sabato 29 settembre 2012

Il paese delle carte da bollo (sulla polemica Carofiglio_Ostuni)

L'Italia, o come a me piace dire con una pronuncia un poco altosalentina, l'Itaglia, è un paese litigioso e se c'è una categoria di litigiosi per antonomasia, non sono, no , i piloti d'aereo per le corna che pensano di beccarsi durante le trasvolate oceaniche immaginando che le mogli li tradiscano mentre invece sono state tutta la notte a leggersi tutto d'un fiato ,"Vagina", il nuovo libro di Naomi Wolf sulla teoria dello schiacciamento del nervo pelvico, accusandole per questo fino a querelarle ,per le presunte corna, le famose querele preventive, che rievocano il vecchio detto cinese:" quando torni a casa picchia tua moglie e quando lei ti chiederà perchè tu picchiala di nuovo". E poichè oggi non si può più rispondere ad un affronto con un duello, si usa la carta da bollo. Ministri su ministri che si sono succeduti si sono scervellati su come diminuire i carichi di lavoro dei tribunali, ma, ahimè, come avrebbe detto Tex Willer ,non c'hanno cavato un ragno dal buco, troppe querele, troppo lavoro, persino i macellai si sono messi a querelare i vegetariani e i vegetariani i venditori di arrosticini e i venditori di arrosticini querelano i venditori di sushi. Ma tra tutte queste categorie, non poteva mancare quella degli scrittori. Gianrico Carofiglio scrittore barese( nonchè magistrato, nonchè deputato , i nonchè sono finiti per ora ma credo che possano bastare per un uomo con due gambe e due braccia e un solo cervello )classificatosi terzo al premio strega con il suo "Il silenzio dell'onda" ,è stato insultato su una pagina facebook da un sedicente critico letterario nonchè editor della casa editrice Ponte delle grazie, nonchè giurato del premio Strega, anche qui di nonchè abbiamo fatto il premio, alla faccia del 24% dei giovani itagliani che di lavori non ce n'hanno nemmeno uno ,che risponde al nome di Vincenzo Ostuni ( una volta tanto si parla di Ostuni, evviva!). Costui avrebbe scritto sulla sua pagina Facebook , rivolte a Carofiglio, le seguenti frasi:"Il libro di Carofiglio è un libro letterariamente inesistente, scritto con i piedi da uno scribacchino mestierante, senza un'idea, senza un'ombra di responsabilità dello stile". Di fronte a questo vero e proprio insulto personale Carofiglio avrebbe querelato Ostuni. Non il comune, il sedicente critico letterario. Per esprimere un giudizio su questa vicenda mi viene in mente un episodio che mi occorse alcuni anni or sono quando presentando il mio primo libro, "Nell'acquario", all'interno della rassegna ostunese "Un'emozione chiamata libro" a cura di Annamaria Mori, un medico barese, risentitosi perchè io in un passaggio del libro avevo paragonato "i baresi"( scritto virgolettato nel testo, tra l'altro) ai nazisti della Puglia perchè avevano abbattuto 200 alberi di ulivo per edificare uno stadio che avrebbero poi "ironicamente" chiamato "degli ulivi( il nome è successivamente cambiato), mi apostrofò pesantemente definendomi un ignorante e un provinciale ,ricordandomi che Bari era stata da sempre una città antifascista etc etc. Ovviamente non avendo letto il mio libro ed espungendo una frase dal contesto si era fatta un'idea sbagliata ( non ho mai avuto nulla contro i baresi, ma contro certi baresi, come pure contro certi ostunesi o milanesi o quant'altro) , ma la qual cosa non lo fece esimere dall'offendermi. Ricordo in quell'occasione che restai così sorpreso che non seppi reagire da mio pari rispondendogli, magari, che ne so, che se lui era un medico che si ammantava di possedere delle supposte doti letterarie avrebbe fatto bene a fermarsi alle supposte, che era almeno una materia che si , di nuovo, supponeva, doveva conoscere bene. Invece blaterai qualcosa che nemmeno ricordo e basta. Ma la reazione del pubblico fu tutta a mio favore. Fece la figura del cafone, con il risultato che realizzai un ottima vendita dei miei libri, che non fa mai male, in certe occasioni. La morale che voglio tirar fuori, da questa vicenda, caro Carofiglio è che io ,al tuo posto non avrei querelato , come non querelai io il medico barese, il supposto critico letterario( qui le supposte c'entrano sempre , diamine!) , ma l'avrei lasciato macerare nella sua malcelata invidia( che la maggior parte degli editor e cosiddetti critici sono solo degli scrittori falliti)e avrei incassato quella solidarietà, che invece, maldestramente, sta facendo pendere la bilancia a favore del nostro "amabile" Vincenzo Ostuni, al quale consigliamo, invece, una volta che ha scritto quelle offese personali, di restare un minimo coerente evitando piagnistei democristiani dell'ultim'ora.

domenica 23 settembre 2012

Se entri nel cerchio sei libero

Tornato a casa dal lavoro , mi sono fatto una doccia , mangiato un riso saltato cucinato da me e , finalmente, mi sono sdraiato sul divano. Ho acceso la tv e fatto un po' di zapping. Su rainews c'è Baracchini, un giornalista famoso per aver fatto outing in diretta sulle proprie preferenze sessuali dopo le sconcezze omofobiche di Cassano durante gli europei di calcio . Ha appena detto che Monti non tasserà la patrimoniale. Niente di nuovo sotto il cielo. Non ho mai visto nessun ricco tassare se stesso, a parte San Francesco, forse. Disgustato vado in camera da letto e prendo un libro dal comodino. Un libro è il miglior antidoto contro il ciarpame televisivo. Me lo ha donato il professore Lorenzo Caiolo, che tanti conoscono per i sui vari meriti politici e nel mondo del volontariato, ma che per me è un amico, e , se permettete, “ amico” è la carica istituzionale con cui voglio qualificarlo . Il titolo del libro è “ Se entri nel cerchio sei libero”, ed . Corriere della sera, Rizzoli. La copertina è granata come le maglie del Torino e in cima alla copertina , sopra al titolo, campeggiano i nomi degli autori, Antonella Ossorio e Adamà Zoungrana. Adamà Zoungrana è il figlio adottivo del Professor Caiolo e il libro, scritto a quattro mani in un linguaggio semplice e accattivante come la trascrizione di un lungo racconto orale , è la sua storia. Sdraiato sul mio sofà ho incominciato a leggerlo e subito sono entrato nel ritmo del racconto. Nato a Lèo nel lontano e misterioso Burkina Faso, nome recente dato all'Alto Volta e che significherebbe “paese degli uomini integri”, Adamà, che in realtà si chiama Basjna ma che si è autoribattezzato quel giorno che il suo padre padrone sanguinis dopo molte resistenze decise di iscriverlo a scuola scoprendo di non sapere il nome di quel suo figlio particolare, dalla testa dura, uno dei tanti della sua progenie sparsa in tutto il paese dal costume poligamico, snocciola il suo racconto drammatico e appassionante, un racconto che ti conquista pagina dopo pagina con il semplice scorrere delle storie e dei personaggi incredibili che le popolano: da Seydu e Bucaray, suoi fratelli compagni d'avventura sballottati di famiglia in famiglia alla morte della propria madre naturale, con Seydu, in particolare, scampato alla morte e sopravvissuto al vento Harmattan , foriero di tempeste di sabbia e uragani e che come un Dio malvagio si porta via vecchi e bambini, piccolo e indimenticato fratello fragile e la propria infanzia contrassegnata dalla fame e dalla sete, vive come un paria in famiglie in cui è costretto a familiarizzare con matrigne d'ogni genere, sempre in lotta con un padre padrone e despota che lo maltratta giungendo fino a picchiarlo , salvato da una congerie di amici che lo sfamano e lo colmano d'affetto. Amici come Muniru, bravo a ballare e che tutti chiamano Michael Jackson o come Masta, versione africana del Quasimodo multilingue de “In nome della rosa”, o come Hakim, campione di calciobalilla , per non parlare di Eric dei coccodrilli e di Alì il sordomunto matto per i film di Jackie Chan, che accompagnano Adamà in questo suo viaggio nell'inferno dell'Africa delle mille etnie e poligamie, e che lo portano persino a lavorare in miniera, a fianco a bambini minorenni, sniffando colla per combattere la fatica e illudersi di liberare i polmoni dai pulviscoli dei cunicoli strigiformi dei forzati dell'oro, mentre piano piano conquista la fiducia di Auntie, la sua prima matrigna e della sua sorellastra Salimata. Poi, un giorno in libera uscita dal lavoro minerario, la sua ostinazione nel voler a tutti i costi studiare e nel voler imparare il francese viene premiata. Mentre è per strada per andare a comprare delle sigarette ad un anziano signore al posto di un suo amico, incontra una signora italiana, Antonella Gallone, che fa la regista cinematografica. Sta girando un film e lui attacca a parlare con lei in francese risultando subito irrimediabilmente simpatico. Da quell'incontro prende piede una concatenazione di avvenimenti che porterà il nostro Adamà, via via ad essere l'attore protagonista di un film e a venire in Italia, fino ad essere affidato e poi, credo, adottato, dalla famiglia del professor Caiolo. Queste fasi sono descritte con un'ironia ingenua ma che conquista che costituisce un po' il tratto distintivo dell'anima africana che viene a contatto con l'occidente e che mi ha colpito per l'angolatura da cui possiamo essere osservati da un mondo che non conosciamo e che a volte snobbiamo superficialmente, un mondo che presenta contraddizioni enormi ma estremamente interessanti, popolato di personaggi come Sankara, indimenticato presidente del Burkina Faso, famoso per rifiutare il lusso muovendosi in bicicletta, da contrapporre all'omologo capo di stato livoriano( della Costa D'Avorio) che invece si fa costruire una pista di pattinaggio su ghiaccio per i figli in un paese perennemente assetato , un mondo ancora dominato dalle etnie e dalle poligamie ma che trae la forza per andare avanti dalle immarcescibili tradizioni dei racconti orali dei nonni, fatti di storie che sembrano senza una morale certa, ma che lasciano il finale all'interpretazione di chi quei racconti ascolta, al libero arbitrio degli ascoltatori, in definitiva. Dopo aver conosciuto , udite udite, la neve a San Vito dei Normanni , che già di per sé costituisce un fenomeno inquietante persino nel nostro occidente mediterraneo ed aver trovato l'affetto di una nuova famiglia , Adamà, a distanza di cinque o sei anni, affetto da mal d'Africa, intraprende un viaggio a ritroso, che lo riporterà a contatto con il suo passato, alla ricerca dei suoi affetti e dei suoi fantasmi, e sarà foriero di dolori ma anche di gioie inaspettate, sempre sul filo del rasoio, quanto ai rapporti con il padre sanguigno, che da uomo ricco e di successo, è caduto in disgrazia, senza per questo perdere la boria di un tempo, senza per questo perdere la presunzione del padre padrone, ma solo formalmente, in realtà, si intuisce, piegato dal rovescio delle sue fortune e dal pentimento del male arrecato in nome di una sottocultura ancestrale, guarda caso, proprio a chi gli aveva voluto bene, nonostante le percosse, nonostante le possibilità d'elevazione negate, come quando impedì ad Adamà di andare in accademia , nonostante le felicità distrutta , come quando assiste impotente al suicidio di Salimata, solo perchè non vuole che vada a vivere con un giovane della Costa D'Avorio, per gelosia o per chissà per quale altro demone che alberga nell'animo umano. Chiudo il libro e vado a dormire. Ho letto ininterrottamente per tre ore circa. Ma mentre mi addormento la mia mente e stranamente e riccamente piena di pietanze africane, storie di coccodrilli, ballerini neri, film di kung fu, partite di biliardino, piccoli neri in libera uscita dai cunicoli di miniere, un piccolo esercito di volti mi viene a trovare, come in sogno. Sorridono tutti mentre vengono verso di me. E c'è anche il padre di Adamà. Ma nonostante tutto non riesco ad odiarlo, perchè in tutto questo meraviglioso libro scritto da suo figlio che ha attraversato l'inferno non si fa altro che dire che nel mondo dei dannati si deve dare una chance a tutti, persino al male o a ciò che appare tale. Ed è per me un grande insegnamento.

mercoledì 19 settembre 2012

La via del mezzo

Il cambio di stagione è per me letale. Mi sento stanco, ho bisogno di una decina di migliaia di euro per farmi una vacanza fra i Monti svizzeri, non i coniugi del direttorio nazionale, s'intende, poi qualche stravizio di champagne e caviale de noiantri magari in compagnia delle battute di Batman-Fiorito e qualche puttana mica troppo sofisticata a spese di voi gonzi contribuenti che tirate la carretta tutti i giorni come fessi per pagare questi cerebrolesi improvvisamente colpiti da un fulmine Frankensteiniano tanto da scoprirsi di colpo furbi. Poi ho bisogna di un pò di azione, sì, un pò di azione ruota a ruota col camper di Renzi che porta l'attacco al cuore dello stato rosso del pomodoro pelato, il Bersani, per intenderci, ribattezzato, visto che tutti gli sparano addosso , Pierluigi Bersaglio, una bella ruota della fortuna, tanto per rammentare a Renzi da quale quiz di quiz viene. Eccomi adesso in elicottero, da scrittore vip mi ha dato un passaggio Sergio Marpionne , sta andando in Canada dove prenderà un Canadair e atterrerà al Lingotto, dove un sacco di ingegneri e dirigenti Fiat lo stanno aspettando per leccargli il culo, tanto che al Lingotto gli hanno cambiato nome, lo chiamano Linguotto adesso. In elicottero mi spiega che lui l'Italia non l'abbandona mai, ma dove cavolo lo troverebbe un paese in cui milioni di persone pensano che sia un genio? No, no, tutto grasso che cola, oro colato e poi basta con questo Landini , non si può pagare uno 2300 euro al mese per non lavorare. A lui, a Marpionne, invece, gliene danno 2300 al minuto per non fare altro che il maitre a penser della famiglia Agnelli, per tenere a bada i pargoli, uno stipendietto da badante mica no. Certo che lui non si dimentica che suo padre era un maresciallo dei carabinieri e fa bene, a mio avviso, visto che sarà il massimo grado del drappello di servitori dello stato che un giorno verrà a prelevarlo per reato di diserzione dagli interessi nazionali a beneficio del benevolo fisco svizzero, dove risiede. Mannaggia, vedete che me ne devo andare in Svizzera, perchè non dichiariamo guerra alla Svizzera, mi sa che risolviamo tutti i problemi. Magari no, magari poi dalla Svizzera si spostano in Alsazia Lorena, che c'ha pure un bel nome da troia di classe, che non fa mai male frequentare, fra un cocktail party e un salotto più o meno televisivo, dove i nostri dirigenti politico-imprenditoriali non fanno altro che spiegarci che l'Italia va male perchè la gente non lavora e perchè alcuni sindacati e partiti politici ( quali? non si sa) non conoscono la via del mezzo, che è il simbolo dei moderati, come dice Casini, questo eterno democristiano dal nome onomatopeico, che , come direbbe il buon Manzoni, Alessandro, meglio specificare per i Fiorito-Belsito d'Italia , è quella zona dove lorsignori si sono già accomodati da un bel pezzo con un bello strato di silicone sotto il culo.

mercoledì 12 settembre 2012

Tex Willer è comunista

Uno dei fumetti che ha contrassegnato la mia infanzia e che leggo tutt'ora potendo così affermare che ha accompagnato e accompagnerà l'intero arco della mia esistenza , è senza dubbio Tex Willer. L'ho amato sin da subito per quel mix di azione e, soprattutto, meditazione , nelle frequenti scene che ritraggono il ranger che gli indiani Navajo chiamano “Aquila della Notte” per via del suo mezzo sangue indiano avendolo persino nominato loro capo, in compagnia dei suoi pards, Kit Carson, Tiger Jack e Kit Willer, suo figliolo un po' se stesso in scala ridotta, accampati e seduti intorno all'acqua in ebollizione per il caffè durante i tramonti fatti di soli che si infilano nella fessura dell' orizzonte sullo sfondo di montagne rocciose, cactus e avvoltoi . Le lunghe conversazioni intorno ai fuochi tenuti bassi per non essere individuati da nemici di ogni sorta mi hanno sempre affascinato perchè sono intrise di una filosofia espressa in un linguaggio caratteristico ed efficace che sintetizza mirabilmente la visione del mondo del suo inventore, Gianluigi Bonelli e di suo figlio Sergio Bonelli, suo continuatore e scomparso per altro di recente ( nel 2011) . Le storie sono sempre state scritte con cura , frutto di attenti studi storici e antropologici , ed hanno avuto il merito di usare il far west americano come sfondo entro cui lasciar agire i personaggi più disparati, da Mefisto , esponente della magia nera, a El Morisco , archeologo , ricercatore e interprete della magia bianca , quella buona, diremmo, per non parlare di un lama tibetano, Padma, scacciato dalla sua lontana terra d'oriente , di pistoleri meticci, ex confederati sconfitti e indiani rinnegati, tutti protagonisti di storie archetipiche di un mondo che non sa rinunciare al male come l'acqua marina al suo sale . Inoltre Tex mi è caro perchè inaugurò , nel dopoguerra, il filone di un giusto revisionismo storico sulla storia del west, sposando pienamente il punto di vista dei nativi americani, dei pellerossa , fino a un certo momento individuati , da una vasta cinematografia imperialista d'accatto, come i cattivi della situazione, e che ci aveva mostrato il più reazionario degli attori Hollywoodiani , John Wayne, sempre impegnato ad interpretare personaggi che rivestivano i panni dell'ammazza musi rossi in una sequenza impressionanti di film indianofobici . Tex Willer agisce nelle sue storie sempre come difensore dei deboli e degli oppressi, tanto che , ad esempio in “Ombre di morte”, rispondendo a suo figlio Kit che gli domanda “per chi combattiamo noi, papà”, risponde inopinatamente:”per i deboli e per gli oppressi, figlio mio!Non certo per un branco di sporchi e ignobili politicanti!”. E questa lotta in difesa degli oppressi la svolge in modo netto e radicale, con una rabbia che può apparire a volte eccessiva, come tutte le volte che in situazioni di pericolo estremo mentre è legato in attesa di essere ucciso o mentre si batte all'ultimo sangue , se ne esce con espressioni come:” andate al diavolo, per quanto riguarda il sottoscritto siete già pendagli da forca”.O come quando dice, ad esempio di Mefisto, suo storico nemico:” questa volta gli procureremo un domicilio sicuro in una solida cassa di pino”. Non è un radicalismo casuale questo, Tex , ovvero i suoi autori, ci vogliono dire che noi da un eroe, da uno come lui, ci aspettiamo esattamente questo, una inflessibile coerenza in tutto quello che fa nella infinita e imperitura battaglia per la giustizia. Vuole dirci che ciò che non può essere risolto a parole verrà risolto con i fatti. Ma è proprio la scelta delle parole, nel comunicare questo concetto, che fornisce la cifra stilistica del suo autore e padre padrone ( e dei suoi continuatori) e che contraddistingue Tex Willer come personaggio unico e di peso nella letteratura contemporanea, in barba a chi pensa che i fumetti non siano letteratura ( basta leggere un libro di Fabio Volo per non trovare questo concetto affatto bizzarro ) , come accade ad esempio in “Kit Carson entra in gioco”: ” vattene pure a casa, signor granduomo, ma che io sia impiccato se per questa notte riuscirai a dormire tranquillo!”. E, di seguito, mi preme dire che, non si possono dimenticare espressioni come, “ gli metteremo il sale sulla coda”, abitualmente usata da Tex rivolta ai suoi pards mentre inseguono qualche criminale, o come , “ non ci abbiamo cavato un ragno dal buco”, quando le indagini sono ad un punto morto, né i coloriti insulti ad ogni sorta di bandito o criminale, tipo, ”pendaglio da forca”, “faccia patibolare”, “stanco di vivere?”, “quando incontro gente come voi sento vacillare la mia fede nel genere umano”, senza tacere la goliardica ma sempre valida espressione tipica all'arrivo in un saloon dopo faticose galoppate nei deserti polverosi : “ vorrei una bistecca alta tre dita sotto una montagna di patatine e un fiume di birra”, che usando personalmente una volta mi è valso un fidanzamento( non sto a dire) . Né gli spagnolismi messicani come “vamos”, “vamonos”, o , “lo siento”, per dire “mi dispiace”. Ma c'è una frase, secondo me, che racchiude tutta la filosofia radicale e anche politica del nostro eroe dei fumetti e che esprime sinteticamente un concetto sempre valido in ogni tempo e che contiene poi il concetto del fare le cose, nel senso del muoversi per risolvere i problemi, in luogo di sterili e stolide conferenze programmatiche che altro non sono se non esibizioni masturbatorie di parole tenute insieme per riempire l'aria , un'espressione che bisognerebbe tirar fuori tutte le volte che i nostri politici sembrano dire qualcosa di solenne e di definitivo, quando non sanno cosa dire di fronte all'evidenza della propria incapacità: “ ancora una volta avete perso un'occasione buona per stare zitti”. E credo sia il giusto suggello a questo mio modesto omaggio ad un eroe senza tempo .

martedì 4 settembre 2012

L'ulivo che canta

Nella sua bottega di fronte alla chiesa delle Monacelle dove venivano abbandonati bambini in cambio di biscotti, sfornate per sfornate con anime e destini diversi, Tonino Zurlo mi mostra le sue sculture d'ulivo. Col pizzo da imam che crede in un Dio universale che chiameremo Infinito e che vuole bene agli ultimi molto più che ai primi mi spiega che la creazione artistica per lui ha la caratteristica di essere “senza fatica”, qualcosa che viene dalla pancia , che viene fuori naturalmente , senza sforzo, come se qualcuno la facesse per noi, come se qualcuno scolpisse il legno d'ulivo, duro e indomabile, per noi, senza essere costretti a spremersi eccessivamente “la mdodda de la capa”, come dice lui , senza imperlarsi la fronte di sudore, basta lasciarsi trasportare dall'ispirazione e scolpire ulivi o canzoni come in stato di trans autoipnotica. L'arte è lì, nell'aria, basta vederla, prenderla e mostrarla al nostro mondo se non altro per testimoniare che esiste la bellezza vera e non quella idiota delle stolide pubblicità persino di beni comuni come l'acqua, che il Padre Eterno, un padre eterno laico vestito delle fogge più disparate a seconda degli occhi che lo guardano, ci ha sempre donato gratis e che invece l'uomo, il più imbecille delle creature che popolano la terra ha la pretesa di imprigionare in piccole galere plastiche chiamate bottiglie facendone un oggetto di consumo consacrato da nuovi San Franceschi al contrario come calciatori di grido che la pubblicizzano al fianco di fotomodelle disperatamente in lotta con ritenzioni idriche da cocaina aspirata a forza, perchè “magro è bello” se non si è in Africa. Osservo la sua bottega e le sue meravigliose sculture di legno d'ulivo, una materia con cui Tonino e oramai in simbiosi. Posso immaginare l'artista al lavoro, nella fresca penombra di questo locale e posso immaginare che mentre lascia scolpire le sue opere dai propri spiriti guida, componga mentalmente le meravigliose canzoni che popolano il suo ultimo lavoro musicale, “L'ulivo che canta”. Esco dalla sua bottega e dopo qualche giorno sono in macchina, a Milano, dove vivo da vent'anni con la Puglia nel cuore, con il Salento nell'anima e con Ostuni nel midollo del cervello, come direbbe Tonino, ancora una volta. Piove e sono immerso nel traffico metropolitano asfissiante postrientro vacanze. Ho lo stereo acceso e i versi delle sue poesie in musica mi raggiungono dritte al cuore e mi pervadono l'anima. Mentre ascolto “ lu frate in polizia” mi commuovo ascoltando il refrain del brano che sintetizza una condizione secolare delle nostre terre:”la colpa i de li patrun , ca s'accatten li chiu belli e li chiu forte de li uagnune”, storia di un giovane che si lamenta che suo fratello sia stato costretto ad arruolarsi in polizia col rischio di trovarselo di fronte durante uno sciopero e che sintetizza in modo mirabile il dramma di intere generazioni pugliesi di sempre di fronte al dilemma dello scegliere un posto sicuro, uno stipendio sicuro, che ti porta a difendere gli interessi dei ricchi e dei detentori del potere, quando le altre alternative sono mettersi al sevizio dei locali padrini politico-mafiosi o emigrare in cerca di fortuna persino all'estero. Mentre mi involo con la mia auto e i tergicristalli alla massima velocità sulle avenidas milanesi e fuori imperversa un classico temporale di fine estate, ascolto “L'acqua”, la traccia 7, un pezzo strabiliante in termini di registri musicali e di variazioni di temi testuali, con un racconto in versi che parte dalle tradizioni locali di un Sant'Oronzo portato in processione con una sardina in bocca perchè provasse il significato della sete delle nostre eternamente sitibonde terre e facesse piovere (con tutto il corredo di novene e candele) , fino al sarcastico disgusto che genera riso a profluvie , quando, cambiando registro, si passa alla “canzonatura” della pubblicità di una nota acqua minerale con corredo di uccellino e strafiga in posa. Fuori imperversa la battaglia per la vita, traffico caotico, semafori telecamerizzati, clacson che urlano concerti non richiesti, ombrelli sbrindellati, supermercati presi d'assalto da carrelli timidamente carichi sintomo di crisi, proprio mentre ascolto “trenda e trendune”, una dissacrante satira antiberlusconiana proprio in questa città tradita mortalmente dal miliardario-bauscia. Svolto a destra mentre fuori palazzi grigi e bigi come le anime morte delle persone che li popolano si contrappongono a parole che Tonino, magicamente, lancia dallo stereo e che al solo ascolto mi proiettano in una antica fiaba mediterranea, un mondo fatto di gazze, cornacchie, cavalle più o meno metaforiche, foglie di fico, pignate , palmenti , mummuli e rizzuli ( vere e proprie onomatopee), per non parlare dei tronchi d'ulivo scolpiti da un Dio che ce li ha lasciati come alberi del biblico pomo ,a noi uomini minuscoli Adamo , giusto per vedere se abbiamo capito che nel giardino dell'Eden mediterraneo sono intoccabili. Una volta a casa , dopo il lavoro, non vedo l'ora che sia domani, quando di mattina, in macchina, andando al lavoro, riascolterò per l'ennesima volta “fore a dde me”, andando ,per quel quarto d'ora che mi separa dal lavoro, in visibilio al solo apprendere che Tonino non si è ancora stancato di raccontare quell'ancestrale mondo contadino dove nonostante non ci fosse il Pibigas o il Permaflex si viveva in piena armonia con la vita e la natura .