giovedì 31 dicembre 2015

Gli anni al contrario, di Nadia Terranova, rece

Viaggiando in autobus durante le vacanze di Natale, un viaggio notturno, lungo, dieci ore circa, da Milano verso la Puglia, mi ero portato, come mia abitudine qualcosa da leggere. La mia attenzione era capitata su "Gli anni al contrario" di Nadia Terranova, libro che avevo acquistato durante la sua presentazione ad Ostuni alcuni mesi passati. Quando nell'abitacolo del pullman si e' fatto buio, ho acceso la lucina sovrastante il mio posto a sedere, ho reclinato il sedile-mi ero piazzato in coda al mezzo, al piano superiore, dove non c'era nessuno -, ho inforcato i recenti occhiali per presbiopia e mi sono immerso nella lettura. Durante la presentazione del libro alcune studentesse avevano letto alcuni brani, in modo da dare un'idea abbastanza precisa dell'opera, ma personalmente io credo alle parole del grande Vladimir Nabokov, quando da qualche parte nei suoi scritti dice:“quando si legge, bisogna cogliere e accarezzare i particolari. Non c’è niente di male nel chiarore lunare della generalizzazione, se viene dopo che si sono amorevolmente colte le solari inezie del libro. Se si parte invece da una generalizzazione preconfezionata, si comincia dalla parte sbagliata e ci si allontana dal libro prima ancora di aver cominciato a capirlo”.Per cui ho iniziato a leggere questo libro con l'intenzione di capire il mondo nel quale l'autrice voleva proiettarci. Dopo i primi capitoli introduttivi in cui la Terranova, scrittrice siciliana che a dispetto dei suoi 37 anni serba un aspetto semiadolescente, inquadra il suo racconto narrandoci delle vite dei protagonisti. La storia e' incentrata su una coppia di Messina: Aurora Silini figlia del "fascistissimo" reduce littorio e direttore del Carcere e Giovanni Santatorre, ultimogenito di una famiglia comunista, il cui genitore e' un noto avvocato e dirigente del partito comunista, e si svolge sullo sfondo degli anni '70, periodo storico sul quale a dire il vero, a dispetto di tanta saggistica, di letteratura non vi e' molto. Le vicende iniziali illustrano la nascita di un amore fra due ragazzi che provengono da famiglie di opposte ideologie e stili di vita ma che insperabilmente decolla ,sia pure all'insegna di un conformismo di maniera, un po' provinciale, che mira alla sistemazione sentimentale e sociale anelata dalle rispettive famiglie, le quali, al di la' delle differenze ideologiche , nel classico clima di riconciliazione postbellico sul tappeto di una pace sociale disteso sul pavimento di un neocapitalismo consumistico ,finiscono per mettersi formalmente d'accordo . La prima parte del libro , scritto in una prosa asciutta ma presentata come in versi, in uno stile che mi ricorda molto i poemi omerici, quanto a musicalita', scorre nella narrazione delle vicende di questi due ragazzi che provano a diventare adulti. Se Aurora Silini si libera dell'ingombrante gravame culturale fascista del padre, aderendo alla protesta studentesca , genius loci di quegli anni, Giovanni contesta il padre da sinistra, accusando lui e il suo partito di attendismo e socialdemocrazia. Nella seconda parte del libro Giovanni diventa protagonista assoluto del racconto, lasciando sullo sfondo le vicende degli altri protagonisti. Secondo uno schema classico della cultura greca antica, due sarebbero i modi di perpetuare se stessi nel tempo, di ambire in qualche modo all'immortalita': avere dei figli o diventare degli eroi. E Giovanni vuole tutte e due queste cose. Aurora resta infatti in cinta, motivo per cui si sposa con il suo compagno, a coronamento di un amore nato sui banchi universitari. Giovani vuole una figlia femmina, lo ha sempre detto, sin da prima che accadesse che Aurora restasse incinta. E vuole essere un eroe. Un rivoluzionario, qualcuno che partecipa ai processi decisionali del paese. Ha un amico a Bologna , delle Brigate Rosse e lo prega di coinvolgerlo in qualcosa di grosso. Ma un po' per il tergiversare dell'amico e un po'per la fretta di compiere azioni immediate quanto inutili e tragicomiche, nel contesto locale , gli ardori rivoluzionari di Giovanni subiscono una battuta d'arresto. E la delusione e' cocente. Portera' Giovanni ad interessarsi sempre meno delle vicende politiche, quasi rassegnato al destino di non poter diventare un eroe. L'uso delle droghe sempre piu' assiduo e il freddo distacco dalla moglie, Aurora, che nel frattempo continua ad amarlo , nonostante tutto, proietteranno Giovanni in un tunnel dai contorni drammatici ma dal quale in qualche modo , un modo personalissimo e descritto stupendamente dall'autrice, trovera' un riscatto che catarticamente chiudera' il cerchio, di questo racconto concentrico letto in una notte, mentre intorno gli altri passeggeri dormono e mentre intorno il mondo dorme il sonno del riflusso. Della vita e delle idee.

domenica 4 ottobre 2015

Islampunk, di Michael Muhammad Knight, Tascabili Newton, rece

Bellissimo libro quello di Michael Muhammad Knight, scrittore mussulmano americano bianco che ha studiato Islam in Pakistan ed ha abbandonato gli studi per partecipare alla guerra in Cecenia. In questo bellissimo ritratto di una generazione di americani islamici figli di immigrati che danno vita ad una loro personale forma di adesione al credo religioso mussulmano attraversando una marea di contraddizioni senza mai perdere di vista l'amore per Allah, che tutto perdona in relazione alle intenzioni vere di chi crede."Il Punk e l'Islam", dice Youssef, alter ego di Knight, studente di ingegneria,"non sono diversi come si potrebbe pensare.Sono iniziati entrambi con tremende esplosioni di verita' e vitalita', ma sembrano aver perso qualcosa lungo la strada: forse l'energia infusa dalla consapevolezza che il mondo non ha mai visto una forza ed un furore tanto positivi e non li rivedra' mai piu'. Entrambi hanno sofferto a causa di traditori e ipocriti, ma anche a causa di credenti sinceri la cui devozione ne aveva mutilato la pulsione creativa. I profani li considerano entrambi come comunita' unite e compatte, quando nulla puo' essere piu' lontano dalla verita'. Raccontando le vite sbrindellate di una galleria di giovani americani, perche' nati li, in odore di islam, fra le quali antropologicamente interessantissime spiccano le antinomiche figure di Rabeya, femminista radicale che indossa il burqa, di Jehangir, mistico sufi che fuma erba sostenendo che il Corano proibisce solo l'alcol e Muzammil, che si batte contro l'omofobia nell'Islam ortodosso, Muhammad Knight, scrittore del 1977, espone una fluidita' narrativa e una potenza allegorica impressionante che alla fine ci pone davanti alla possibilita' che l'Islam non sia esattamente come ci viene raccontato dai media occidentali, ma bensi un movimento millenario molto piu' complesso e ricco in cui l'ironia e l'umorismo, al contrario di cio' che si possa pensare, si sedimentano in una prospettiva di progresso di questo sistema di valori la cui continua evoluzione risulta estremamente ricca ed interessante. Il dialogo di seguito riportato credo che con la sua semplicita' disarmante possa essere sufficientemente esplicativo di quel che Knight vuol dire:" Credi ancora in Allah?", "Credo che siamo stati creati e che proveniamo da Qualcosa...e quel Qualcosa prova nei nostri confronti una compassione che siamo ben lontani dal capire", "Beh, a me questo sembra Islam".

sabato 26 settembre 2015

Il te' verde, di Sophie Lacoste, tea, rece

Sophie Lacoste mi ha deliziato scrivendo un libro sul te' verde dall'omologo titolo, appunto, il te' verde, edito per la tea, appena sei euro. Ripercorrendo in sintesi le origini di una bevanda che la gran massa dei consumatori italiani snobba enormemente in luogo del piu' tradizionale e sigarettofilo caffe', origini che risalgono niente meno che al 350 avanti cristo, in Cina,mentre in Giappone la bevanda fu scoperta e divenne un vero e proprio culto quasi religioso soltanto nel 700 dopo cristo, ci spiega i segreti di questa bevanda salutare i cui innegabili benefici per la salute sono tutt'ora oggetto di studi approfonditi. Il te' verde e' un vero e proprio brucia grassi e contiene sostanze antiaging, che rallentano, cioe', i processi di invecchiamento cellulare, nonche' forti componenti antibatteriche contro stafilococchi e altri batteri. Aumenta la concentrazione senza incidere sul sistema nervoso , cosa che accade invece per il caffe' ed agisce beneficamente sulla sfera sessuale, tanto da essere stato adottato da Luigi XIV alla corte francese, in accoppiata con il ginseng, per favorire la digestione di lauti pranzi e soddisfare al contempo le varie cortigiane. In Inghilterra fu una Stuart, Anna, che lo introdusse, nel 1653, dopo che ne ebbe assaggiata una tazza proveniente da una partita sequestrata ad un battello battente bandiera olandese. Sucessivamente il te' divenne protagonista di guerre commerciali fra olandesi e inglesi. Molte curiosita' vengono soddisfatte da questo prezioso libretto, per esempio che il te' verde si chiama cosi' pur provenendo dalla stessa pianta, Camellia Sinensis, rispetto ai te rossi, neri, gialli e bianchi, unicamente in base alla raccolta e al processo di lavorazione, come pure la temperatura che deve avere l'acqua per goderne al massimo l'aroma e le proprieta' organolettiche. L'autrice consiglia inoltre il te' in foglie e proveniente da agricoltura biologica, perche' altrimenti potrebbe essere foriero di pesticidi dannosi per la salute. Nel finale , dopo averci ammaliato con alcune massime riportate da un libro classico sul te' scritto dal cinese Lu Yu [Il classico del te'], la Lacoste ci accompagna nel mondo delle varieta' di te' Giapponesi, facendoci appassionare al te' come bevanda dai contenuti spirituali, oltre che botanici. Consigliatissimo!

mercoledì 2 settembre 2015

Escursione al Parco Regionale delle Dune Costiere, Ostuni. Agosto 2015

Un mio antico amico d'infanzia, il dottor Gianfranco Ciola, una sera di agosto, in quel di Ostuni, su viale Oronzo Quaranta, cinta muraria di quella sorta di presepe palestinese che e' il centro storico di Ostuni, il quartiere terra, mi invita per il giorno successivo a fare un'escursione nel Parco Naturale Regionale delle Dune Costiere, area di interesse naturalistico e paesaggistico che da Torre Canne si estende fino a Torre San Leonardo, antico presidio aragonese a difesa delle scorrerie turche sulle coste salentine. Lui ne e' il direttore e ne coordina le varie attivita' ormai da alcuni anni con un ritorno di immagine, per Ostuni e circondario, che rispetto alla proporzione delle risorse a disposizione , ha del soprannaturale. Lo conosco praticamente da sempre ed e' il classico esempio della persona giusta nel posto giusto, perche' e' uno che ha sempre visceralmente amato la propria terra, gli ulivi, le zolle rosse, le rocce bianche che vi spuntano a tratti e i cespugli spinosi come l'euphorbia spinosa [di cui il parco e' ricco] , da cui i romani distillavano un succo medicamentoso , di cui Gianfranco conosceva l'esistenza sin dai tempi in cui ballavamo Sunday Bloody Sunday in improbabili discoteche locali. Il giorno dopo mi presento in orario previsto presso la localita' Fiume Morelli, zona che prende il nome dall'omonimo corso d'acqua che li vi sfocia. Alle 19 incontro il mio contatto, la dottoressa MariaFranca Mangano. Ci sono ancora dei bagnanti, siamo alla fine di Agosto e la spiaggia e' superaffollata di turisti che gozzovigliano birrosamente sotto gli ombrelloni raccontandosi barzellette su handicappati ed ebrei, secondo la nouvelle vague del "politicamente corretto e' morto". Inutile dire che pur facendosi il bagno praticamente sotto le millenarie dune fossili che danno il nome al parco, non sembrano interessati a nient'altro che a tranciare le radici degli arbusti di macchia mediterranea che quelle dune, che pure della benefica ombra la generano, lasciano spuntare qua e la', come preistoriche impalcature delle piu' antiche costruzioni primitive realizzate dagli dei del vento e dell'acqua marina. Mentre alla spicciolata arrivano numerosi i partecipanti al gruppo escursionistico che si sono prenotati nei giorni scorsi [tramite il sito internet o altro], con la dottoressa Mangano inganno il tempo chiacchierando amabilmente. E' una biologa marina che ha lavorato qualche tempo nelle Marche ed ha poi avuto quella che lei definisce una grossa fortuna, quella cioe' di poter ritornare in terra appula e per di piu' nella sua citta' di origine, che e' neanche a dirlo , Ostuni,coronando cosi il sogno di lavorare nell'ambito per cui ha studiato. Mi spiega che le acque salmastre dei laghetti retrostanti le dune millenarie che si frappongono come gobbe di improbabili giganteschi cammellosauri [ l'immagine e' dell'autore e se ne assume la responsabilita' stilistica] fra il mare e la marina degli uliveti, sono gestite da una cooperativa di pesca di cui fanno parte i vecchi proprietari del sito. Questi, una volta, all'inizio dell'esperienza, commercializzavano la vendita delle anguille ,[ eccettuati i capitoni, che delle anguille sono le femmine riproduttrici e quindi in quanto tali preziose], interrompendo in seguito la vendita allorche' si veniva a scoprire che le anguille venivano pescate di frodo da bracconieri. A beneficio dell'esecuzione di pesche dimostrative per scolaresche o gruppi che durante tutto l'anno visitano il sito. Mi mostra sul suo smartphone delle foto di anguille ancora nelle uova, dette cieche e di piccoli di anguilla che chiama argentine, che sono quelle che si riproducono in mare. Mi dice che vengono dal mar dei Sargassi. Io do un'occhiata sullo smartphone e scopro che il mar dei Sargassi e' quella parte di Oceano Atlantico che sta fra le Azzorre e le Antille. Emozionante, direi. Sapere che in questi laghetti ci sono anguille che provengono da cosi' lontano...e non hanno bisogno di un permesso di soggiorno! Non e' qualcosa che dovrebbe emozionare uno che vive da queste parti, uno di Ostuni? Chiedo retoricamente alla Mangano. Lei sorride amaramente e dice che i visitatori locali sono in numero limitato rispetto a quelli che vengono da ognidove, persino dall'estero. Man mano arrivano altri partecipanti e siamo quasi pronti per partire. Ci muoviamo lungo la spiaggia in molti con scarpe da trekking, io in perenni infradito anche perche' ,nato in questi lidi, non mi spaventa certo camminare nell'erba alta che i meno informati del gruppo gia' giudicano foriera di vipere. In realta' le vipere vivono in altura e da queste parti non e' cosa o casa loro. Le canne ,che circondano gli specchi d'acqua che riflettono mirabilmente cieli trapunti di poche nuvole dalle forme cangianti scolpite in corso d'opera da brezze grecali/levantine ,un paradiso per i fotografi che amano le rifrangenze, di per se', sono rare e protette, come pure altri arbusti che incontriamo nel percorso e sui quali la Mangano, perfetto esempio di appassionata della materia sin nel look occhialuto, nei capelli a caschetto e non lunghi proescursionismo e nelle guance arrossate da un'emotivita' passionale e partecipata, ci rende tutti edotti. Ad un certo punto si entra in un quadrato a cielo aperto, che e' posto a centro di questi laghetti. Qui ci fermiamo tutti disponendoci in cerchio. E' il luogo dove anticamente si lavoravano anguille e cefali. Un po' di persone finalmente fanno domande mostrandosi interessate. Un bergamasco si meraviglia che i capitoni siano delle prelibatezze alimentari per tutto il sud specie per i campani. Io gli chiedo se ha mai visto un film di Toto'. Lui mi risponde di no. E' molto giovane ma mi sorprende che non conosca Toto'. Toto' Schillaci? Gli chiedo. Quello si che lo conosce, ma non capisce cosa c'entri con i capitoni. Proseguiamo senza supplementi di chiarimento. Nell'erba folta qualcuno ha panico da vipere, e a nulla serve rassicurarli che a massimo ci possono essere delle bisce d'acqua: il nostro immaginario biblico da "serpente immagine del male tentatore" non ci abbandonera' mai. Per cui il termine bisce non sembra piu' rassicurante ai piu'. Ci fermiamo sotto quelli che potrebbero sembrare grossi arbusti di macchia mediterranea. Sta imbrunendo, ma ad un'attenta osservazione , invitati dall'altra operatrice di una delle cooperative che gestiscono il parco, Ginevra Viesti, ci accorgiamo, con l'ausilio di lampadine e smartphones, che si tratta dei terminali di un immenso albero sepolto nella duna dietro la quale siamo andati a finire, ad una cinquantina di metri dagli anguillosi laghetti di salmastre li nei pressi. E sono i rami terminali di un albero dal nome curioso, Ginepro coccolone, la cui eta' e' stata calcolata intorno agli ottocento anni. Emozionante! Stare sotto le chiome di quest'albero quasi millenario. Ginevra, questa ragazza dal somatico arabo, capelli lunghi corvini e fare spigliato, ci spiega che il nome dell'albero viene dalla bacche, le coccole, e che quest'albero imponente e antico ha scarse possibilita' di riproduzione, in quanto il metodo di inseminazione primitivo e ancestrale, consiste nella ripiantumazione spontanea delle bacche una volta che tassi e volpi, animali scomparsi dalle coste salentine, ne spargono attraverso le loro feci. La rarita' in queste zone costiere di questi agenti involontari di inseminazione della piante rendono quest'albero sempre piu' raro, per cui si sta cercando di riprodurlo in serre. A me stare al cospetto di un albero di ottocento anni mette i brividi. Mi trasmette un sentimento strano, come se fossi al cospetto di un Erodoto arboreo, uno che ha visto secoli di storia, che ha assistito a guerre, armistizi, massacri, accoglienze, catarsi, baci lievi rubati allo sguardo delle stelle temporaneamente coperte da lievi nuvole di passaggio... Subito dopo , sempre Ginevra, tiene una specie di lezione sulle alghe, che la maggior parte delle persone, dei bagnanti canonici estivi, potremmo dire,percepiscono come qualcosa di sporco e dannoso . Una sorta di stupidita' collettiva che costringe chi gestisce le spiagge, ad un uso massiccio di trattori e macchinari il cui utilizzo danneggia le dune, queste formazioni di sabbia millenarie radunate dal vento e scolpite dalle acque salmastre popolate da mantelli verdi di macchia mediterranea a piante spontanee dall'aspetto bellissimo come ad esempio il Giglio di mare. Le alghe, spiega Ginevra, sono piante secche, sono come il fogliame che copre il terreno dei boschi rendendolo morbido al calpestio. E poi emanano profumo di mare. Ma come con tutto cio' che non si conosce i pregiudizi sono rari a stemperarsi. E' buio ormai, quasi le nove di sera e con il gruppo ci spostiamo sulla spiaggia. Un esperto di astronomia ci attende per delle spiegazioni sulle stelle e conseguenti osservazioni ad un telescopio che ha sapientemente piazzato al centro dell'appezzamento sabbioso ormai sgombro di bagnanti. Con una luce al laser ci indica la stella polare, che definisce come la coda del carro minore a cinque lunghezze dall'ultima stella del carro maggiore. Ma potrei non ricordare bene, la serata e' stata cosi gravida di emozioni che le immagini suggestive dell'escursione gia' si accavallano caleidoscopiche, riempendomi la mente di gioia. Sono esausto di bellezza. Tanto che ad un certo punto mi allontano e decido di rientrare a casa.Il gruppo e' invitato a proseguire per la stazione ferroviaria di Fontevecchia, opportunamente restaurata negli ultimi anni e integrata perfettamente nel sistema parco, dove, piu' tardi, sara' proiettato un film . Una giornata fantastica, durante la quale ho condiviso con altri emozioni uniche. Queste realta', come il Parco Regionale delle Dune Costiere, dovrebbero essere difese e incentivate. Ed esiste un solo modo per permettere a queste specie di sogni naturalistici ad occhi aperti di sopravvivere, al di la' dei finanziamenti pubblici:andiamo a visitarli e pubblicizziamo la loro esistenza ai nostri amici. Ci sentiremo piu' orgogliosi della nostra terra e forse la rispetteremo di piu'.

martedì 2 giugno 2015

Dipingere è amare ancora, di Henry Miller , Abscondita ed, rece

Molti diranno che sono fissato, ma a me Henry Miller piace proprio tanto. E' uno di quegli autori che non ti stanchi mai di leggere. Ti sembra di sentirlo , in preda al delirio alcolico che comizia a capo tavola in qualche bettola sperduta del pianeta, mentre dentro di se' pensa, se potessi mettere per iscritto, stampare questo discorso e fotografare i miei pensieri e metterli su carta, che romanzo meraviglioso, sarebbe. Poi quando riproduci tutto questo non viene mai così com'è stato, perfetto, unico, inimitabile, un'opera d'arte. Qualche giorno fa presi un libricino che avevo nella mia robusta biblioteca, pescandolo in mezzo a testi più conosciuti , considerati o ritenuti importanti. Era intitolato, "Dipingere è amare ancora". Lo presi, uscii di casa e andai a sedermi al Quadrato, una pista di pattinaggio al centro di un piccolo parco circondato di alberi e qualche panchina. Mentre un arabo stava facendo la sua salat della sera, senza vergognarsi , ne' ostentando questo suo sistema di genuflessioni che avrebbe destato la curiosità di più di qualche passante, chi sa perché, molto più che vedere un'anziana signora segnarsi con la croce mentre si rigira in mano un rosario a mo' di komboloi greco,mi sedetti su una panchina e mentre il sole tramontava alle spalle di alcuni palazzoni anni '60 trapuntati di paraboliche su ogni ordine di balconata, aprii questo libro che reca in copertina la poetica immagine di un Miller invecchiato mentre dipinge e cominciai a leggerlo. Subito come quando bevi un buon vino le parole cominciarono a riscaldarmi le budella raffreddate da una vita in un paese come l'Italia che ha smarrito del tutto la via dell'arte e che , americanizzandosi, appunto, ha ridotto qualsiasi espressione artistica a mero mercimonio massmediale e massmediato. Miller racconta come la pittura e l'esecuzione, in particolare, di acquerelli, lo dilettasse e lo rilassasse, nei momenti in cui abbandonava la scrittura per ricaricare le batterie. Racconta come pur non sapendo disegnare o sapendolo fare in modo elementare si buttasse nell'esecuzione di questi disegni senza prospettiva ma dai colori vivaci, come un bambino e anzi ispirandosi ai bambini, refrain che lui trovò nelle biografie di tutti i pittori e in particolar modo dei più affermati, che dichiararono di voler disimparare a disegnare, una volta raggiunta la perfezione a cui molti giungono col dominio della tecnica, per disegnare come bambini, senza mediazioni, istinto puro, occhi, mani, colore. " Con gli acquerelli mi accade come per i libri. I migliori sono quelli che non si affidano mai ad un foglio di carta. Sono quelli con cui si torna a casa dopo una passeggiata sulle colline o dopo un giro in un quartiere pittoresco di una città straniera, o suggeriti dal mare al sorgere del sole, con una barca bianca simile a un fantasma che taglia la linea dell'orizzonte e le montagne, drogate dalla magia della luce, che si offrono come incantevoli sgualdrine, umide di guazza. Una delle ragioni per cui riesce così difficile fissare quei momenti, quegli scorci, è che si è assorbito troppo d'un sol fiato. Qualcuno dirà che per fare un dipinto bisogna scegliere. Mai mettere troppa carne a cuocere!". Il mio animo si rischiara, mentre leggo queste geniali intuizioni espresse in una forma così scintillante e brillante, una scrittura, quella di Miller , che se pensiamo espressa negli anni '40-'50 , ci pare estremamente contemporanea e sempre avanti col tempo, e ci fa capire la grandezza di questo autore che ha fatto bene a non concedersi limiti espressivi, mai comunque. " Non c'è da stupirsi che la pittura venga usata come terapia delle malattie mentali. Anni dopo, rileggendo Nascita della tragedia di Nietzsche sul potere curativo dell'arte... Stranamente mi ritrovavo di nuovo in una situazione penosa. Avendo scritto i due Tropici e qualche altro libro in sovrappiù, ritornavo alla mia terra natale da cui ero partito dieci anni prima, senza il becco di un quattrino. Ricominciai a fare acquerelli, e questa volta non più per ammazzare il tempo o scongiurare la follia, ma per sdebitarmi dei miei numerosi benefattori che mi avevano mandato piccole somme di denaro, abiti, cibo, ombrelli, materiale per dipingere e altro ancora". Miller racconta del suo ritorno nella odiata terra natale, l'America, dopo un autoimposto esilio parigino, che lo aveva fatto diventare uno scrittore anche se non affermato, perché boicottato dal suo paese d'origine, che lo riteneva blasfemo e pornografico, come blasfemo e pornografico sul serio era il pensiero puritano di quel paese protestante, gli Stati Uniti, che ammazzavano e ammazzano i neri e poi chiedono il perdono domenicale in chiese piene di ipocrisia, mentre le mogli degli ammazzatori si sollazzano freudianamente in assolati pomeriggi estivi , con quei neri disprezzati pubblicamente, in segreto, in attesa che diventando bersagli umani per i loro mariti, sia cancellata ogni traccia di quei peccati . Continuo a leggere quasi in apnea, quelle frasi, quei pensieri, mentre tutto intorno i rumori della auto di passaggio, il chiacchiericcio di bambini su biciclettine munite di rotelle d'apprendimento, le risate inumane di madri provate dalla vita che fumano spocchiosamente, restano sullo sfondo, senza disturbarmi più di tanto, come una coscienza deposito di derivazione buddhista. " I famosi biografi ci narrano le sofferenze e le privazioni dei grandi. Ma le pene e le privazioni dell'uomo sconosciuto sono spesso più eloquenti. Le tribolazioni del destino tessono un mantello di insospettato eroismo attorno a queste figure minori. Vincere in virtù della pura forza del genio è una cosa; sopravvivere e continuare a creare anche quando l'ultima porta ci è stata sbattuta in faccia, è un'altra . Nessuno può acquisire la genialità, che è dono divino. Ma si può acquisire pazienza, forza, saggezza, comprensione. Forse il dono più grande che i piccoli uomini possono offrirci è la capacità di accettare le condizioni che la vita impone, accettare, in altre parole, i propri limiti.O ancora, amare quel che si fa, sia che susciti o non susciti clamore". Miller ci invita a non giudicare dalle apparenze o dal successo di pubblico, un artista, un pittore, in particolare. Ma ad essere obbiettivi, perché la bellezza, in fin dei conti, lo è . Anche se le masse sembrano non accorgersene. In pratica, penso mentre leggo, sto assaporando uno di quei capolavori in cui Miller, pur parlando di un argomento specifico, il suo amore per la pittura degli acquerelli in particolare, ci dispensa alcune delle sue massime indimenticabili e ci dà un saggio del suo modo di pensare sull'arte in generale e sulla vita, che spesso, secondo l'autore americano, si intersecano l'una con l'altra. Un'ottantina di pagine di saggezza, che fanno di questo libro una specie di conversazione con un vecchio saggio che vale più di qualunque seduta psicanalitica o lezione d'università. Lo finisco in un paio d'ore. Poi richiudo il libro. E' quasi buio, ma intorno le ombre dei palazzi non mi fanno paura. Finché leggeremo libri e avremo la pretesa di farli rivivere, il mondo ha una speranza. E se non il mondo noi stessi e basta.

mercoledì 27 maggio 2015

Prime impressioni della Grecia, Henry Miller, ed Ibis, una specie di recensione....

Henry Miller ha scritto più di 300 libri, ma per una sorta di boicottaggio culturale , intellettuale, in Italia ne sono stati tradotti e pubblicati una trentina e di difficile reperimento. Sicuramente perché Miller è uno che non bara, va dritto al punto ed è capace di dirti per iscritto che il suo editore non vale una cicca. Io ogni tanto compro su alcuni siti di internet alcuni dei suoi libri, mano mano che vengono recuperati da fondi di magazzino invenduti o addirittura usati e li leggo qua e là a spizzichi e bocconi, di quando in quando, nei ritagli del tempo liberato dal lavoro. Di recente ho letto questo libretto, dal titolo, "Prime impressioni della Grecia", ed. Ibis, nato dagli appunti di Miller su un suo primo viaggio in Grecia nel 1939, antefatto geniale da cui nascerà in seguito il suo libro, "Il colosso di Marussi", ed Feltrinelli . Mentre ero in attesa in una sala del comune di Corsico, che mi facessero il calcolo della Tasi, mi sono messo a leggere questo libretto di Miller . E subito il mio umore fino a quel momento non troppo buono, è migliorato di colpo. Oltretutto tutta la gente intorno ha cominciato a gracchiare di argomenti del tipo se era meglio Berlusconi o magari se Renzi fosse addirittura peggio, e che gli impiegati pubblici non facevano niente e bisognava privatizzare il Comune, se addirittura rispondevano al telefono mentre calcolavano Tasi e Imu varie . Mentre la gente intorno litigava , io leggevo Henry Miller. Come lo capivo quando scriveva cose come:" C'è anche John Stefanakos, un greco di Buffalo , New York. Quindici anni di America lo hanno fatto diventare americano più di quanto io non sia mai stato. Anche il suo accento è più americano del mio. John si è trasformato in un maiale-grosso maiale con il sugo che gli cola dalla bocca.Non ha niente da fare, oltre a prestare dei soldi ai suoi compatrioti, con gli interessi.La sua casa sembra un raffinato manicomio.La moglie è una minorata mentale dal carattere gradevole.E' abile con l'ago, una virtù che John apprezza. Ma il suo cuore è all'ippodromo di Buffalo. Si è portato dietro abbastanza vestiario per il resto della vita. Della vita non ha visto altro che Spezzia, dove è nato.Pensa che la gente abbia bisogno di più macchine, di più soldi. E' l'esempio perfetto dell'uomo smarrito, quello che l'America prende in grembo, castra e ingrassa come un eunuco. Fuma sigari costosi, beve whisky, parla dall'angolo della bocca...E' stato prosciugato di tutto ciò che forma un essere umano. E' come una di quelle lattine che si vedono abbandonate sulle spiagge dei paesi raggiunti dal progresso". Arriva il mio turno. Mi siedo. L'Impiegata davanti al Pc mentre svolge la mia pratica riceve delle telefonate che sono tutt'altro che personali. Altri cittadini che chiedono informazioni. Io pur essendomi recato in Comune molto presto, sono stato servito dopo dieci minuti dall'apertura. Un record, credo, per un ufficio pubblico. E anche per un ufficio privato. Ho ancora alcune altre commissioni da fare così approfitto ed economizzo il tempo di attesa , anzi, lo ergonomizzo, e mentre sono in Posta , sempre in attesa del mio turno, continuo a leggere. Me ne sto seduto e c'è un vecchio che dà in escandescenze:" voi impiegati pubblici non avete voglia di fare niente", urla. Al mio fianco è seduta una suora. E proprio in quel momento, quasi magicamente l'autore che stai leggendo volesse metempsicoticamente comunicare con te, il mio occhio cade su questo pezzo:" Passo al monastero bianco, immobile sulla collina sovrastante i due bracci d mare.Pace e quiete pervadono tutte le cose. Alcune vecchie suore al lavoro con pala e piccone sul pendio a terrazze. Nelle gabbie appese alla vite, che ripara dal sole le piccole celle bianche, cantano gli uccelli. Mi è chiaro di nuovo che ci vuole una grande intelligenza per scegliere una vita come quella di queste vecchie suore. Esse guadagnano mille volte tutto ciò a cui rinunciano per venire qui. La fede, la moralità, l'etica, non sono nulla- è la forma della vita che dà pace e carattere e saggezza". La suora osserva la scena. "Santo iddio", dice,"si fa prima a essere gentili, per risolvere le cose". Arriva il mio turno per pagare delle bollette. Sul display appare il mio numerino. Ho appena finito di leggere quest'altro brano:" E' impensabile, assolutamente impossibile, che questi luoghi sacri subiscano un giorno l'influenza del progresso. In quest' atmosfera nessuna macchina potrebbe sopravvivere. Qui governa in modo tirannico lo spirito del luogo, padrone supremo del passato, del presente, del futuro. Quello che lo spirito umano ha realizzato in questi pochi nuclei di caos, rimane imperituro. La vita gira vorticosamente attorno a queste rocce eterne, a questi appigli silenziosi della terra. Spesso, quando osservavo le vestigia nei musei mi veniva in mente che l'uomo, in realtà, saccheggiando le tombe, contribuisce a propiziare la presenza della santità. E' un bene rimuovere ogni manifestazione materiale. Un giorno tutti i musei periranno, insieme alle vestigia delle conquista umane del passato. Ma l'uomo, volente o nolente, sarà attratto verso i luoghi dove lo spirito si libra in eterno , per riscoprirne il retaggio". Amen, aggiungo io. Termino la mia preghiera laica e vado a pagare la bolletta di internet.

mercoledì 22 aprile 2015

L'Attarantato (dedicato a Pierangelo Colucci)

Avanzava per i vicoli lastricati di pietra liscia rilucente a specchio nel sole estivo.L'andatura irregolare ,i tratti del viso cangianti,assumeva le espressioni più diverse,a seconda dell'epoca storica o dello spazio geografico nel quale la sua mente lo stesse in quel momento proiettando.Ora sembrava un arabo,ora un persiano,a volte un irakeno impaurito uscito dalla CNN,a tratti un irakeno antico,della Mesopotamia.Come se la sua mente fosse una caleidoscopica macchina del tempo. Ondeggiava ora a destra ora a sinistra,tra gli sguardi un po' curiosi dei pochi passanti nei pomeriggi estivi,quando alla controra ombre umane cercano ombre di caseggiati,quando il sole è violento,incandescente ,una palla infuocata che fulmina la terra del sud.Una terra arsa,aspra,dura,ma ,forse proprio per questo,una terra che se dà un germoglio lo seleziona per la sua forza e la sua abilità nell'essersi fatto largo tra le rocce,rubando liquidi alle fenditure della pietra,regalandoci ,alla fine,quando sboccia definitivamente, il migliore dei fiori. Così l'attarantato andava incontro al suo destino. Aveva quarant'anni , all'epoca, e un viso scarno,scavato,una scrittura delle rughe antica e primigenia.Imboccava una strada nel centro storico di un vecchio borgo di case bianche iridescenti,un piccolo paese del sud mediterraneo.Col suo viso primitivo aveva sfidato la modernità,i treni superveloci che lo avevano portato all'università per laurearsi.Perché così voleva la Sacra Famiglia del Sud alla quale apparteneva.Fosse stato per lui avrebbe volentieri trascorso il suo tempo in modo migliore.In cima ad una collina di rocce bianche che trapuntavano il verde della macchia mediterranea,con l'orecchio teso al vento di levante,così ,solo,a sentire le ciaramelle dei pastori serbi.O esposto al vento di grecale che portava le melodie dei flauti dei pastori greci e le baldorie delle sacre feste contadine di inizio estate,coi tamburelli e le nacchere che riproducevano la stessa armonica violenza di un temporale estivo.Dentro di sé,sentiva già di essere un attarantato.Sin da quando era ragazzo e il mondo orbo e asfittico del conformismo di provincia gli rimproverava di trascorrere troppo tempo con quel tamburello a fare andare i sonagli come stesse ipnotizzando un crotalo e a battere la sua sequenza di colpi che nessun maestro di percussioni del mondo aveva mai sentito.Ma questo perché nel mondo della musica e della magìa,non esistono maestri,ma solo ispirazioni divine.Per cui il Dio dell'attarantato gli aveva donato quest'arte ,quella di muovere quelle mani sulla pelle di capra con la stessa morbidezza vellutata con la quale certe dita esperte accarezzerebbero le natiche di una giovane e avvenente eritrea. Si prese questa benedetta laurea, il fatidico pezzo di carta. E a quel punto tutti lo spingevano alla "carriera" . Ma lui dentro di sé sapeva di non essere fatto per la "carriera".Forse perché certe cose,come lo studiare,riescono bene se uno non ci pensa.Così come altre cose .Le cose che ci dà la natura.Mangiare,amare e,per lui,per l'attarantato:suonare.E ballare.Ballare come un forsennato.Liberarsi di un destino ineluttabile che alla fine ti porterà a ballare anche quando non vorrai,quando non è il tempo ufficiale della festa.Quando le Autorità con i loro calendari ufficiali non hanno previsto che si balli,che sono loro a decidere quando è il tempo,altrimenti il ballo,la musica,il ritmo,rendono troppo felici e fanno dimenticare la produzione.E se non c'è produzione non c'è Autorità. Adesso l'attarantato,a quarant'anni,è proprio il caso di dire,suonati,è nella sua dimora da frate francescano.Si sta guardando allo specchio.La sua vita gli sta scorrendo davanti.Come le sue lacrime.Quanta gente ha fatto ballare suonando il suo tamburello,la sua tammorra.Gente di tutto il mondo,regalando loro un sorriso,un momento di catarsi,una pausa nel registratore delle loro vite che si ripetono sempre uguali come in una musicassetta commerciale.I suoi capelli ricci e ribelli,le rughe precoci di chi s'arrovella alla ricerca del suono primigenio, del vagito di Dio, e quel sorriso strano,un sorriso saggio e folle,consapevole del destino umano ma comprensivo come quello di un oncologo…Intorno a lui,nella sua stanza preferita,appesi al muro ci sono gli strumenti a percussione più incredibili di ogni parte del mondo.E anche strumenti a corda.E foto dei suoi viaggi.Foto della Palestina e dell'Irak,foto di Cuba ,le foto di quei paesi dove si era sentito più a casa che a casa sua e dove aveva potuto suonare e ballare fino a sfinirsi come un Dioniso impenitente senza che nessuno lo facesse sentire un appestato o un "artista",come veniva apostrofato spesso nel suo paesello,con quel tipico sarcasmo un po' invidioso di chi non ha niente da dire e da esprimere, a parte la propria normalità banale. Così ogni giorno,tutti i giorni,l'attarantato visita mondi lontani e tenuti nascosti dalla nostra cosiddetta civiltà.Con la sua antenna parabolica ascolta i discorsi di sceicchi savi o lontani canti di muezzin, gente che le televisioni occidentali definiscono terroristi mentre incensano continuamente persone che massacrano il pianeta senza usare una sola pallottola.Soltanto con delle parole scritte su un pezzo di carta votato dai loro amici che hanno l'ardire di chiamare "leggi".Ma lui,l'attarantato,non la smette.Lui guarda a quel mondo come al suo mondo.Tutti noi veniamo da quella civiltà.Lui certe cose le sentiva nel tamburello mentre lo suonava.Il tamburello gli parlava.Gli atomi del passato venivano catturati dalle sue mani e stampati sulla pelle di capra.Ed ecco come per incanto,l'attaratato sapeva cosa fare,conosceva la direzione. Ora era di nuovo per strada.Il respiro si fa più irregolare ,la camminata più impazzita,sembra una danza forsennata.La gente lo guarda un pò sottecchi.Allarga i passi in mezzo a loro ,caracolla,barcolla,come un satiro brillo,come Garrincha in una finale mondiale di calcio,come il montenegrino Savicevic che non passava mai la palla e faceva ballare la tarantella agli avversari .Ma non cade.Va avanti e poi torna indietro.Poi la sequenza dei passi non ha più criterio.E' come la sequenza dei colpi delle mani sul tamburello.Una musica da attarantato,solo per attarantati….Eccoli che scendono dal cielo,con i loro vestiti bianchi come la case della "Terra",un presepe palestinese,gli occhi neri e fissi come le finestre delle case bianche e le bocche serrate e buie come le porte delle medesime case bianche,gli attarantati scendono dal cielo azzurro come il mare dove accompagneranno il loro amico a fare una gita.Volando o danzando, dipende dallo spirito di chi li guarderà.

mercoledì 21 gennaio 2015

Una coppia perfetta, di Joe R. Lansdale, recensione

In attesa che mi torni l'ispirazione per le foto, mentre scrivo i miei libri, leggo anche. Dove diavolo trovi il tempo è per me un mistero al pari di quello della fede che ho sentito declamare ad un certo punto delle funzioni religiose migliaia di volte . Mio fratello dice che è perché non tengo famiglia, io invece una famiglia ce l'ho, quella umana...e le mille famiglie che frequento nelle mie esplorazione umane, facendo del bene, qualche volta, se riesco e senza pubblicità, come se fossi un buon cattolico senza essere un buon cattolico. Il libro di cui vi voglio parlare è "Una coppia perfetta",tascabile Einaudi, costituito da tre racconti, tre gioielli che i critici letterari istituzionali ascrivono al genere pulp-thriller, ma che io invece definisco Letteratura con la L maiuscola. Il bravo scrittore texano, Joe R. Lansdale, già autore di numerosi libri, romanzi e racconti che abbracciano le tematiche più varie con i trait d'union costanti delle arti marziali intese come strumento filosofico esistenziale, più che tecnica del menar cazzotti in modo estetico ed elegante , della letteratura dei romanzi di serie b, dei fumetti e dei b movie già saccheggiati e trasvalutati ad libitum dal grande Tarantino in forma di film destinati a diventare classici del cinema di tutti i tempi,in questo testo, racconta tre storie. Tre avventure dei suoi personaggi più riusciti, vale a dire Hap Collins, eterosessuale liberal politically correct e Leonard Pine, omosessuale nero di destra ,autenticamente e convintamente violento(sia pure a fin di bene o per giustizia personale), entrambi di mezz'età, i quali fra lavoretti saltuari un po' all'americana e incarichi da detectives, danno vita a delle vicende picaresche, i cui dialoghi di una comicità surreale ( da farti sbottare dal ridere da solo mentre leggi, e a me è successo, in pausa al lavoro o in autobus mentre mi dirigevo per un giro in centro a Milano) costituiscono la cifra di una società, quale è quella americana tragicomicamente complessa e contraddittoria (che è poi il tipo di società verso cui stiamo andando anche noi). Nel primo racconto troviamo i nostri due eroi alle prese con la risoluzione del caso sottoposto loro da un brillante intellettuale che per badare al fratello, invischiato nell'organizzazione di una rapina che non promette nulla di buono per la sua salute, lascia il proprio incarico di prestigio e ben retribuito, per andare a fare il bidello in un'università. Costui si rivolge ai nostri eroi promettendogli dei soldi per tirare fuori dai guai suo fratello, affascinato dal capo di questa banda di personaggi improponibili, descritti sempre in modo sarcastico sin nei particolari fisici, pance debordanti, sguardi svegli come cavie da laboratorio, come pure lo stesso loro capo, soprannominato Ciminiera, bozzettato come una montagna di muscoli da palestra sul corpo contraddetti clamorosamente dalla strana abitudine, strana per uno sportivo, del fumo. Nella vicenda viene coinvolta l'eterna fidanzata di Hap Collins, Brett , infermiera dalla forme sagaci, rossa di capelli, molto ironica ed un po' sboccata , ma parecchio intelligente e , particolare non trascurabile per inquadrare i personaggi, sempre munita di una rivoltella infilata nella giarrettiera. Per dirla tutta chi di noi non vorrebbe incontrare una donna così, io per esempio sogno di conoscere una comandante delle milizie serbe della guerra civile slava, ma questa è un altra storia. La storia sarà risolta con il solito mix di improvvisazione, azione, umorismo e violenza, che , nelle descrizioni, appare così truculenta, da svaporarsi rispetto ai contenuti della vicende, un po' come se leggessimo un fumetto, ecco. La seconda storia vede l'apparizione di Veil, spesso protagonista nelle storie dei due detectives sbrindellati all'apparenza, diciamo così. Veil è un avvocato che ha un vissuto intenso, misterioso. Una parte di questo vissuto viene svelato nel racconto per convincere il nero Leonard ad essere difeso da lui in una causa intentagli contro per aver incendiato volontariamente una casa del suo vicinato dove dei tizi spacciavano crack. Con una condotta processuale impeccabilmente basata sul parallelismo fra l'avvento della peste bubbonica nel secolo scorso e la diffusione presso la gioventù del luogo del crack, e cioè di quella piaga che nelle periferie americane ne ha uccisi più del Vietnam, riuscirà a convincere la giuria, che in barba al giudice, farà assolvere Leonard Pine. Il quale riconoscerà a Veil lo status di figlio di puttana, che detto con un diverso tono e soprattutto in un diverso contesto equivale, traducendo il linguaggio suburbano, alla definizione di genio. Nel terzo ed ultimo racconto di questo libro stupendo e divertente che mi ha fatto sembrare pazzo un paio di volte mentre ridevo da solo in metropolitana- e , permettetevi, è questo che deve fare un libro, coinvolgervi, strapparvi le unghie per emozioni e risate-, i nostri eroi-antieroi, sono alle prese con la dixie-mafia, la mafia italoamericana, che li coinvolge in un ricatto volto ad incassare la polizza vita di un ex petroliere come contropartita al suo debito di gioco pregresso. La scena finale con un duello da film western, fra un killer di colore e Hap Collins,che, oltre ad essere l'io narrante delle storie sospetto essere una sorta di alter ego deformato di Lansdale, è da applausi, meglio di un film, meglio di un racconto di Tex Willer. Ogni tanto, di quando in quando, quando sono giù e devo cercarmi l'ispirazione per colpire ed uccidere metaforicamente qualcuno che detesto con la forza di immagini e parole dissacranti, mi rileggo un libro di Lansdale. Più di un politico, di un dirigente, di uno pseudointelletuale, più di un figlio di puttana, in definitiva, è ancora in vita perché qualcuno li ha uccisi solo nella propria mente. Come in un libro di Lansdale. Catartico, direi.

mercoledì 14 gennaio 2015

Limonov, una recensione

Ho appena finito di leggere "Limonov", mix di biografia e romanzo, scritto da Emmanuele Carrére, edito per i tipi della Adelphi, in Italia. Un bellissimo libro che narra la biografia di un eroe antieroe, un uomo, Eduard Limonov, che , nel bene e nel male io considero un'artista, se per artista consideriamo chiunque che , oltre a creare arte in qualche forma espressiva, e lui lo fa scrivendo dei bellissimi libri autobiografici e "tosti",immola se stesso e la propria esistenza alla musa dell'arte, seppure , mediato dalla politica, dalla brama di potere, una brama di potere che lo lascerà a mani vuote costringendolo a vivere come il fantasma del se stesso (non realizzato) che invece avrebbe voluto essere. Carrére ha raccolto molto materiale su questo eterno enfant prodige della letteratura russa contemporanea, leggendo i suoi libri, incontrando i suoi amici e conoscenti e ,infine, incontrando lui, Eduard Limonov, in realtà Eduard Savenko, facendosi raccontare la sua infanzia da teppista a Kharkov, quando, figlio di un cekista, adepto ante litteram del Kgb, tornando a casa da una rissa malconcio giurò a se stesso che mai più si sarebbe fatto ridurre così, semplicemente perché avrebbe fatto capire al mondo che sarebbe stato disposto ad uccidere. Il nome Limonov glielo mise la sua prima compagna di un certo rilievo, una poetessa beatnik più grande di lui che lo iniziò alla letteratura e alla scrittura e in realtà significa granata, nel senso di bomba, in russo. A Eduard questo nome piacque talmente tanto che se lo tenne. E se lo portò negli Stati Uniti, dissidente ai tempi di Breznev, dove , espulso dal suo paese, condusse una vita da hobos, vagando di casa in casa e di lavoretto in lavoretto e conoscendo una giovane russa ninfomane con cui si accompagnò amandola alla follia, nonostante tutto, nonostante i suoi tradimenti con uomini che la illudevano di poterla mantenere in quel periodo di fame per tutti e due. Limonov toccò il fondo, conobbe l'omosessualità come risposta sadomasochistica ai tradimenti della sua compagna che lo ingannava in continuazione e comincia a scrivere. Si accompagna a gente dei quartieri artistici e mostra il suo primo libro," Io Edicka" a poeti e ballerini russi famosi. E' un dissidente, nel suo paese, ma gli Stati Uniti gli fanno schifo, non rappresentano quell'ideale di libertà e democrazia all'interno del quale c'è posto per tutti. E scrive "Fuck America" , un libro che nessuno volle pubblicare. Nel frattempo, come succede in queste faccende, pur piacendo i suoi libri, fra i quali Carrère segnala , "Diario di un fallito", sorta di raccolta di pensieri fra il nostalgico staliniano e il libertario spinto, scritti un po' alla Henry Miller, nessuno li voleva pubblicare, perché , more solito nepotista, chi era questo Limonov? Nient'altro che un barbone russo che non aveva amici influenti. Solo perché la sua egomaniacalità lo portava a pensare di essere, lui, influente, di per se' , e senza inutili laccaculismi a conventicole ben agganciate ai canali giusti.Ad un certo punto un editore francese riceve un suo manoscritto e glielo pubblica. Limonov , più che famoso, comincia ad essere riconosciuto come scrittore. Al suo scritto che narra delle sue vicende americane viene dato un titolo ad effetto che sfonda:" Al poeta russo piacciono i grandi negri". Limonov si trasferisce in Francia , a Parigi, dove comincia a frequentare gli ambienti letterari. Ma gli emolumenti derivanti dalla pubblicazione dei suoi libri, gli bastano appena per sopravvivere. Continua a vivere ai margini della società, ma la cosa non pare dispiacergli troppo, perché lui quegli ambienti li conosce bene, era stato un teppista , nella sua infanzia , era come se gli fornissero la giusta benzina per portare avanti la sua idea personale di grandezza , che aveva come obbiettivo finale, diventare un leader politico capace di prendere il potere in Russia. Nella sua splendida biografia , di quest'uomo dalla cento vite, spiccano il suo ritorno in Russia, dove fonda il Partito Nazionalbolscevico, raccogliendo intorno a se' una accolita di giovani disadattati della immensa periferia russa, dando a loro la prospettiva di essere qualcuno, avere degli ideali, essere rispettati, in un epoca in cui le mafie si stanno mangiando tutto e in cui gli ideali bisogna andarseli a cercare con un lanternino .E poi arriva il carcere di Lefortovo, una fortezza per dissidenti politici, dove viene tradotto con l'accusa falsa di tentativo di golpe in Kazakistan. In due anni scrive quattro libri, si allena tutti i giorni, impara la meditazione da un detenuto che pratica yoga . In questi libri narra sempre di se stesso, delle sue vicende biografiche, dei suoi sogni, delle sue donne, giovanissime ultimamente ,e dell'esperienza della guerra in Serbia, dove sembra abbia combattuto al fianco dei cetnici di Radovan Karadzic, fantasmi dell'anteguerra mondiale. Dopo due anni , miracolosamente, esce da questo carcere di massima sicurezza, dove ha conosciuto gente incredibile, le migliori persone della Russia, secondo lui, molti dei quali detenuti ingiustamente, e che rappresentano quella porzione di Russia che ha nostalgia del comunismo nella misura in cui, ciò che è venuto dopo è peggio. Delinquenti con un codice d'onore, criminali che hanno letto milioni di libri e guardano i notiziari 24 ore al giorno, una folla di cui lui parla in uno dei suoi ultimi libri, di cui posseggo una copia, dal titolo:"Il mondo della metafisica", sottotitolato "memorie di uno scrittore in prigione. Segnalo anche "Il libro dell'acqua", anche questo memorialistico della sua esperienza in vari teatri di guerra del pianeta, dove lui dice di essere stato e di aver combattuto. La conclusione del libro è memorabile e la lascio al vostro possibile desiderio di leggerlo.