venerdì 30 settembre 2016

Siddhartha di Hermann Hesse, una recensione

Lo avevo letto anni fa ma non mi aveva lasciato delle grandi tracce. Ci sono libri che bisogna rileggere per capirne il senso compiuto o per scoprire se ti hanno lasciato qualcosa. Questa seconda rilettura di Siddhartha, dello scrittore tedesco naturalizzato svizzero Hermann Hesse, mi ha lasciato un po' cosi, come dire disorientato. Hermann Hesse pesca a pieno nelle letture dei saggi religiosi e dei libri sapienziali indiani , in particolare e orientali in generale. Il protagonista del breve romanzo, Siddhartha, appunto, non si sa se incidentalmente uno dei nomi del Buddha, che invece nel racconto viene citato con il solo nome di Gotama, e' il figlio di un Brahmano, un sacerdote , un saggio, un uomo savio. Ma Siddhartha se ne allontana insieme al suo fedele amico , Govinda,per seguire le pratiche ascetiche dei sadhana. Cosa che a suo padre non va certo a genio. Dopo molti anni di pratica presso i sadhana , Siddhartha, che cerca un proprio io che definisce Atman, l'equivalente dell'anima nelle religioni induiste, principio di se stessi ed eterno ritorno in noi stessi, si potrebbe dire, non e' pero' soddisfatto dell'apprendistato presso gli asceti. Un giorno incontra Gotama, il Buddha, un uomo saggio che dopo una lunga meditazione sotto un albero di mango, che in realta' doveva essere di fico, albero che e' presente in tutte le religioni come spettatore di svolte ecumeniche epocali, vedi Giuda che si impicca ad un albero[ ma mi direte, certo, a cosa si sarebbe dovuto impiccare , all'epoca, ad un palo dell'alta tensione?], Odino, il Dio delle religioni mitologiche scandinave, per apprendere la conoscenza resto' appeso ad un albero nove giorni e nove notti, si crede un albero d frassino, per non parlare di Gesu' e della parabola del fico sterile[che non era una premonizione su qualche famoso vip che non riesce ad avere figli], vive numerose sue preesistenze e si risveglia con in mente ben chiara una nuova religione, una nuova filosofia. Basata sulla consapevolezza che vivere, di per se', e' doloroso. Buddha e' il primo uomo che si pone il problema dell'annientamento del dolore che di per se' genera vivere, cioe' vedere i tuoi cari morire, il tuo corpo invecchiare ed ammalarsi, i tuoi desideri, abusati nel tempo, spegnersi. E ritiene che la massima forma di annientamento del dolore sia impedire il samsara, l'eterno ciclo della reincarnazione in esseri viventi di varia natura e specie, destinati e rivivere all'infinito, finche' non vivono in modo virtuoso:retto parlare, retto mangiare, retto meditare, rette pratiche sessuali...il che non vuole necessariamente dire mortificanti pratiche ascetiche, ma vivere a cavallo fra una vita satanica, da rifiutare in toto, e una angelica ottenuta attraverso la mortificazione del corpo. Mi viene da ridere mentre scrivo perche penso che se Buddha avesse ragione, in cosa dovrebbero incarnarsi certi nostri politici o esponenti di viplandia. Non lo saprete mai. Anche perche' condurro' un esistenza virtuosa e non rinascero' piu', estinguendomi nel Nirvana, il paradiso dei buddhisti, la non piu' rinascita , il mai piu' samsara. Ok, spero di essermi spiegato abbastanza in questa mia piccola dissertazione sul buddhismo. Ma torniamo a Siddharta, egli ha l'ardire di dire a Gotamo, cioe' Buddha, che lo rispetta, ma che lui sta cercando altro. E vediamo , con lo scorrere delle pagine cosa sta cercando Siddhartha. In sequenza lo vediamo incapricciarsi di una prostituta d'alto bordo, tale Kamala, la quale lo spinge a diventare ricco, se volesse, il nostro eroe ricorrere ai suoi servigi. Gli cerca un posto di lavoro presso un ricco commerciante, Kamaswami, e presto diviene suo socio e altrettanto abbiente. Cosi Kamala si concede completamente e lo istruisce nell'arte dell'amore, del trattenere a se' un uomo piu' a lungo possibile. Siddharta attaversa fortune alterne, diviene giocatore d'azzardo, perde denari, li vince, li riperde, li riguadagna. Ma ad un certo punto, quella ricerca dell'io, dell'Atman, dai meandri piu' reconditi della sua coscienza, lo richiama a se'. Abbandona Kamala e il suo socio commerciante e ritorna nel bosco. Vuole tornare povero, semplice, ritornare all'essenziale, pensare, resistere, digiunare. Presso il fiume incontra un barcaiolo con cui fa amicizia e che era lo stesso che lo aveva traghettato quando aveva abbandonata i samhana. Questa volta parlano piu' a lungo e Vasudeva, un uomo semplice che deve la sua grande saggezza, oltre che alla semplicita' all'ascolto del fiume, sua personale divinita', lo invita a restare. I due uomini si legano di affetto fraterno finche' un giorno, in circostanze misteriose, presso la loro dimora, sosta, in viaggio per una conversione alla nuova religione di Gotamo, il Buddhismo, Kamala. E'in compagnia di suo figlio. L'incontro e' gravido di emozione, ma non succede niente di succulento, non solo perche' Siddhartha e' ridiventato un sadhana ma anche perche' lei ha deciso di non esercitare piu' la nobile arte del meretricio. Poco dopo Kamala viene morsicata da un serpente velenoso e muore nella capanna dei due, non prima di aver svelato a Siddharta che quel ragazzo e' anche suo figlio. Siddhartha prende in carico il figlio, il quale viziato com'era[fatto che testimonia la validita' del samsara se si prendono ad esempio gli attuali figli dello smartphone , qualcuno dei quali sara' sicuramente un figlio di Kamala], non riesce ad instaurare alcun rapporto con il padre. Anzi lo rifiuta e lo insulta ripetutamente e nonostante Vasudeva inciti Siddharta a fargli un bel pagliatone educativo, di fronte alla reazione compassionevole dell'amico, allarga le braccia e si prepara al peggio.Il figlio infatti fugge e Siddhartha cerca di rintracciarlo, ma senza riuscirci. Alla fine Vasudeva lo persuade che in fondo suo figlio gli assomiglia, che ha fatto come lui con suo padre, ha scelto la sua strada per conto suo, come e' giusto che sia. La conclusione e' molto commuovente e se soffrite di pressione alta o di problemi cardiaci, saltatela. Anche perche' Siddharta incontra Govinda, che nel frattempo s'era perso per strada divenendo discepolo di Gotamo , abbracciando la sua dottrina e fra i due c'e' uno scambio intenso, attraverso il quale ripercorrono vicendevolmente le proprie vite...e uno si aspetta un finale a sorpresa, un finale pirotecnico...Finale che non tradisce le attese...dal momento che non c'e' un finale. Bene, buona lettura e perdonate certe mie licenze cabarettistiche, non vi aspetterete la solita recensione seriosa e noiosa da me? Anch'io cerco il mio atman e spero di trovarlo fra i vostri sorrisi e il vostro ridestato, per la lettura, interesse.

mercoledì 21 settembre 2016

La scuola della carne, Yukio Mishima, una recensione

Ho letto questo libro di Mishima, il grande scrittore giapponese, sorta di Pasolini giapponese, con un certo sconcerto. Il linguaggio usato dall'autore e' breve , stringato e inusualmente contemporaneo, al contrario della sua elegante prosa classica alla Proust, ricca pero' di imbizzarrimenti dati dalla provocatorieta' degli argomenti. Forse la scrittura e' costituita di frasi brevi perche' piu' che un romanzo si tratta di un racconto. Taeko, avvenente trentanovenne separata ricca professionalmente a causa del possesso di un avviato atelier di moda, fa lega con altre due donne della stessa eta' , staus ed estrazione sociale, una critica cinematografica e la titolare di un ristorante chic. Insieme hanno inaugurato il comitato Toshima, organismo immaginario che esiste convenzionalmente fra loro e che fa da sfondo ai loro incontri e racconti di vita di cui si mettono reciprocamente a parte. Nel Giappone postbellico la naturale riprovazione sociale per queste donne separate, grazie ai nuovi costumi importati dalla cultura americana per cui il denaro funge da lavacro di una vita svolta nel peccato ,viene stemperata, riproporzionando, che dire, ricollocando,agli occhi della societa', in modo accettabile, queste tre donne in ambiti di un certo prestigio. Donne,le quali sembrano approfittare del loro benessere economico per condurre una vita agiata e frequentare luoghi chic, ma anche alternativi. In uno di questi loghi alternativi, un gay bar, Taeko conosce un giovane avvenente, Senkichi, che far il barman in quel luogo . Fra di loro nasce quasi subito un legame torbido, la quarantenne si innamora appassionatamente e nonostante la sua parte razionale combatta contro quella passionale, alla fine la bella trentanovenne cede inopinatamente alle alchimie muscolari del giovane, infischiandosene delle implicazioni perverse che pure avrebbe comportato frequentare un verde virgulto che cedeva le sue grazie a uomini di ogni risma [ sia pure per denaro] .Nel racconto , ripeto, inferiore alle aspettative del Mishima che conosco, si possono godere le fiondate dell'autore giapponese alla cultura occidentale. Gli americani, giovani e vecchi, vengono definiti brutti e con la pelle di pollo, al contrario dei giapponesi che vengono esaltati , soprattutto in senso estetico, quanto deprecati nella sottomissione ai costumi occidentali. Solo gli italiani, concede Mishima, come poetica dei corpi, possono competere con i giapponesi, bonta' sua. La storia fra Taeko e Senkichi va avanti in modo strano e subisce delle trasformazioni, i due si concedono piu' autonomia e indipendenza nel rapporto, un legame che si riaccende nelle battaglie del letto e si stempera nelle lunghe session ai videogiochi del giovane adone nipponico, mentre l'affascinante quarantenne non disdegna delle buone letture. Mano mano che le cose vanno avanti pero' Taeko comincia ad essere insoddisfatta di questo legame, vuole aiutare il giovane a compiersi come individuo , abbandonando la sua vocazione parassitaria, e lo spinge a riprendere gli studi. Cosa che Senkichi non fa in modo concreto, fino al giorno in cui lei scopre che lui la tradisce. La tradisce , pero', non con il cuore, ma con l'ambizione di guadagnarsi uno status sociale rispettabile corteggiando la giovane figlia di una famiglia molto in vista e ricca, la figlia di una cliente, ironia della sorta, del suo atelier. Lo sviluppo della storia e' stupefacente e bizzarro e ribalta , cosa che avviene in tutti gli scritti di Mishima, la sua collocazione politica in un alveo culturale appartenente alla destra, storica , sociale e culturale, facendolo assurgere per l'ennesima volta a pensatore originale e indipendente, trasvalutatore dei "nuovi valori consumistici", in nome della necessita' del rispetto delle antiche tradizioni[Samurai compresi]. Teruko, un travestito che frequentava lo Hyacinthe{da Giacinto, amato follemente da Apollo], locale dove lavorava Senkichi, prima di fare il mantenuto di Taeko e che quel giovane conosce bene, di fronte ai tormenti d'amore di Taeko, si commuove e le fornisce delle prove che potrebbero rovinare il legame ancora fragile inaugurato da Senkichi con la giovane vergine ereditiera. Le consegna delle foto compromettenti che ritraggono Senkichi in pose lascive con alcuni suoi clienti.E in cambio non le chiede nulla. E' questo il momento piu' commuovente del racconto, incentrato sul legame tutto femminile fra la donna e Teruko, il quale ribalta tutti gli stereotipi riferiti alla "gente della sua specie" , di cui anche il Giappone e' intriso, comportandosi come qualcuno che ama l'amore e lo rispetta in ogni sua forma, molto piu' di quanto venga rispettato dai cosiddetti rispettabili nella forma che essi pensano sia esplicato da gente "della sua risma".La conclusione, per rispetto dei lettori e dell'autore, scrittore che amo e che , lo ripeto, da' il meglio di se' in altri scritti, la lascio alla buona creanza di chi avra' la curiosita' di leggere questo scritto comunque appassionante.