mercoledì 27 febbraio 2013

Kafka

Ero da alcuni anni a Milano e cercavo di sbarcare il lunario. Me ne ero partito dal sud, dal salento sitibondo, come scrivevano sui libri di geografia e storia pieni zeppi di luoghi comuni , per andarmene a Milano, più per una sfida con me stesso, che per cercare lavoro in sè. Mi vedevo con Giò, un mio amico ostunese pure lui, più grande di me , insegnante precario di Inglese, all'epoca e gran lettore e conoscitore della vita. Lo andavo a trovare regolarmente nel suo bilocale , nella cameretta piena zeppa di libri, disteso sul letto che normalmente serviva da rialzo per le sue serie di piegamenti sulle braccia che mantenevano in forma il suo fisico secco e scultoreo. Avevamo giocato al pallone insieme, al paesello ,un tempo, e certe esperienze marcano come un senso di fratellanza. Io facevo dei lavori saltuari, distribuzione di volantini, vendita di enciclopedie porta a porta, mi proponevo come investigatore, insomma quel genere di attività che potevano avere una certa utilità solo per infilarle di straforo in racconti autobiografici del genere sfigato-in-cerca-di-comprensione-umana. Giò mi trovò un lavoro da giardiniere. Dovevamo curare i giardini di un buon numero di condomini a Cesano Boscone, un comune di cui ignoravo l'esistenza fino a pochi anni prima, pur essendo popoloso e importante per la cintura milanese. Beh, i milanesi & affini non sapevano dove fosse il Salento ma in compenso conoscevano ogni pietra desertica, ogni ombrellino da cocktail, ogni stanza ad aria condizionata dei villaggi di Sharm El Sheik, così eravamo uno a uno e palla al centro.Il boss della situazione era un giovanotto ben messo, del genere io-i-muscoli-me-li- faccio-in-palestra. Il suo sottogenere era: a-voi-miei-sottoposti-i-muscoli-invece-li faccio-fare-facendovi-sgobbare. Vado avanti con i sottogeneri? Poi basta però, eh: con-i-soldi-che-faccio-su-di-voi-sgobboni-mi-pago-la-palestra. Fine dei sottogeneri:spero. Ma andiamo avanti. Il tizio in questione si chiamava Luigi, ma io e Giò lo chiamavamo Gino. A lui non piaceva, perchè lo faceva sentire terrone. Non importava se suo nonno era di Giovinazzo, lui era nato a Milano e questo a suo parere avrebbe dovuto dargli una ripulita genetica, diciamo così. Usavamo dei tubi per aspirare le foglie secche sotto gli alberi di questi giardini intorno a questi condomini che emanavano la stessa poesia di un tavolo anatomistico, con questi inquilini che rientravano a sera con allegre facce obitoriali , mai stati più lontani dai volti di ballerine brasiliane...di ballerine brasiliane in Brasile, non in locali milanesi, sia chiaro. Poi per le foglie più ostinate passavamo il rastrello e le infilavamo con le mani in sacchi neri tipo quelli per i cadaveri dei marines in Vietnam. A ciascuno il suo Vietnam, noi avevamo milioni di foglie secche, in giornate rigide siberiane, nel nostro arcipelago gulag milanese. A fine mese non s'arrivava a ottocento mila lire...neanche per pagare i farmaci per curarsi bronchiti e affini. Giò arrotondava con lezioni private e mesate in scuole delle province lombarde più disparate, si consumava tutti guadagni in benzina e usura della macchina.Che bella civiltà il capitalismo, ma, pazienza, dicono alcuni, non sai cos'era il socialismo reale! Può darsi, ma io avevo letto un libro di Reinaldo Arenas ( rubato in una libreria con destrezza sinistrorsa) un esule cubano, il quale, una volta a Miami, si era sentito di dire: la differenza fra il comunismo e il capitalismo è che se ti danno un calcio nel culo nel primo caso devi applaudire , nel secondo caso puoi urlare. Prendo questa, va, del resto sono sempre stato distante da Stalin quanto Obama dal Ku Klux Klan. Gino però, oltre che farci sgobbare aveva deciso di torturarci impossessandosi del nostro tempo libero. Voleva che andassimo a delle riunioni a sfondo religioso, così, come complemento del lavoro. Non sia mai potesse restarci tempo per pensare. Pensare a che cavolo stessimo facendo e se invece di fare quella vita non era forse il caso di andarsene nei Caraibi e nutrirsi di noci di cocco o darsi alle truffe passando di quando in quando qualche breve periodo di riposo a spese dello stato nella colonia di San Vittore. Andammo a una di queste riunioni in una chiesa di Gattegrate, un paese vicino ai giardinetti dei condomini di Cesano Boscone. Io e Giò, entrando in chiesa , da dove si passava per andare nella sala riunioni, davamo un'occhiata in giro, ma senza toccare niente, a giudicare dalle vite che avevamo condotto tutto ciò che avessimo toccato in quel luogo si sarebbe liquefatto. Quello che non capivamo era perchè non succedeva quando le toccavano i preti. Comunque in men che non si dica ci ritrovammo in una sala riunioni, su poltroncine di rappresentanza modello congressi di partito. C'erano una quarantina di persone e subito Gino ci presentò. Ci salutarono tutti affettuosamente come se ci conoscessimo da anni. La maggior parte di loro aveva facce brufolose a quarant'anni, e denti piorroici, erano tutti sposati e dotati di figliolanza abbondante . Io e Giò eravamo gli unici non sposati e senza figli e ci guardavano con un certo sospetto, magari pensavano che fra noi ci fosse qualcosa di omosessuale. Giò incominciava a sentirsi a disagio, io no perchè a me certe situazioni mi hanno sempre divertito, specie quando m'accorgevo che il giudizio morale su certe tendenze nasceva da profonde pruderie di base e da conflitti irrisolti sedati dal conforto delle sagrestie. Salvo poi scoprire che dietro ogni sagrestia si nasconde un mondo che avrebbe fatto arrossire il marchese De Sade. Ma andiamo avanti.Dopo un pò, Vito, un tizio allampanato con una faccia ieratica a soggetto, cominciò a leggere un libro. Non ci capii molto anche perchè Vito, che aveva un accento che più lombardoveneto non si poteva ,con quel nome che ,si capiva , odiava profondamente, nel leggere sbagliava gli stacchi e le pause in funzione della punteggiatura . Intuii che lo scrittore di quel saggio, che Vito & c chiamavano Gius, ce l'aveva a morte con Kafka, ritenuto un comunista materialista nemico pubblico numero uno della spiritualità. Io avevo letto Kafka e lo ritenevo uno scrittore addirittura comico. Ma andiamo, pensai, aveva dato vita addirittura ad un genere letterario, quello del grottesco, con quel suo modo tipico di scrivere, con quelle situazioni descritte che rasentavano l'assurdo restando comunque realistiche. Giò, mentre "il Vito", come dicono a Milano mettendo l'articolo davanti al nome, snocciolava tutta quella serie di accuse contro Kafka, mi guardava sottecchi , ma sapevo che cosa stava pensando. La stessa cosa che pensavo io. Ma non osava proferir parola. Lessi nel suo sguardo che si doveva dire qualcosa ma che era meglio non farlo, con Gino, nostro datore di lavoro, lì alle nostre spalle, con i denti sul collo di Kafka, se lo avesse trovato per strada avrebbe chiamato la polizia, lo avrebbe abbattuto come un bazooka. Ma io non riuscivo a resistere, era più forte di me, pensavo a Kafka, nel suo bugigattolo a Praga, mentre guardava tristemente dalla finestra i cieli grigi e le grigie primavere, con quella di velluto rivoluzionaria ancora di là da venire, lo vedevo ingobbito sui suoi quadernetti, mentre scriveva i suoi racconti, come un monaco, come un frate, come un eremita del pensiero, mentre descriveva la tetra e grigia realtà e quegli uomini dai volti inesistenti che lo circondavano...niente di più spirituale. Così alzai la mano. Giò mi fulminò con lo sguardo, capii che stava già pensando come avrebbe fatto a pagare l'affitto del mese successivo. "Scusate, vorrei capire una cosa, ma chi di voi ha letto Kafka?", chiesi. Si fece subito un silenzio assordante. Per un interminabile minuto nessuno parlò. Era evidente che nessuno aveva letto Kafka. Però assentivano tutti con in capo(inteso come testa) mentre il Vito leggeva quelle dure parole di condanna al materialismo di Kafka, lo scrittore ateo e quindi comunista, il nemico pubblico numero uno del secolo, immaginai che Gino per riferirsi con disprezzo a qualcuno gli avesse non so quante volte dato del "Kafka". Poi il Vito, prese coraggio e disse:" ma che c'entra se il Gius dice che Kafka era un materialista e un contro dio, un anti dio, noi dobbiamo credergli". Io tacetti. Giò mi guardava pensando a qualche possibile pezza a colori. Gino si era alzato in piedi e ci osservava curioso. "Io ho letto quasi tutto di Kafka e non trovo nulla di materialista in lui, anzi, mi sembra un uomo così solidale con il tragico destino dell'uomo, cosa c'è di più spirituale di ciò?", ribadii.L'affitto del mese successivo si stava allontanando sempre di più. Il Vito rilesse il passo e ribadì:"ma se lo dice il Gius...ma andiamo, il Gius è il Gius", fece. E furono tutti d'accordo con lui.Non dissi più niente, non ho l'abitudine giudaica di parlare con i muri. Al termine della lettura, Il Vito chiacchierò in privato con alcuni degli astanti. Si parlava di lavoro, di sistemazione in enti pubblici, banche , assicurazioni, persino di appalti ad imprese . Gino chiese al Vito notizie su un appalto per i condomini di Canegrate, un altro comune limitrofo. Il Vito gli mise un braccio sulla spalla. "Le vie del signore sono infinite", gli disse, "abbi fede, vedrai che tutto si risolve, fammi fare due telefonatine". Io e Giò rimanemmo in disparte. Gino si avvicinò. Io gli porsi la mano come per ricevere una busta con la liquidazione. Gino me la strinse. "Cosicchè hai letto tutto Kafka?", mi chiese. "Beh, sì", risposi. "Interessante, un giorno me ne parlerai, ok?". Ok , dissi. "Ci vediamo domani alla solita ora, abbiamo del lavoro da finire", disse rivolto anche a Giò.E sorrise. Io e Giò uscimmo di lì più veloci della luce. Chiesi a Giò, scusa Giò, toglimi una curiosità, ma chi cavolo è questo Gius. Giò mi spiegò che si trattava di Don Giussani, leader spirituale di Comunione e Liberazione e che quella era una riunione di quel movimento. Uscendo in strada mi sentii sollevato, mi resi conto che tutta quella gente con il loro disprezzo fasullo non avrebbero potuto rendere migliore omaggio al grande Franz Kafka, tutta quella situazione sembrava uscita da un suo racconto .