martedì 4 settembre 2012

L'ulivo che canta

Nella sua bottega di fronte alla chiesa delle Monacelle dove venivano abbandonati bambini in cambio di biscotti, sfornate per sfornate con anime e destini diversi, Tonino Zurlo mi mostra le sue sculture d'ulivo. Col pizzo da imam che crede in un Dio universale che chiameremo Infinito e che vuole bene agli ultimi molto più che ai primi mi spiega che la creazione artistica per lui ha la caratteristica di essere “senza fatica”, qualcosa che viene dalla pancia , che viene fuori naturalmente , senza sforzo, come se qualcuno la facesse per noi, come se qualcuno scolpisse il legno d'ulivo, duro e indomabile, per noi, senza essere costretti a spremersi eccessivamente “la mdodda de la capa”, come dice lui , senza imperlarsi la fronte di sudore, basta lasciarsi trasportare dall'ispirazione e scolpire ulivi o canzoni come in stato di trans autoipnotica. L'arte è lì, nell'aria, basta vederla, prenderla e mostrarla al nostro mondo se non altro per testimoniare che esiste la bellezza vera e non quella idiota delle stolide pubblicità persino di beni comuni come l'acqua, che il Padre Eterno, un padre eterno laico vestito delle fogge più disparate a seconda degli occhi che lo guardano, ci ha sempre donato gratis e che invece l'uomo, il più imbecille delle creature che popolano la terra ha la pretesa di imprigionare in piccole galere plastiche chiamate bottiglie facendone un oggetto di consumo consacrato da nuovi San Franceschi al contrario come calciatori di grido che la pubblicizzano al fianco di fotomodelle disperatamente in lotta con ritenzioni idriche da cocaina aspirata a forza, perchè “magro è bello” se non si è in Africa. Osservo la sua bottega e le sue meravigliose sculture di legno d'ulivo, una materia con cui Tonino e oramai in simbiosi. Posso immaginare l'artista al lavoro, nella fresca penombra di questo locale e posso immaginare che mentre lascia scolpire le sue opere dai propri spiriti guida, componga mentalmente le meravigliose canzoni che popolano il suo ultimo lavoro musicale, “L'ulivo che canta”. Esco dalla sua bottega e dopo qualche giorno sono in macchina, a Milano, dove vivo da vent'anni con la Puglia nel cuore, con il Salento nell'anima e con Ostuni nel midollo del cervello, come direbbe Tonino, ancora una volta. Piove e sono immerso nel traffico metropolitano asfissiante postrientro vacanze. Ho lo stereo acceso e i versi delle sue poesie in musica mi raggiungono dritte al cuore e mi pervadono l'anima. Mentre ascolto “ lu frate in polizia” mi commuovo ascoltando il refrain del brano che sintetizza una condizione secolare delle nostre terre:”la colpa i de li patrun , ca s'accatten li chiu belli e li chiu forte de li uagnune”, storia di un giovane che si lamenta che suo fratello sia stato costretto ad arruolarsi in polizia col rischio di trovarselo di fronte durante uno sciopero e che sintetizza in modo mirabile il dramma di intere generazioni pugliesi di sempre di fronte al dilemma dello scegliere un posto sicuro, uno stipendio sicuro, che ti porta a difendere gli interessi dei ricchi e dei detentori del potere, quando le altre alternative sono mettersi al sevizio dei locali padrini politico-mafiosi o emigrare in cerca di fortuna persino all'estero. Mentre mi involo con la mia auto e i tergicristalli alla massima velocità sulle avenidas milanesi e fuori imperversa un classico temporale di fine estate, ascolto “L'acqua”, la traccia 7, un pezzo strabiliante in termini di registri musicali e di variazioni di temi testuali, con un racconto in versi che parte dalle tradizioni locali di un Sant'Oronzo portato in processione con una sardina in bocca perchè provasse il significato della sete delle nostre eternamente sitibonde terre e facesse piovere (con tutto il corredo di novene e candele) , fino al sarcastico disgusto che genera riso a profluvie , quando, cambiando registro, si passa alla “canzonatura” della pubblicità di una nota acqua minerale con corredo di uccellino e strafiga in posa. Fuori imperversa la battaglia per la vita, traffico caotico, semafori telecamerizzati, clacson che urlano concerti non richiesti, ombrelli sbrindellati, supermercati presi d'assalto da carrelli timidamente carichi sintomo di crisi, proprio mentre ascolto “trenda e trendune”, una dissacrante satira antiberlusconiana proprio in questa città tradita mortalmente dal miliardario-bauscia. Svolto a destra mentre fuori palazzi grigi e bigi come le anime morte delle persone che li popolano si contrappongono a parole che Tonino, magicamente, lancia dallo stereo e che al solo ascolto mi proiettano in una antica fiaba mediterranea, un mondo fatto di gazze, cornacchie, cavalle più o meno metaforiche, foglie di fico, pignate , palmenti , mummuli e rizzuli ( vere e proprie onomatopee), per non parlare dei tronchi d'ulivo scolpiti da un Dio che ce li ha lasciati come alberi del biblico pomo ,a noi uomini minuscoli Adamo , giusto per vedere se abbiamo capito che nel giardino dell'Eden mediterraneo sono intoccabili. Una volta a casa , dopo il lavoro, non vedo l'ora che sia domani, quando di mattina, in macchina, andando al lavoro, riascolterò per l'ennesima volta “fore a dde me”, andando ,per quel quarto d'ora che mi separa dal lavoro, in visibilio al solo apprendere che Tonino non si è ancora stancato di raccontare quell'ancestrale mondo contadino dove nonostante non ci fosse il Pibigas o il Permaflex si viveva in piena armonia con la vita e la natura .

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