi. Mi prese per mano e mi fece entrare in una stanza. Mi fece stendere su un letto. Poi si tolse il burqua, si denudò. I suoi seni dritti all'insù mi ricordavano la vitalità degli ultimi momenti di antilopi sotto le fauci di leoni, era una scultura vivente, di pelle nera. Le osservai il viso. Era lei. La maga che avevo incontrato per strada. Con un gesto della mano chiuse la porta. Si distese su di me. Aveva ragione, la mia vita era un inferno, per questo gli angeli hanno pietà di noi e scendono dal cielo per allietarcela.

Nessun commento:

Posta un commento