martedì 2 giugno 2015

Dipingere è amare ancora, di Henry Miller , Abscondita ed, rece

Molti diranno che sono fissato, ma a me Henry Miller piace proprio tanto. E' uno di quegli autori che non ti stanchi mai di leggere. Ti sembra di sentirlo , in preda al delirio alcolico che comizia a capo tavola in qualche bettola sperduta del pianeta, mentre dentro di se' pensa, se potessi mettere per iscritto, stampare questo discorso e fotografare i miei pensieri e metterli su carta, che romanzo meraviglioso, sarebbe. Poi quando riproduci tutto questo non viene mai così com'è stato, perfetto, unico, inimitabile, un'opera d'arte. Qualche giorno fa presi un libricino che avevo nella mia robusta biblioteca, pescandolo in mezzo a testi più conosciuti , considerati o ritenuti importanti. Era intitolato, "Dipingere è amare ancora". Lo presi, uscii di casa e andai a sedermi al Quadrato, una pista di pattinaggio al centro di un piccolo parco circondato di alberi e qualche panchina. Mentre un arabo stava facendo la sua salat della sera, senza vergognarsi , ne' ostentando questo suo sistema di genuflessioni che avrebbe destato la curiosità di più di qualche passante, chi sa perché, molto più che vedere un'anziana signora segnarsi con la croce mentre si rigira in mano un rosario a mo' di komboloi greco,mi sedetti su una panchina e mentre il sole tramontava alle spalle di alcuni palazzoni anni '60 trapuntati di paraboliche su ogni ordine di balconata, aprii questo libro che reca in copertina la poetica immagine di un Miller invecchiato mentre dipinge e cominciai a leggerlo. Subito come quando bevi un buon vino le parole cominciarono a riscaldarmi le budella raffreddate da una vita in un paese come l'Italia che ha smarrito del tutto la via dell'arte e che , americanizzandosi, appunto, ha ridotto qualsiasi espressione artistica a mero mercimonio massmediale e massmediato. Miller racconta come la pittura e l'esecuzione, in particolare, di acquerelli, lo dilettasse e lo rilassasse, nei momenti in cui abbandonava la scrittura per ricaricare le batterie. Racconta come pur non sapendo disegnare o sapendolo fare in modo elementare si buttasse nell'esecuzione di questi disegni senza prospettiva ma dai colori vivaci, come un bambino e anzi ispirandosi ai bambini, refrain che lui trovò nelle biografie di tutti i pittori e in particolar modo dei più affermati, che dichiararono di voler disimparare a disegnare, una volta raggiunta la perfezione a cui molti giungono col dominio della tecnica, per disegnare come bambini, senza mediazioni, istinto puro, occhi, mani, colore. " Con gli acquerelli mi accade come per i libri. I migliori sono quelli che non si affidano mai ad un foglio di carta. Sono quelli con cui si torna a casa dopo una passeggiata sulle colline o dopo un giro in un quartiere pittoresco di una città straniera, o suggeriti dal mare al sorgere del sole, con una barca bianca simile a un fantasma che taglia la linea dell'orizzonte e le montagne, drogate dalla magia della luce, che si offrono come incantevoli sgualdrine, umide di guazza. Una delle ragioni per cui riesce così difficile fissare quei momenti, quegli scorci, è che si è assorbito troppo d'un sol fiato. Qualcuno dirà che per fare un dipinto bisogna scegliere. Mai mettere troppa carne a cuocere!". Il mio animo si rischiara, mentre leggo queste geniali intuizioni espresse in una forma così scintillante e brillante, una scrittura, quella di Miller , che se pensiamo espressa negli anni '40-'50 , ci pare estremamente contemporanea e sempre avanti col tempo, e ci fa capire la grandezza di questo autore che ha fatto bene a non concedersi limiti espressivi, mai comunque. " Non c'è da stupirsi che la pittura venga usata come terapia delle malattie mentali. Anni dopo, rileggendo Nascita della tragedia di Nietzsche sul potere curativo dell'arte... Stranamente mi ritrovavo di nuovo in una situazione penosa. Avendo scritto i due Tropici e qualche altro libro in sovrappiù, ritornavo alla mia terra natale da cui ero partito dieci anni prima, senza il becco di un quattrino. Ricominciai a fare acquerelli, e questa volta non più per ammazzare il tempo o scongiurare la follia, ma per sdebitarmi dei miei numerosi benefattori che mi avevano mandato piccole somme di denaro, abiti, cibo, ombrelli, materiale per dipingere e altro ancora". Miller racconta del suo ritorno nella odiata terra natale, l'America, dopo un autoimposto esilio parigino, che lo aveva fatto diventare uno scrittore anche se non affermato, perché boicottato dal suo paese d'origine, che lo riteneva blasfemo e pornografico, come blasfemo e pornografico sul serio era il pensiero puritano di quel paese protestante, gli Stati Uniti, che ammazzavano e ammazzano i neri e poi chiedono il perdono domenicale in chiese piene di ipocrisia, mentre le mogli degli ammazzatori si sollazzano freudianamente in assolati pomeriggi estivi , con quei neri disprezzati pubblicamente, in segreto, in attesa che diventando bersagli umani per i loro mariti, sia cancellata ogni traccia di quei peccati . Continuo a leggere quasi in apnea, quelle frasi, quei pensieri, mentre tutto intorno i rumori della auto di passaggio, il chiacchiericcio di bambini su biciclettine munite di rotelle d'apprendimento, le risate inumane di madri provate dalla vita che fumano spocchiosamente, restano sullo sfondo, senza disturbarmi più di tanto, come una coscienza deposito di derivazione buddhista. " I famosi biografi ci narrano le sofferenze e le privazioni dei grandi. Ma le pene e le privazioni dell'uomo sconosciuto sono spesso più eloquenti. Le tribolazioni del destino tessono un mantello di insospettato eroismo attorno a queste figure minori. Vincere in virtù della pura forza del genio è una cosa; sopravvivere e continuare a creare anche quando l'ultima porta ci è stata sbattuta in faccia, è un'altra . Nessuno può acquisire la genialità, che è dono divino. Ma si può acquisire pazienza, forza, saggezza, comprensione. Forse il dono più grande che i piccoli uomini possono offrirci è la capacità di accettare le condizioni che la vita impone, accettare, in altre parole, i propri limiti.O ancora, amare quel che si fa, sia che susciti o non susciti clamore". Miller ci invita a non giudicare dalle apparenze o dal successo di pubblico, un artista, un pittore, in particolare. Ma ad essere obbiettivi, perché la bellezza, in fin dei conti, lo è . Anche se le masse sembrano non accorgersene. In pratica, penso mentre leggo, sto assaporando uno di quei capolavori in cui Miller, pur parlando di un argomento specifico, il suo amore per la pittura degli acquerelli in particolare, ci dispensa alcune delle sue massime indimenticabili e ci dà un saggio del suo modo di pensare sull'arte in generale e sulla vita, che spesso, secondo l'autore americano, si intersecano l'una con l'altra. Un'ottantina di pagine di saggezza, che fanno di questo libro una specie di conversazione con un vecchio saggio che vale più di qualunque seduta psicanalitica o lezione d'università. Lo finisco in un paio d'ore. Poi richiudo il libro. E' quasi buio, ma intorno le ombre dei palazzi non mi fanno paura. Finché leggeremo libri e avremo la pretesa di farli rivivere, il mondo ha una speranza. E se non il mondo noi stessi e basta.

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