mercoledì 22 aprile 2015

L'Attarantato (dedicato a Pierangelo Colucci)

Avanzava per i vicoli lastricati di pietra liscia rilucente a specchio nel sole estivo.L'andatura irregolare ,i tratti del viso cangianti,assumeva le espressioni più diverse,a seconda dell'epoca storica o dello spazio geografico nel quale la sua mente lo stesse in quel momento proiettando.Ora sembrava un arabo,ora un persiano,a volte un irakeno impaurito uscito dalla CNN,a tratti un irakeno antico,della Mesopotamia.Come se la sua mente fosse una caleidoscopica macchina del tempo. Ondeggiava ora a destra ora a sinistra,tra gli sguardi un po' curiosi dei pochi passanti nei pomeriggi estivi,quando alla controra ombre umane cercano ombre di caseggiati,quando il sole è violento,incandescente ,una palla infuocata che fulmina la terra del sud.Una terra arsa,aspra,dura,ma ,forse proprio per questo,una terra che se dà un germoglio lo seleziona per la sua forza e la sua abilità nell'essersi fatto largo tra le rocce,rubando liquidi alle fenditure della pietra,regalandoci ,alla fine,quando sboccia definitivamente, il migliore dei fiori. Così l'attarantato andava incontro al suo destino. Aveva quarant'anni , all'epoca, e un viso scarno,scavato,una scrittura delle rughe antica e primigenia.Imboccava una strada nel centro storico di un vecchio borgo di case bianche iridescenti,un piccolo paese del sud mediterraneo.Col suo viso primitivo aveva sfidato la modernità,i treni superveloci che lo avevano portato all'università per laurearsi.Perché così voleva la Sacra Famiglia del Sud alla quale apparteneva.Fosse stato per lui avrebbe volentieri trascorso il suo tempo in modo migliore.In cima ad una collina di rocce bianche che trapuntavano il verde della macchia mediterranea,con l'orecchio teso al vento di levante,così ,solo,a sentire le ciaramelle dei pastori serbi.O esposto al vento di grecale che portava le melodie dei flauti dei pastori greci e le baldorie delle sacre feste contadine di inizio estate,coi tamburelli e le nacchere che riproducevano la stessa armonica violenza di un temporale estivo.Dentro di sé,sentiva già di essere un attarantato.Sin da quando era ragazzo e il mondo orbo e asfittico del conformismo di provincia gli rimproverava di trascorrere troppo tempo con quel tamburello a fare andare i sonagli come stesse ipnotizzando un crotalo e a battere la sua sequenza di colpi che nessun maestro di percussioni del mondo aveva mai sentito.Ma questo perché nel mondo della musica e della magìa,non esistono maestri,ma solo ispirazioni divine.Per cui il Dio dell'attarantato gli aveva donato quest'arte ,quella di muovere quelle mani sulla pelle di capra con la stessa morbidezza vellutata con la quale certe dita esperte accarezzerebbero le natiche di una giovane e avvenente eritrea. Si prese questa benedetta laurea, il fatidico pezzo di carta. E a quel punto tutti lo spingevano alla "carriera" . Ma lui dentro di sé sapeva di non essere fatto per la "carriera".Forse perché certe cose,come lo studiare,riescono bene se uno non ci pensa.Così come altre cose .Le cose che ci dà la natura.Mangiare,amare e,per lui,per l'attarantato:suonare.E ballare.Ballare come un forsennato.Liberarsi di un destino ineluttabile che alla fine ti porterà a ballare anche quando non vorrai,quando non è il tempo ufficiale della festa.Quando le Autorità con i loro calendari ufficiali non hanno previsto che si balli,che sono loro a decidere quando è il tempo,altrimenti il ballo,la musica,il ritmo,rendono troppo felici e fanno dimenticare la produzione.E se non c'è produzione non c'è Autorità. Adesso l'attarantato,a quarant'anni,è proprio il caso di dire,suonati,è nella sua dimora da frate francescano.Si sta guardando allo specchio.La sua vita gli sta scorrendo davanti.Come le sue lacrime.Quanta gente ha fatto ballare suonando il suo tamburello,la sua tammorra.Gente di tutto il mondo,regalando loro un sorriso,un momento di catarsi,una pausa nel registratore delle loro vite che si ripetono sempre uguali come in una musicassetta commerciale.I suoi capelli ricci e ribelli,le rughe precoci di chi s'arrovella alla ricerca del suono primigenio, del vagito di Dio, e quel sorriso strano,un sorriso saggio e folle,consapevole del destino umano ma comprensivo come quello di un oncologo…Intorno a lui,nella sua stanza preferita,appesi al muro ci sono gli strumenti a percussione più incredibili di ogni parte del mondo.E anche strumenti a corda.E foto dei suoi viaggi.Foto della Palestina e dell'Irak,foto di Cuba ,le foto di quei paesi dove si era sentito più a casa che a casa sua e dove aveva potuto suonare e ballare fino a sfinirsi come un Dioniso impenitente senza che nessuno lo facesse sentire un appestato o un "artista",come veniva apostrofato spesso nel suo paesello,con quel tipico sarcasmo un po' invidioso di chi non ha niente da dire e da esprimere, a parte la propria normalità banale. Così ogni giorno,tutti i giorni,l'attarantato visita mondi lontani e tenuti nascosti dalla nostra cosiddetta civiltà.Con la sua antenna parabolica ascolta i discorsi di sceicchi savi o lontani canti di muezzin, gente che le televisioni occidentali definiscono terroristi mentre incensano continuamente persone che massacrano il pianeta senza usare una sola pallottola.Soltanto con delle parole scritte su un pezzo di carta votato dai loro amici che hanno l'ardire di chiamare "leggi".Ma lui,l'attarantato,non la smette.Lui guarda a quel mondo come al suo mondo.Tutti noi veniamo da quella civiltà.Lui certe cose le sentiva nel tamburello mentre lo suonava.Il tamburello gli parlava.Gli atomi del passato venivano catturati dalle sue mani e stampati sulla pelle di capra.Ed ecco come per incanto,l'attaratato sapeva cosa fare,conosceva la direzione. Ora era di nuovo per strada.Il respiro si fa più irregolare ,la camminata più impazzita,sembra una danza forsennata.La gente lo guarda un pò sottecchi.Allarga i passi in mezzo a loro ,caracolla,barcolla,come un satiro brillo,come Garrincha in una finale mondiale di calcio,come il montenegrino Savicevic che non passava mai la palla e faceva ballare la tarantella agli avversari .Ma non cade.Va avanti e poi torna indietro.Poi la sequenza dei passi non ha più criterio.E' come la sequenza dei colpi delle mani sul tamburello.Una musica da attarantato,solo per attarantati….Eccoli che scendono dal cielo,con i loro vestiti bianchi come la case della "Terra",un presepe palestinese,gli occhi neri e fissi come le finestre delle case bianche e le bocche serrate e buie come le porte delle medesime case bianche,gli attarantati scendono dal cielo azzurro come il mare dove accompagneranno il loro amico a fare una gita.Volando o danzando, dipende dallo spirito di chi li guarderà.