domenica 22 settembre 2013

Safari fotografico a Lambrate, zona archeologica industriale( 21/09/2013)

Sabato pomeriggio, fine settembre , mi incontro alla stazione di Lambrate col fotografo Cesare Dal Farra. L'intento è quello di eseguire un safari fotografico nei dintorni e verso via Rubattino dove ci sono ancora in piedi capannoni della ex Innocenti. In piazza Bottini cominciamo a fotografare , ci sono dei punkabbestia con i loro cani che chiedono l'elemosina vestendo all'ultimo grido e bevendo birre da 5 euro a lattina, uno con la cresta da mohicano mi mostra il dito medio e mi minaccia, io gli rispondo che non è che sia così tanto fotogenico ora che Balotelli li ha sdoganati come look . Lì al loro lato c'è pizza Mundial, un forno che sforna in continuazione pizze, pizzette e altre leccornie dello snack veloce a pochi spiccioli , infatti il posto e iperaffollato di gente di tutti i tipi, anche molti italiani che visti i tempi di crisi incombente hanno smesso di avere la puzzetta sotto il naso in quanto a cibi take away per lo meno. Ci avventuriamo a piedi nelle strade limitrofe scattando alcune foto a muri completamente ricoperti di graffiti, l'intera città di Milano è ricoperta di graffiti, alcuni bellissimi altri meno, alcuni altri decisamente brutti o insignificanti. Ma io sono dell'idea che comunque anche un segno brutto che interrompa la monotonia di un muro grigio segnando il passaggio di qualcuno che lo ha tracciato dia un segno d'umanità ad una contemporaneità urbana che ne è sempre di più priva. In una piazza alberata lì da qualche parte ci sono delle zingare dai vestiti sgargianti e variopinti che io fotografo di sgamo mentre subito dopo Cesare Dal Farra mi dice che chiedere non costa nulla e in genere predispone il soggetto che si vuole fotografare per un'accettazione anche se poi certo ne perde in spontaneità e diciamo pure, un pò, quando fotografi qualcuno a sua insaputa , allo scopo di mostrarne poi il viso o una particolare espressione come esempio di paesaggio umano esistenziale, certamente è un furto d'anima con destrezza (di cui non ci si pente mai però, a livello artistico, quando scarichi le foro sul pc). Cesare chiede indicazioni ad una signora sull'ubicazione dell'ex area Innocenti, vogliamo andare a fotografare qualche reperto di archeologia paleo-industriale. Lei ci invita a prendere l'autobus 54 con lei, è una signora di mezz'età bionda che sembra aver voglia di parlare, di comunicare. In pochi minuti ci spiega dove dobbiamo scendere e ci dice che nei capannoni industriali ci vivono e dormono delle persone che ogni tanto la polizia caccia via finchè non vi fanno ritorno, dopo un pò, quando le acque si sono calmate. Scendiamo su sue indicazioni alla fermata successiva a quella dove scendeva lei. Sta andando ad accudire un anziano, che quello è il suo lavoro, alla faccia di chi dice che noi italiani non vogliamo più fare ceti lavori. Subito ci troviamo davanti ad un viale lunghissimo, in mezzo la strada è separata da una siepe e dalla parte opposta a noi c'è un ampio edificio fatiscente e proprio per questo affascinante, con un cancello di vecchie e rugginose inferriate, ampio parallelepipedo di mattoni rossi, ricoperto di graffiti e vetri delle finestre semifrantumati come denti di facce buie ma ridenti. Alle spalle di questo che doveva essere uno degli stabilimenti Innocenti si scorgono nuovi palazzi in costruzione in mezzo a delle enormi gru, termitai allucinatori la cui monotonia estetica ricorda i combinat della DDR, progettati da architetti che dovrebbero essere imprigionati per il reato di spreco del talento al fine di rendere le persone prigioniere del brutto. Fotografiamo il contrasto tra il reperto paleologico industriale del vecchio stabilimento e il nuovo che avanza sul suo sfondo. Proseguiamo per 500 metri e scorgiamo il ponte della tangenziale. Quando lo raggiungiamo e iniziamo a percorrerlo sotto, una visione di bellezza incredibile ci attende. Una teoria infinita di piloni che reggono il manto stradale, si staglia per qualche chilometro da non riuscire a vederne la fine. Ogni pilone è ornato da graffiti e stickers di vario genere e a 50 metri ci sono dei massi messi lì con funzione estetica e dietro di essi si apre un inaspettato laghetto che rende l'ambiente molto gradevole, nonostante il continuo rombo in sottofondo del traffico tangenziale e gli enormi insipidi palazzoni in costruzione sulla sinistra. Chiediamo a un signore di mezz'età anche lui,dove siano i capannoni delle fabbriche della Innocenti, e , molto cordialmente, ci spiega che sono oltre il ponte e ci indica col dito dei tetti di ferro rugginoso in lontananza. Decidiamo di proseguire diritti per poi virare a destra e dirigerci verso i capannoni dismessi. Cesare dice che la gente che si incontra in questi luoghi è gentile e cordiale, ha voglia di parlare , di comunicare, forse la gente presa singolarmente non è poi così tanto male, inumana, forse la gente della periferia ha conservato una propria umanità, nella sofferenza. Facciamo 100 metri e incontriamo dei ragazzi e ragazze latini che danzano come se stessero provando una sorta di spettacolo. Chiediamo se possiamo riprendere alla piccola folla di spettatori latini che stanno assistendo seduti su una panchina di fronte e siamo sotto l'immensa arcata del ponte della tangenziale, che appare costituito da blocchi ciclopici di cemento che paiono messi insieme come un immenso lego da un Godzilla dalla grandezza incommensurabile ,quasi per gioco. Dicono di rivolgerci ad Hector. Hector il professore, lo chiamano. E' acquattato sull'asfalto, all'ombra del ponte , davanti ai suoi allievi, riverso sul radiolone che manda pezzi salseri, e li dirige con maestria. Chiedo se posso girare un video. Lui acconsente con il pollice su e le dita serrate della mano sinistra. Stiamo lì qualche minuto , ammirati, a guardare le evoluzioni danzereccie di questi ragazzi che ci stanno qui dando un chiaro esempio di arte dell'arrangiarsi, si allenano nelle loro evoluzioni di danza al riparo del ponte della tangenziale, all'aperto, palestra naturale e gratuita, splendido esempio di come si possano fare le cose in economia, purchè lo si voglia con forza. Passiamo oltre. Viriamo a destra e già scorgiamo un enorme capannone di cui permane lo scheletro attaccato e corroso irrimediabilmente dalla lebbra della ruggine. Ci avviciniamo ancora. La rete di recinzione è divelta di modo che si capisce che si può entrare dentro e fare una visita . Ci accingiamo a farlo e non senza qualche timore, viste le notizie su probabili presenze umane all'interno. Un passante che Cesare "intervista" ci spiega che quel capannone è l'ex fabbrica della Maserati. Entriamo all'interno e subito ci si arricciano le carni e la pelle per l'emozione. Siamo dentro ad un pezzo di storia Milanese , che dico, nazionale. Il capannone è enorme ma ridotto ad uno scheletro. Pare , con il soffitto ricurvo sui lati, questo immenso parallelepipedo di 500 metri, lo scheletro di una nave rovesciato . Si scorgono gli enormi primi prototipi di condizionatori dell'impianto di areazione, deformati dal tempo, che paiono involontarie sculture metalliche, su in cima abbarbicati a tetto e degli enormi tubi ricurvi che fuoriescono dal tetto costituito ormai men che meno che da una ragnatela di steli metallici. Scorgiamo delle tende last generation che costituiscono una sorta di piccolo accampamento, che sembra , a quest'ora del pomeriggio, abbandonato. Intorno a queste tende e in quasi tutto l'interno del capannone sono ricresciuti alberi e cespugli in abbondanza, quasi che la natura avesse voluto lentamente ma inesorabilmente riconquistare il terreno che le era stato espropriato dall'uomo a fini produttivi. Ci sono persino degli alberi di fico, ricresciuti non si capisce bene come. Sui lati del capannone , sui muri superstiti ci sono disegnati dei graffiti. Subito mi viene in mente che di notte in questo luogo graffitari che si esercitano indisturbati, lontani dalle molestie poliziesche-posto che penso che qualsiasi interruzione di una qualche attività con finalità creative sia da considerate una molestia-magari bevono il te' nel piccolo accampamento sicuramente rom insieme ai gitani , ballando le loro gighe e allontanandosi di quando in quando fra i cespugli con calde ragazze sinti per passare qualche momento di bollente intimità. Torniamo indietro e incontriamo dei resti di un auto, probabilmente dei tempi produttivi, parliamo degli anno '70 o giù di lì. C'è silenzio, un silenzio catartico. Immaginiamo le catene di montaggio e centinaia di operai gli uni accanto agli altri, alle catene di montaggio, che sudano e respirano insieme, finchè il respiro diventa unico e così potente da mandare in frantumi il soffio di mille monaci taoisti, muscoli, e mani che si muovono all'unisono, per quarant'anni ripetendo gli stessi quotidiani gesti, per quarant'anni, tutti i giorni con fuori qualsiasi tempo gelo o sole infernale squagliasfalto... ci vuole del genio a fare per quarantanni gli stessi gesti tutti i santi giorni senza impazzire. Siamo in una di quelle fabbriche che, involontario complice il capitalismo fordista, ha creato una delle più salde generazioni della storia contemporanea e una delle classi sociopolitiche più coese di tutti i tempi che sviluppò un senso di solidarietà umana e nelle lotte che mai più sarebbe stato raggiunto e si raggiungerà. Da pelle d'oca, possiamo sentire i loro respiri, i loro affanni, le loro anime tormentate e i clangori metallici dei pezzi che assemblavano tutti i giorni. Usciamo dal capannone e ci dirigiamo verso l'acquedotto che è lì poco oltre , allontanandoci sempre più alla destra del ponte della tangenziale nei presi dell'uscita Rubattino. Sullo sfondo si vedono enormi palazzi in costruzione che avanzano minacciosamente divorando questi reperti archeologici di un passato glorioso in disfacimento. Enormi aree industriali che l'abbandono ha reso scenari poetici, palchi di teatri a cielo aperto, luoghi di produzione artistica involontaria, possibili spazi di socialità creativa. E presto scompariranno per far posto a questi palazzoni anonimi e grotteschi che saranno abitati da una generazione di acefali che siederanno su divani della stessa marca lowcost divorando merendine dell Kinder di provenienza Caritas, perchè non avranno di che mangiare e di che lavorare, precari a vita, anime imprigionate in dimore per giapponesi padani.

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