sabato 7 dicembre 2013

La posta del Tessèra

Ci sono delle bollette che posso pagare solo in posta, una di queste è quella di internet & telefono. Una mattina prima del lavoro, lavoravo alle 11, verso le 9 vado in posta per pagarla. Vestito con la divisa da lavoro coperta da un corpetto smanicato di finto piumino blu, vado alla posta di Corsico. Entrando noto una folla strabocchevole. Non sto neanche a prendere il numerino per il turno perché a conti fatti ho una sessantina di persone davanti. Esco e decido di andare a pagare la bolletta in un altro ufficio postale. Ne conosco uno vicino al lavoro. Mi rimetto in macchina, riscaldamento a palla perché fa un freddo stalattitico e vado verso Trezzano. Nel triangolo fra Trezzano, Cesano Boscone e Corsico c'è un quartiere , il Tessèra, costituito da un vasto agglomerato di palazzoni decorati con delle onde che un tempo dovevano essere multicolori (che oggi appaiono stinte), motivo per cui i locali chiamano queste case delle "ondine". Nel traffico nevrile dell'inverno nel pieno della sua ipotermia siberiana milanese , mi avventuro fra le strade che tagliano "le ondine", e giunto nel pressi dell'ufficio postale, parcheggio. Faccio una cinquantina di metri ed entro nell'ufficio postale del Tessèra. E' più piccolo, di quello di Corsico, più raccolto, ma anche qui c'è una fila impressionante. E comunque ho davanti, tutt'al più, una trentina di persone e io quantifico il tempo di attesa in una ventina di minuti. La gente in fila è costituita prevalentemente di anziani immigrati italiani e qualche immigrato esteuropeo, per lo più di sesso femminile. All'interno ci sono delle sedie dove si sono accomodate delle matrone di più di sessantanni messe male in arnese, alcune con bastone , una con una stampella e le sento lamentarsi mentre mi metto in coda. Apprendo da qualcuno che la fila è dovuta al ritiro delle pensioni, siamo ai primi di Dicembre. Con tanta pazienza me ne sto in fila in piedi, qui non c'è il numerino, chi prima arriva meglio alloggia. Ci sono quattro impiegati, uno in più dell'immenso ufficio postale di Corsico. Ma le operazioni agli sportelli sono lente, macchinose. Nessuno parla con accento milanese il 99% degli astanti sono immigrati del suditalia. Una signora allo sportello,mora, capelli tinti di fresco, messa bene in carne, esplosa nel metabolismo a causa di un'alimentazione, mi viene fatto di pensare, assunta più che a fini nutritivi a mò di droga compensativa, apre il portafogli per sfilare il codice fiscale dove campeggia la foto di Padre Pio e di sua nipote. Richiuso il portafogli continua a confabulare con l'impiegato che ha di fronte un tipo smilzo e occhialuto, un po' ingobbito, che a conti fatti deve essere del barese. Un signore anche lui ben pasciuto, seduto, ci tiene a precisare a tutti noi in piedi gli uni dietro gli altri, che lui è in fila virtualmente ma che si è seduto a causa di tutti i problemi di salute che comincia a elencare, dal "polistirolo" alto alla diabeta( non si sa perché declinato al femminile), fino agli ossi fosforosi, che ancora a tutt'oggi, mentre scrivo, mi chiedo cosa avesse voluto dire. Al termine dell'elenco ci mette un bel"l'importanza è la salute" di rinforzo. L'impiegato del primo sportello ha finito di fare pacchi e pacchetti e chiede se qualcuno in fila ha dei bollettini da pagare. Io non faccio nemmeno l'atto che subito in sette o otto vegliardi, modello finale olimpica , con una reattività da giamaicani, si catapultano al suo cospetto. Io resto in fila. Un tizio al primo sportello , macilento, coperto all'inverosimile di vestiti di due o tre taglie maggiori di quella necessaria , con un viso scavato come quello di Tiberio Murgia, indimenticabile sardo-siculo dei film in bianco e nero degli anni '60, non sa più dove mettere le banconote da cinquanta euro appena ritirate della sua pensione e finisce per infilarsene nelle mutande, così, davanti a tutti. Poi va via soddisfatto guardandosi intorno con una circospezione sin troppo esagerata. Qualcuno dalla fila gli dice " attento con tutti quei soldi in tasca, fatti seguire da qualche parente", e lui di romando:" devo stare più attento ai miei parenti che agli estranei". Ridono tutti, forse perché dietro quella battuta c'è anche tanta verità. Una signora davanti a me, sui sessant'anni, vestita di scuro , capelli rossi tinti, occhiali spessi, attacca a parlare con me. Mi racconta che ha perso da poco il marito a "soli 66 anni" che, tra l'altro, era da poco andato in pensione. Insieme constatiamo che purtroppo spesso, per una beffa del destino, chi ha la fortuna di andarsene in pensione non riesce a godersela, che il "sistema" è calcolato, parametrato, quello che ti deve alla fine se lo prende con gli interessi perché è come se fosse prevista, percentualmente, la possibilità di non farcela oltre, dopo che il corpo e la mete sono stati così spremuti, in fabbrica, su un camion , guidando un autobus, in fabbrica, persino affettando salumi o incartando formaggi, perché tutto svolto a ritmi meccanici e inumani. Col marito si sono conosciuti in via Giambellino, a Milano, lui era di Castellaneta e lei di Foggia; lei ha lavorato per 40 anni alla Osram, ma ci tiene a far sapere che ora il figlio c'ha quattro locali a Zibido San Giacomo. Refrain che a quel punto infila ad ogni piè sospinto all'interno della conversazione. Mi sa che a furia di fabbricare lampadine, per compensazione, le si è esaurita ogni attività elettrica cerebrale. Mentre siamo lì in attesa, al primo sportello, da più di un quarto d'ora, un signora calabrese sui 70 anni, affardellato all'inverosimile anche lui per il gelo, litiga con l'impiegato, reo a suo dire di non avergli dato la pensione giusta. Si volta verso noi in fila e urla che lui prende duemila e cinquecento euro di "pensiona"( ci sa perché declinano al femminile, magari sono gli stessi che Berlusconi lo chiamano Berluscone, per specificare che è unico). Litigano per dieci minuti. Alla fine si arrende e dice che a quel punto va direttamente all'Inps. Risultato è che sono in fila da 40 minuti in un paese dove nessuno si fa accreditare le pensioni su un qualsiasi conto, vengono ancora a prendersele in posta in contanti, vogliono sentire il peso iniziale di quelle banconote, prima di vederle sparire nelle mani di figli, nipoti e badanti. Siamo nel quadrilatero Trezzano, Cesano, Corsico, Buccinasco, Milano Ovest, una delle zone più produttive del paese e nessuno parla con accento lombardo. Non mi sembra per nulla di essermi allontanato di 1000 chilometri da casa, dalla natia Puglia altosalentina. E non è retorica dire che questi territori li abbiamo resi ricchi noi meridionali con nostro lavoro, con i nostri sacrifici . Intanto entra un altro signora anziano, panciuto, capelli biancji tagliati a spazzola, scambia qualche frase in dialetto pugliese della capitanata con qualcun altro, ha in mano un pezzo di focaccia che apprendo ha appena acquistato dal forno giusto lì di lato, calda, appena sfornata, una focaccia con i pomodorini , tipicamente pugliese. Si siede anche lui e aspetta. Intorno alla bocca è tutto sporco di olio e pomodoro, ma non accenna a pulirsi. Mentre lo osservo mi dice:" tengo ottant'anni, mo' posso fare quel cazzo che voglio...tanto che mi può succedere, al massimo muoio". Ridono tutti, l'atmosfera si stempera e la fila , finalmente scorre. Quando tocca a me ci metto un minuto e venti secondi di orologio. Ma ho come l'impressione che mi stia dispiacendo andarmene, vorrei restare, continuare a parlare con la signora di Foggia, farmi raccontare di quella volta che il marito che viveva in una pensione con la sua famiglia, le disse che voleva sposarla e lei si commosse. "Ho visto le lampadine", avrebbe detto, che in fondo dopo 40 anni di Osram, sarebbe stata tutt'al più una deformazione professionale.