venerdì 15 novembre 2013

Osgood-Schlatter.

Dai 10 ai 14 anni ho sofferto molto per una degenerazione di una decalcificazione ossea sottorotulea, in pratica mi si erano formate delle calcificazioni sotto la rotula a livello della tibia che mi provocavano dolore al solo camminare, figuriamoci nel fare sport. All'epoca ero uno sgarzellino iperattivo, giocavo a calcio e a pallavolo, a dire il vero, principalmente a pallavolo, motivo per cui , essendo io di natura un difensore-la qual cosa mi ha fatto riflettere nel tempo, come se le tendenze ad assumere i ruoli nello sport fossero caratterizzate dalle note del carattere di chi quei ruoli, assume, via via portati poi in altri ambiti ,una volta che, per sopraggiunti limiti di età , lo sport diviene necessariamente individuale o cessato-, mi è sempre piaciuto subire il gioco avversario e giocare di rimessa, vincere sugli errori altrui, forse perché , a pallavolo, ad esempio, non ho mai avuto l'elevazione per schiacciare nei tre metri, questo ha determinato, lamarckianamente( Lamarck era un evoluzionista che sosteneva che gli organismi viventi mutavano le caratteristiche in relazione alle situazioni ambientali, per questo secondo lui le giraffe avevano il colo così lungo-sarebbe interessante approfondire il perché i neri hanno questi peni in perenne divieto di sosta sulle strisce pedonali, quando sostano a bordo strada),lo sviluppo di determinate caratteristiche di gioco una su tutte il salvataggio in bagher o in tuffo con conseguenti tumefazioni continue alle ginocchia. Nonostante stia scrivendo in modo canino (gli odontotecnici non c'entrano) butterò giù lo steso un po' tutto ciò che ricordo di quell'epoca spensierata, e mica tanto. Insomma, a farla breve, mentre tutti i miei amici giocavano a pallavolo lanciandosi ginocchinterra sul nero pavimento nerogommoso del plesso Pessina, dove si giocava a pallavolo un paio di volte a settimana e se c'era la partita pure tre a volte, alcune settimane( le partite c'erano se le squadre avversarie giungevano al numero legale per prendere un pulmino e arrivare a Ostuni e se il pulmino aveva abbastanza benzina) , io, invece, a momenti non riuscivo a camminare. Mio padre, poverino, mi aveva portato da tutti gli ortopedici della zona i quali mi avevano prescritto pomate e riposo. Pomate e riposo. Le pomate non mi facevano niente e il riposo neanche. Per chi è abituato da piccolo a fare sport, beh, credetemi, l'immobilità rappresentava un dramma. Si provava disagio fisico e ci si sentiva impazzire. Un po' quello che deve provare un consumatore di stupefacenti in astinenza. E da ciò traggo motivi per dire che abituare i bambini a fare sport sin da piccoli, li allontana dalle droghe, sostituendosi, lo sport, a quel quid che calmiera il naturale surplus di energie così comune in un adolescente. Una volta mia madre mi vide piangere e mi chiese perché stessi piangendo. Io le dissi che il motivo era questo dolore alle ginocchia che mi impediva di fare sport ed essere uguale a tutti gli altri. Mia madre mi fece una carezza e mi disse che quando mai io avrei voluto essere come tutti gli altri, che a lei questa cosa proprio non risultava. Ma parlò lo stesso con mio padre il quale telefonò ad un suo antico compagno d'infanzia, un famoso ortopedico davvero molto stimato, che però era in forza, all'epoca dei fatti narrati, presso l'ospedale di Monopoli, città che allora m'era ignota, ma che in futuro, a parte per l'ospedale, mi sarebbe stata nota solo perché quando andavo col treno a Bari all'università, alla volta della sua stazione salivano sempre due o tre tizi che insistevano nel volermi vendere ad un prezzo ridicolo collanine d'oro che giuravano appartenere alle zie o alle sorelle morte in disgrazie accidentali. Un giorno al ritorno da scuola, mio padre, che mi pare sempre brizzolato nei mie ricordi, mi disse che dovevamo andare da un famoso ortopedico per risolvere una volta per tutte questa faccenda delle mie ginocchia. Mi disse di stare tranquillo.Dopo pranzo ci mettemmo in macchina e prendemmo la superstrada per Bari, sulla sinistra ad un certo punto vedemmo delle signorine che chiedevano un passaggio e io dissi a mio padre che forse potevamo dar loro un passaggio, ma mio padre stranamente disse che quelle signorine lì dove dovevano andare ci potevano andare a piedi , che era giusto dietro il cespuglio, io sorrisi e dissi, ah, allora volevano della carta igienica. Mio padre non disse niente. Si limitò a guardarmi e poi un bel pezzo dopo disse, ma la cartigienica non era per la cacca. All'epoca non ci capii molto, ma non ci feci certo caso. Arrivammo a Monopoli, una città del sud barese, piuttosto grande, piena di commerci di ogni genere, mi ricordo che si diceva che lì c'era il pesce buono. Ma a parte delle case anonime a due piani, non mi ricordo molto. E i tizi delle collanine che incontrai poi più avanti negli anni. La sala d'aspetto era piena e aspettammo un bel po'. Poi ad una certa ora, toccò a noi. Entrammo da una porta dietro la quale c'era uno studio. Nello studio c'era una scrivania , un lettino per le visite e attrezzatura per fare delle radiografie. Il dottor Bonaventura, che così si chiamava l'amico di mio padre, sembrava un tipo molto severo, non sorrideva per nulla. Ascoltò quel che aveva da dire mio padre. Poi mi guardò. Mi fece stendere sul lettino e mi toccò le ginocchia. Mi facevano male e lui non insistette. Aveva delle strane mani tutte screpolate , erano come consumate. Poi mi disse di stendermi sul lettino vicino a dove c'era quella macchina che presumevo servisse a fare le radiografie, che per me all'epoca dovevano essere delle specie di foto che servivano per vedere dentro alle ossa. Poi con fare ieratico disse a mio padre di uscire e si mise dietro ad una sorta di schermo protettivo che ricordava uno scudo di celerini, solo un po' più grande. 5 minuti dopo mio padre rientrò. Il dottor Bonaventura si mise a sviluppare le lastre. In silenzio, io e mio padre, attendemmo il responso. Dopo un quarto d'ora , Bonaventura tornò abbastanza sorridente, per i suoi standard. Ci sedemmo e lui, scrivendo su un suo diario di appunti, ci disse che io avevo una sindrome piuttosto frequente, fra gli adolescenti e che si poteva curare e guarire definitivamente. Mio padre e io ci rianimammo. Solo, però, disse Bonaventura, dopo la cura, che faremo qui e ora , in futuro, potrebbe essere necessario rimuovere delle piccole calcificazioni a livello tendineo. Ma non è certo che possano formarsi. Nel caso, si sarebbero rimosse chirurgicamente. Comunque, la cosa più importante, a quel punto, era di guarire dall'infiammazione e da quest'effetto ginocchia a noci di cocco. Disse proprio così, Bonaventura. Si assentò per una decina di minuti e tornò poco dopo con una vaschetta metallica con dentro una siringa di vetro pronta all'uso. Spiegò che avrebbe dovuto praticarmi due iniezioni nelle tumefazioni alle ginocchia. Avrei sentito un po' di dolore ma mi avrebbe cosparso le parti con un anestetico, così non avrei sofferto molto. Mi osservò con quei baffetti da sparviero, magro, sguardo severo, mani di argilla sgretolata...ma si vedeva che era un burbero benefico, che il suo era un atteggiamento e che dietro si nascondeva un buono e forse persino un goliardico buontempone. Mi praticò due iniezioni e dalla mia bocca non uscì un lamento. Era il mio bushido personale, che me lo suggeriva. Più tardi , da grande , capii che non serviva a molto, che la sofferenza che provavano certi individui non era paragonabile a quelle che cercavo di affrontare con il mio bushido. Ma all'epoca segnai il punto, dentro di me. Bonaventura disse che ero stato bravo.Mi disse che sarei dovuto stare a riposo per un paio di mesi e che poi avrei potuto tornare a fare sport. Ce ne andammo , io e mio padre, contenti e felici, imboccammo la superstrada a buon ritmo,e al ritorno, dove c'erano le signorine dei passaggi notai che non c'erano più . Magari avevano raggiunto i cespugli a piedi. Due mesi dopo giocavo a pallavolo e a calcio e non avevo più dolore. Mi sentivo rinato. Disputai un campionato di pallavolo e uno di calcio , del Centro Sportivo. A Pallavolo giocavo come alzatore, un ruolo che oggi non esiste più e a calcio mi distinguevo come mezz'ala , un po' alla Antonioni, con il sedere all'insù, diciamo, via. Anni dopo , intorno ai vent'anni, mi si presentò il problema della calcificazione in uno dei tendini delle ginocchia, di quello destro in particolare . Feci la visita da Bonaventura. Mi osservò e si ricordò tutto. Sì, mi ricordo, disse, postumi di una sindrome di Osgoon-Schatter, nomi dei due medici che hanno scoperto questa patologia. Conobbi l'ospedale di Monopoli e la capo sala che una volta disse che il Monopoli di calcio aveva visto di vincere due a zero e rideva un sacco e lo ripeteva in continuazione, lo aveva sentito dire ad un paziente . In camera ero con un tizio magro che si doveva operare di ernia del disco. Aveva provato a fumare, alcuni giorni prima, ma Bonaventura lo aveva redarguito con severità.Non ci aveva riprovato. Si chiamava Luciano. Adesso non c'è più. Ma non fu Bonaventura, il suo carnefice,ovviamente, fu l'eroina. Un'altra storia, un altro racconto, forse, dipende da come le vedi , le storie, a volte sono come le vie dei santi, lasciano scie e tu devi capire da dove iniziarle, a che punto entrare nelle scene delle tue reveries. Fui operato. Anche Luciano fu operato. Diventammo amici. Io uscii prima dall'ospedale, l'ernia del disco richiedeva più tempo di degenza. Mentre andavamo a casa in macchina attraversando una città che mai conoscerò, chiesi a mio padre:" ma cos'è che ha alle mai, il dottore?". Lui a tutta prima non disse nulla. Poi mi guardò e disse. Prima, quando non si conoscevano gli effetti dei raggi x, si facevano le radiografie tenendo ferme le parti da radiografare con le mani...quelli sono gli effetti dei raggi x . Io non dissi niente. Ma ricorderò sempre quell'uomo, con il suo aspetto severo, il baffetto alla Devid Niven e quella sua immarcescibile volontà di darsi alla scienza, succeda quel che succeda, pur di ridar le gambe a chi non ce l'ha, Gesù Cristo in scala ridotta che cercando il proprio Lazzaro, perlomeno ha prolungato l'esistenza di chi a quel miracolo un giorno spera di assistere per davvero.