domenica 24 giugno 2012

La pole position per il Quirinale

La pole position per il Quirinale Il governo Monti ha distrutto l'articolo 18, abbassato le pensioni, aumentato le tasse, che pagano i soliti gonzi perchè quelli che non le hanno mai pagate tanto sanno che non gli succederà niente, si è speso( scusate il verbo ma sembra un refuso per un governo allergico a tale verbo, tanto che lo usa inglesizzato, spending, non sia mai che non passi inosservato) per completare la Tav perchè a tutti costi si deve arrivare a Cuneo a tempo di record, ne va dell'economia piemontese, nonostante notoriamente non sia prodiga, basti vedere come la moglie di Fassino tiene a stecchetto il marito, ha acquistato dei cacciabombardieri per sparare alle quaglie, crediamo, visto che non c'è rimasto un filo d'erba in Afghanistan( se la saranno fumata tutta, beati loro) , manda in giro i suoi ministri a dire che chi si laurea a 28 anni è uno sfigato, che il posto fisso è monotono e che i figli degli italiani vogliono il posto vicino a mammà, quando nel nostro paese ce ne ne sono milioni che hanno dovuto lavorare per pagarsi gli studi, è c'è una tale caccia al posto fisso, questo è vero, che c'è stato in massa il rinnovo delle licenze di caccia, ( posto monotono? Detto da chi se n'è stato sempre seduto su una poltrona di pelle a scegliere fra il fare l'amministratore delegato , il direttore di banca o il ministro, grazie al ciufolo che era monotono il posto fisso) ; e da ultimo, non lo vada a dire, sempre soggetto il governo Monti, ai milioni di meridionali che per lavorare sotto casa sono finiti a migliaia di chilometri di distanza o addirittura all'estero, rischierebbe il linciaggio e non tanto mediatico. Nonostante tutto l'asse Monti-Napolitano regge. I corifei dei massmedia e della stampa li idolatrano, elogiano la loro eleganza british: di Monti elogiano come viene considerato all'estero, un coro di elogi per questa meraviglia della robotica che parla inglese e rassicura i mercati come un vigile urbano i venditori di pesche della Capitanata e di Napolitano per il suo patriottismo che lo ha portato a familiarizzare con Buffon, uno che fino all'altro ieri portava sulla maglietta il numero 88 a simboleggiare il numero delle lettere di Adolf Hitler . Stanno facendo il lavoro sporco, mettendoci la faccia, con la scusa del tecnicismo, per fare quello che non è riuscito a fare Berlusconi, il quale se la ghigna alla grande, pronto a uscirsene pulito da questo salasso istituzionale legalizzato che sta grecizzando un paese, che, valga per chi ha ancora uno straccio di lavoro, non arriva alla terza settimana senza scendere in rosso . Scalda i motori per il Quirinale . E mentre le soluzioni che appaiono all'orizzonte prevedono , tutt'al più, la sostituzione, udite udite, alla presidenza del consiglio di questo paese, di un comico naturaliter con un comico professional, leggi staffetta Grillo- Berlusconi, la cosiddetta sinistra che fa? Lancia il Sindaco di Firenze, ma non dalla finestra, lo lancia proprio in avanscoperta, come rottamatore di D'Alema e Veltroni, i quali, c'è da dire, mentre Renzi declamava i loro nomi da un palco per indicare che devono andarsene, avevano l'espressione corrucciata e lo sguardo rivolto a Fassino, come a dire, miiii, se la scappotta sempre, sguscia sempre via, è talmente invisibile che non si sono accorti che fa il deputato da quando Renzi era ancora uno spermatozoo .

mercoledì 20 giugno 2012

La solitudine del fumatore di sigaro

La solitudine del fumatore di sigaro... Alla finestra della mia stanza d'infanzia della mia casa avita di cui Dio osserva la lucina che proviene dall'interno dal suo personale google maps, fumo un sigaro toscano. Fuori, giù di sotto, sono al terzo piano, c'è un aiuola mediterranea le cui fronde ondeggiano nel vento di tramontana al buio .La brace del sigaro fa il suo sporco lavoro di morte che nonostante tutto genera idee. Le nuvolette di fumo sono fantasmi. La cenere incandescente cade nel vuoto nel buio nel silenzio di una tranquilla notte mediterranea accarezzata dal vento . Sono lapilli del vulcano che è in me . La lava dei pensieri comincia a montare . Il momento adatto per pensare a Dio . Esiste ma non ha piani per noi, ci guarda come un entomologo guarderebbe delle formiche e neanche tanto furbe . In altre parole ci credo ma non ho fede ... tragico destino degli uomini liberi. Mio padre entra nella stanza mentre sono alla finestra a gustarmi, boccata per boccata il mio toscano. Mi volto, lui mi saluta e dice:" Le due partite decisive per la salvezza del Lecce sono sullo zero a zero. Due zero a zero squallidi e ipocriti . Così il Lecce se ne va diritto in serie b". Poi andando via, prima di richiudersi dietro la porta e con essa rinchiudere il mondo che gli è rimasto delle cose in cui credere, e cioè nel Lecce e in suo figlio, prorompe in una delle sue frasi emblematiche che gli vengono fuori di getto quando hai l'età della saggezza, i capelli bianchi e sai che tutto quello in cui hai creduto è stato divorato dalla storia e che alla fine vincono sempre gli stessi, quelli che Dio o non Dio, per intanto fanno loro il bello e cattivo tempo sulla terra:" eh, caro Danilo, l'argent fait la guerre " . Ho quasi finito il sigaro e lo lascio cadere dal terzo piano, un mozzicone ancora acceso con brace viva . Lo sento frangersi sull'asfalto rabberciato non ancora elettorale come un corpo senza vita che ho visto una volta nel pozzo di luce dalla finestra della mia casa a Corsico. E mi dispiace un pò , per il sigaro , avesse un'anima anche lui? In tal caso gleil'ho rubata,me ne sono nutrito, improvvisato vampiro che lo ha usato per richiamare vecchi e nuovi pensieri addormentati nelle profondità oceaniche della mia mente...

domenica 17 giugno 2012

Vocals Comunications e Bacharach, di Raffaele Cavallari, recensione

Raffaele Cavallari,cantante milanese di sangue salentino ha una voce che è un mix di calda passione e ofidica ammiccante distorsione saracena. Mi sono capitati in mano due dischi autoprodotti, il primo Vocal Comunications è composto da 13 brani di cui il primo "Parole" costituisce una chicca imperdibile, con il testo di Raffaele che esplora tutte le possibilità semantiche, verbali e contestuali del termine "parole" lasciandosi guidare dal sottofondo musicale di Erik Satie, intravvedendosi in questa scelta un ambito esplorativo nelle selezioni dei brani musicali praticamente universale. Il disco è caratterizzato da reinterpretazioni di brani famosi di musicisti orchestrali e pianisti che testimoniano una ricerca la cui lettura delle biografie di questi autori stessi, da parte mia, sorprende per la varietà e la vastità delle conoscenze musicali dei generi più disparati. La voce di Raffaele Cavallari reinterpreta questi brani con un timbro decisamente più angelico di un Mario Biondi accompagnato dalla dotazione di un'estensione vocale incredibile . Musiche orchestrali o da pianoforte contraddistinguono la ricerca musicale di questo disco veramente godibile . Ho assistito a diverse esibizioni musicali dal vivo di Raffaele Cavallari e devo dire che queste tracce registrate lasciano intatte le impressioni sul timbro vocale che "live" è certamente più nitido all'ascolto . Raffaele Cavallari si è esibito nei locali di Milano e come tutti gli artisti puri non ne fa una malattia di non aver sfondato sul terreno del successo commerciale . Intanto lui è in cammino con la sua ricerca musicale e le sue reinterpretazioni che , riascoltate, sono dei veri e propri brani che si presentano come nuovi, come reinventati, con quel suo timbro vocale unico, come di chi ha trovato una propria voce senza scopiazzare altri famosi o rifacendosi a loro. E ciò è sintomo di personalità. La traccia 7 Libertango cantata su un sottofondo musicale di Astor Piazzaolla è semplicemente fantastica, da pelle d'oca. La pronuncia inglese ,in tutto il cd, è perfetta, anzi presenta quel calore timbrico che la lingua anglosassone iperpura di per se'non possiede. Il brano 10, Sweet Dreams di Annie Lennox è riarrangiato in modo magistrale, da brividi. Il secondo cd si intitola invece Bacharach, ed è, superfluo dirlo dedicato a delle interpretazioni di famosi brani musicali di Burt Bacharach, originale compositore statunitensa di origine teutonico-ebraica . Riascoltando la traccia 2, (They long to be)close to you, mi sono commosso, un pò per la notorietà del brano ma anche per come viene interpretato. Mitico il brano 5, What the world needs now is love, veramente ben cantato, con voce vellutata , delicate e lieve ,trapuntata di quando in quando con le giuste accelerazioni timbriche. La traccia 7 fa semplicemente sognare: That's what friends are for, veramente ben eseguita, pulita e profonda, con le estensioni controllate di giusto. In definitiva, vorrei dire, io sono un tipo di persona che quando si avvicina ad uno scaffale di libri in una libreria, prima di acquistarne uno, lo apro, ne leggo alcune parti e , a prescindere o meno della notorietà di chi l'ha scritto, lo acquisto. Anzi molto spesso gli scrittori più famosi sono i peggiori, perchè si sono messi a scrivere per il pubblico e alla fine sono diventati il pubblico. E per la musica è lo stesso, vi sono dei talenti nascosti che a causa di un mondo, quello editoriale dei dischi, gestito con criteri mafiosi e clientelari, come tutto del resto nel nostro paese che non cambia mai, che per questo tipo di perverse dinamiche sono destinati a restare tali, privando l'umanità tutta di forme di bellezza che renderebbero la vita più sopportabile. Per questo con piacere e con sincerità presto la mia tastiera al commento di opere e artisti che vale la pena di segnalare.

sabato 16 giugno 2012

Giusto il tempo di annegare in una pinta di birra(Brave)

Nella mia casa avita per una settimana... me ne sto nella mia cameretta dell'infanzia da me affettuosamente ribattezzata La Stanza del Morto perchè da quando sono migrato a Milano mia madre ha lasciato intatta come vent'anni fa quando presi un treno a cui fusi le ruote metalliche come Bolivar bruciò le navi per non tornare indietro obbligandosi a liberare il continente sudamericano. Io invece ho viaggiato non tanto in cerca di lavoro ma in cerca di me stesso e la liberazione a cui volevo giungere era quella mia personale, se è vero come è vero che se non puoi liberare il mondo puoi almeno cercare di liberare te stesso. Ad un certo punto mi alzo dal letto in cui sono sdraiato in questo pomeriggio di folle maltempo di mezza stagione e rovisto fra vecchie cassette per lo stereo che ancora hanno l'ardire di di svolgere il loro benefico lavoro di lasciarsi ascoltare volentieri. Nel mucchio pesco "Brave" , una cassetta registrata da un disco in vinile dei Marillion che mi aveva registrato e data in dono il mio fraterno amico TYBA con cui ho trascorso gran parte dell'infanzia mediterranea in quel di Ostuni in un altosalento surreale tutto muri a secco, ulivi secolari e ginocchia sbucciate sui mille campetti di calcio improvvisati un pò dovunque in quelle lande. Come una madelaine uditiva, le note di Brave mi raggiungono mentre me ne sto raggomitolato sul letto e mi rimandano immagini di un tempo lontano più di vent'anni, quando in un vecchio scaracchiante walkman ascoltai questa cassetta su un vecchio autobus che da Londra mi stava portando ad Edimburgo. Ero stato da poco mollato da una ragazza, una mora androgina dal capello corto e dalla pelle ambrata di natura come certe ragazze salentine che mostrano chiaramente i segni genetici di passate razzie costiere saracene. Ci eravamo lasciati in quel di Londra dove eravamo andati insieme in cerca di qualcosa, lei in cerca di una rivincita col mondo che sembrava non averle elargito i giusti riconoscimenti economico-sociali, io in cerca di qualcosa di indefinito, di me stesso forse o di vedere che effetto facevo ad un mondo sconosciuto o viceversa . Fatto sta che di fronte al duro confrontarsi con il vivere quotidiano del doversi procacciare da vivere in una megalopoli come quella londinese , specimen del pianeta in scala ridotta, con i suoi quartieri arabi o ebraici o italiani e l'eterno naso arricciato a disprezzo del londinese medio allorchè sentiva pronunciare dalla tua bocca quell'inglese appreso sui libri che pareva a loro una specie di sforzo immenso che facevano due down nel voler comunicare con il mondo dei cosiddetti normali, l'amore, quella specie di sessualità animale che ci aveva accompagnato per qualche mese, aveva incominciato a incrinarsi e a frangersi contro gli scogli dell'esistere quotidiano fatto di conti da pagare . Io dico la mia senza contraddittorio, che volete sto sforzandomi di scrivere mi tengo il diritto di avere ragione, quando si ama l'involucro della società o la divisa costosa che dovrebbe farti trattare con rispetto, abiti firmati, lavori di prestigio, gioielli addosso da mostrare al ritorno nei territori natii come trofei di una conquistata stabilità sociale da sfoggiare come un goffo apparato cattura-invidia, molto più del piacere di condividere con qualcuno una ricerca interiore di coppia, persino il sesso vissuto da me sino a quel momento come totale perdimento dell'uno nell'altra, viceversa diviene un surrogato di cui si può fare volentieri a meno. Credetemi puoi essere Rocco Siffredi o Trentalance, per certe donne non è una questione di misure o di come lo sai usare, diventa un succedaneo quasi routinario al termine dell'eccitazione vera che deve essere costituita da ricevimenti, proprietà, ville con piscina, orologi d'oro, vestiti firmati, che divengono una sorta di prolungamento fallico metaforico, per alcune donne, s'intende, le quali, a quel punto, proprio del sesso, finiscono per farne a meno . O al massimo si concedono qualche scappatella con qualcuno di cui hanno il pieno dominio psicologico e a quel punto non si capisce più chi penetra chi e cosa . Era stato così che in bel giorno di questa esperienza londinese, nel nostro flat affittato ad un curdo di chiare origini liguri, tanto si faceva pagare persino un refolo d'aria agitante un rotolo di carta igienica di scarsa morbidezza in un bagno come di Calcutta nel centro di Londra, con la tv accesa sulla BBC, mentre si faceva l'amore, Ramona , la chiamerò così l'aspirante mantide religiosa, nel bel mezzo della cosa, si ferma e mi fa:" miii, è morto Spadolini", mentre guarda lo schermo piatto della tv come è piatta la sua libido del momento, così, con la stessa partecipazione a quel che stava facendo di un elettricista con un filo collegato all'alta tensione in mano di fronte al mare . Così io mi ero alzato, avevo fatto il bagaglio, e nonostante le sue suppliche e i suoi appelli al senso "pratico" di restare comunque insieme fino al ritorno in patria, in quattro e quattr'otto mi ero volatilizzato dietro la porta malferma del flat in questione con il nonostante tutto vaffanculo in mente che data la rabbia enorme non ero stato in grado di vomitarle addosso sul momento . E ora eccomi su quest'autobus diretto a Edimburgo, con i risparmi di un paio di settimane da cameriere in un ristorante palermitano licenziato perchè non sapevo portare tre piatti per volta e da pubblic relation man di un ristorante messicano, incarico da cui ero stato rimosso perchè invece di distribuire volantini pubblicitari ai turisti alla fermata della tube riciclavo i biglietti inutilizzati della metropolitana per rivenderli ad altri utenti. La musica malinconica e struggente dei Marillion sentivo che mi faceva bene, leniva le mie ferite sentimentali. Fuori dall'autobus un deserto di cespugli bassi colorati di viola e azzurrino ingentilivano un tramonto pastellato di colori tenui e lievi come il mio amore scritto sulla sabbia del bagnasciuga cancellato da un'onda. Sono seduto vicino ad un ragazzo molto magro, biondo, che inforca un paio di occhiali da sole e una felpa bianca. Dopo un pò con in mio inglese rudimentale molto the cat is on the table, diventato nel frattempo beffardo ritornello di un famoso brano di discomusic, attacco bottone. Gli rivolgo la parole. Si chiama Oleg, è russo, è in viaggio per l'Europa e anche lui è stato un paio di settimane a Londra. Con i soldi che aveva fatto con vari lavoretti da factotum, aveva deciso di viaggiare in Scozia. Da quello che aveva visto fino a quel momento del paesaggio, era contento . Gli piacevano quei colori decisi e al tempo stesso tenui, perchè non gli davano fastidio agli occhi. Occhi da lupo artico poco abituato ai colori sud del mondo . In seguito, anni dopo, giudicai la Scozia come una specie di Irlanda incorporata al continente britannico. A Edimburgo, con Oleg, prendiamo una stanza insieme in un bed & breackfast. Decidiamo ognuno per proprio conto di fare un giro per la città e di darci convegno in centro, a sera. In un pub da lui indiviuduato sulle nostre guide turistiche tascabili. Io prendo un autobus di quelli cabriolet e faccio unn giro turistico, tour classico della città, non ho molto tempo, circa due giorni, poi i soldi finiranno . La guida che parla al centro dell'autobus, mentre il sole capolina fra uno scroscio e l'altro, racconta le origine storiche dei vari edifici e del castello dove sarebbero custoditi i gioielli di Maria Stuarda, che , a suo parere devono essere assolutamente visti . Io non so come mi viene, così, senza conoscere un inglese dignitoso riesco a formulare una domanda:"perchè non li vendono, quei gioielli, e non danno lavoro ai disoccupati?" . Gli altri passeggeri che devono essere di provenienza esteuropera, si voltano tutti e mi guardano. Sono seri. O non hanno capito la domanda o non approvano. La guida mi spiega che sono un simbolo e che non si può vendere un simbolo. Mi chiede di dove sono. Italian. dico io. Mi osserva sorridendo e dice:"vorreste voi italiani vendere il colosseo per risolvere il problema della disoccupazione?". Ho un idea migliore, dico , ci metterei dentro i politici e i disoccupati, mi sembra democratico no? Si voltano tutti e ridono a crepapelle. Anche la guida ride. A sera, stanco di castelli e uomini in kilt che suonano le cornamuse ( non ci sono le cornamuse ma io le sento), cammino nei pressi di un ponte. E' un enorme ponte metallico sul mare. Non ne ricordo il nome. Con il walkmen inforcato, in quel momento parte Brave, il pezzo che dà il nome al disco. Piove e io sono senza ombrello, siamo in agosto e quindi è tollerabile, non mi importa più molto di come mi andranno le cose. Cerco di godere masochisticamente della struggente mancanza di Ramona. Razionalmente lo sapevo che non mi avrebbe portato a nulla la storia con lei, ma al fatto compiuto non si fa mai abbastanza l'abitudine. Piove, pioviggina, neanche sento le gocce che si posano sul mio giubbotto verde militare, ho icapelli lunghi, le basette lunge da Beatles, alla londinese, sono magro per per le troppe ore di lavoro e le poche di sonno e a quel punto , nelle mie orecchie, entra Brave, un pezzo che esordisce con delle cornamuse ideale colonna sonora delle immagini di me stesso nel videoclip della mia vita. Il ponte è lì di fronte, immenso, sospeso nel vuoto, "lei cercherà finchè non avrà trovato un modo per prendere i giorni", dice la canzone, " così ha cercato a modo suo per trovare il cuore", parla di una ragazza che si toglie la vita per amore. Guardo il ponte, c'è qualcuno lì sopra e forse vuole buttarsi di sotto. E poco dopo lo fa. Urlo e mi sfilo la cuffia del walkman. E' incredibile, mi sembra un dejavu o un video della canzone che stavo ascoltando. Ci saranno centinaia di metri prima dell'impatto con il mare, con l'acqua. Sono sconvolto, non lo posso accettare. Incontro un policeman a cui cerco di raccontare l'accaduto. Lui per tutta risposta odora il mio alito. Quando capisce che non ho bevuto controlla i miei documenti e poi mi manda via. Io gli urlo, dovete andare a controllare, lo potete salvare. Lui dice che il mio inglese fa schifo, di andare via. Mi viene da piangere. Ho ventisei anni, mi sono appena laureato, sto viaggiando in cerca di me stesso, mi ha appena mollato una donna. Mi rimetto la cuffia e riascolto Brave. Piove sulla mia giacca a vento verde militare, le lacrime mi bagnano il viso, cammino per Edimburgo, qualcuno è appena morto,le cornamuse suonano , i pub sono aperti...giusto il tempo di annegare in una pinta di birra...

giovedì 14 giugno 2012

Dico il Vero, di Supa Cush (recensione)

Oggi recensisco un cd. Si tratta di Dico Il Vero di Supa Cush, ottimo rapper dell'area milanese e simpatico collega di lavoro . Fabrizio, questo il suo nome lo conosco da poco e mi ha subito mostrato una eccellente personalità, in poche parole ha le idee chiare sulla musica e di conseguenza, come deve essere per un'artista, sulla vita. Questo suo disco esce dopo 10 anni di ottimo rap italiano prodotto da lui ed è lo specimen del fatto che noi italiani abbiamo una nostra via nell'incidere testi importanti ed originali su basi musicali molto ben scelte. Ha lavorato molto sui testi intridendoli di un ottima mescolanza di italiano alto, slang periferici e termini territoriali, parole messe insieme per creare rime e assonanze, musica di parole che accompagna come in un controcoro le basi musicali ben selezionate. Nella seconda traccia, Dico il vero, che dà il titolo all'album, frasi come "divento grande ad ogni nuova sconfitta" che ricorda il motto Bukowskiano" ad ogni rifiuto delle case editrici la grandezza della mia scrittura aumentava" e " non ho mai visto in Italia un rapper con un rolex vero brillanti sull'acciaio solo culi di bottiglia e non mi frega quante quaglie ho portato nel letto" marcando una netta differenza con i rapper afroamericani che ostentano la propria ricchezza come immigrati suditaliani di ritorno dalla Germania tipo code di volpe sul retro di mercedes verde pisello targate Dortmund, come pure i riferimenti a "natura e scienza" , segnano una aperta originalità che fanno camminare questo disco con le sue gambe, nonostante le pur prestigiose feat-ospitate di Fabbri Fibra, che tra l'altro è il miglior rapper del panorama nazionale...abbastanza scevro da troppi compromessi commerciali. La traccia "Into the wild" di cui potete recuperare lo splendido video in youtube con una semplice ricerca, è commuovente e poetica con il ritornello" vivo in un cerchio del grano in mezzo al parco agricolo sud Milano, l'odore dell'erba mi porta lontano " e parla della spasmodica richiesta di aria, natura e alberi, dopo che si è stati rinchiusi dieci ore in un qualsiasi cubicolo impiegatizio, cosa che riguarda milioni di persone che vivono in queste nebbiose lande padane . I continui riferimenti al rifiuto delle energie pericolose come quella nucleare e il rivolgersi ad un uditorio più alto statuito dal proclama " voglio persone serie zero Raul Bova" e " vorrei svegliarmi senza aver bisogno del denaro" ,traccia 6, che ricorda il deandreiano "vorrei vivere in una città civile dove all'ora dell'aperitivo non ci sia spargimento di sangue o di detersivo"( la domenica delle salme), insieme alla metafora per la lotta subumana verso il successo a tutti i costi sintetizzato nel mirabile" spingono tutti per entrare in una stanza quando sono dentro poi si accorgono che è vuota neanche si scopa( Traccia 9)sintetizzano in modo poetico una visione del mondo che anche se comune a tutti gli artisti che scrivono testi socialmente impegnati, viene espressa in modo, unico, personale e originale, in altre parole dalla voce di un'artista maturo che ha qualcosa da dire a modo suo, senza scopiazzare qua e là . L'abum si chiude con la traccia 11, dal titolo "skb or die", omaggio alla generazione degli skateboardisti, graffitari e ponitori notturni di stickers, molto interessante , "Outro", brano breve al limite dello skit in cui si riconosce la voce di quel meraviglioso masaniello milanese che risponde al nome di Piero Ricca e con due bonus tracks delle quali , l'ultima , dal titolo suggestivo "ognuno vale uno" fornisce una eccellente visione della democrazia ormai distante dai partiti, dalle banche e dai governi che impongono scelte pesanti e inaccettabili sulla pelle dei popoli , insomma un inno ai movimenti, che mi vede in assoluta sintonia, rispetto alle mie attuali posizioni in politica.

lunedì 4 giugno 2012

L'età del ferro

Sono entrato nell'età del ferro. Appesantito dallo stile di vita e da un'ernia del disco che non voglio stuzzicare col mio jogging suburbano al piccolo trotto mentre attraverso quartieri periferici o parchi, passando lungo muri perimetrali di capannoni dismessi incisi da rabbiosi graffiti geroglifici compresi a mala pena dai loro autori, ho tirato fuori dal mio sgabuzzo un paio di vecchi manubri di ferro rugginosi e mi sono messo in men che non si dica ad esercitarmi facendo attenzione a non gravare sulla schiena con esercizi mirati. E a proposito della mia ernia del disco , tanto per intenderci, ogni volta che qualcuno mi guarda e tratta come una specie di invalido, rispolvero la vecchia battuta d'occasione che feci all'infermiera dal San Paolo mentre mi riportava in barella in corsia dopo la tac: è meglio un'ernia del disco che un disco di Leone di Lernia . I manubri vanno bene perchè non ho né il tempo né la voglia di recuperare una silouette gradevole ammazzandomi di diete e addominali del detenuto ed esercito i pettorali affinchè la pancia si noti meno, un po' alla Mickey Rourke, una cosa molto heavy metal o piuttosto metalmeccanica ludicomotoria. Le donne sì che hanno un grosso vantaggio, specie le più giunoniche e pettorute, a queste la pancia e quando la noti, se poi sfoggiano un bel decoltè? Così col corpo ancora caldo per un allenamento di media intensità, esco, la giornata è di quelle che meritano, c'è il sole, roba da celebrare come un evento, in questi lidi lombardoveneti . E dalla periferia di Milano, che mi piace immaginare essere periferia del mondo , col solito autobus 325, in mezzo al sartiame di passamano e reggipasseggeri, passo lungo il naviglio di Corsico in direzione Romolo , fermata di riferimento più vicina della metro . Poco dopo siedo in un treno completamente ricoperto di graffiti realizzati con rischio di notte da scrittori o pittori o tatuatori di mezzi pubblici urbani cui non basta un quadernetto o la tastiera di un pc per dire al mondo che esistono e che hanno qualcosa da dire, se non altro celebrare le grigie pagine cementizie del quaderno di vetrometallo di questa città civile che per farsi fare un pompino ha bisogna della scusa di un centro massaggi cino-thailandese dietro separè colorati adorni di pappagalli muti e silenti che hanno il pregio di farsi i fatti propri durante l'espletamento di certe pratiche che risalgono alla notte dei tempi e che non si ha il coraggio di chiedere alla propria moglie forse perchè a furia di vivere da queste parti ne ha assunto la patina grigia dei quaderni-muri del circostante laterizio. Seduto su questo treno del metrò, osservo i passeggeri , in prevalenza ragazze dai trenta in giù, sedute una a fianco all'altra , mentre si esercitano nell'attività prevalente di questi tempi moderni e tecnologici consistente nello smanettare febbrilmente il proprio iphone. Ci sono anche degli uomini che riescono a farlo in piedi con una sola mano mentre con l'altra si reggono a qualcuno di questi pali da lap dance che hanno il compito di non farti cadere addosso agli altri come un birillo da boowling ogni qualvolta il treno della metro frena e riparte seguendo il suo ritmo elettroencefalogrammatico. Ciascuna di queste ragazze postmoderne invade la contemporaneità con una propria tecnica di digitazione dell'iphone, chi con i pollici delle due mani, chi con pollice di una mano e indice dell'altra, chi con una sola mano che fa tutto, reggere il cellulare last generation e digitarlo col un pollice solo, come acrobati involontari del multitasking circense .Non si capisce cosa abbiano da scrivere così tanto né tantomeno a chi in un paese che non sa scrivere, non sa parlare e , soprattutto, non sa leggere . Roba da scomodare Lamarck e la sua teoria evoluzionista basata sull'adattamento degli arti degli esseri viventi all'ambiente, tra un po' avremo ragazze coi pollici simili a polpacci di Maradona . Ad un tratto una di queste girl assolutamente non di Ipanema , si alza in piedi e comincia ad osservare in fondo allo scompartimento , saluta con mano un'amica con cui si stava messaggiando , ma dico io due passi fino da nei no? Non ti vengono mica i calli ai piedi, fanno prima a venirti alle dita. E poi c'è uno con un tablet, gira le pagine di uno scritto col dito indice con una velocità impressionante, almeno la metà del tempo che impiegherebbe a girare la pagina di un testo cartaceo . Suo nipote dirigerà orchestre senza bacchetta . Quando arrivo in Stazione Centrale scendo dal treno e mi dirigo verso la missione da compiere che non consiste nel prendere un treno per Saint Tropez o per Saint Morritz , né un taxi per la prossima sfilata di Giorgio Armani ( quella dalle proprie responsabilità di aver messo una minuscola aquila bianca su magliette nere che pare la deiezione di un piccione facendosele pagare più di un salario mensile cinese ciascuna), si tratta di ben altra missione: comprare dei quaderni in carta riciclata e delle tratto pen ad alcool così che io possa imbrattarli con i miei strali da artista fallito da chi considera arrivato e di successo solo chi siede nel salotto della Bignardi a pontificare di panetterie e New York cercando di convincerci che fra le due cose c'è una relazione indispensabile da comunicare al genere umano. Non lo capiranno mai che il giorno in cui vedranno un mio libro in una sporta dell'Esselunga vicino a delle mozzarelle o peggioancora a dei sofficini , sarò diventato un prodotto di mercato pure io e mi comporterò come i suddetti sofficini finendo in padella cotto mangiato e digerito , dimenticato la mattina dopo appena alzati alla prima seduta sui sanitari della giornata . Prendo delle scale mobili e mi trovo catapultato all'interno di quella specie di stazione spaziale che è diventata la Stazione Centrale di Milano . Tutti intorno a me camminano , schivano gente all'ultimo istante, prendono scale mobili , digitando sul proprio iphone mentre danno un'occhiata barbina al modello di un manifesto ammiccante e tutto questo tutt'insieme e mi verrebbe da ammirarli se non fosse perchè penso , ma questa gente, queste ragazze per lo più, riescono ancora a fare l'amore come ai tempi di Adamo ed Eva o sono diventate delle specie di Moana Pozzi postatomiche che parlano al cellulare pure in quel momento mentre la telecamera di Dio Cupido inquadra solo quelle parti lì in basso? Mentre mi involo su dei tapis roulant e mi sento Philip Dick in un suo romanzo di fantascienza, mi cade lo sguardo su dei maxischermi che trasmettono h 24 pubblcità di vestiti e profumi di marca ma che in realtà, non sia mai, sono stati messi lì come prove generali per il prossimo golpe e da un momento all'altro qualche bellimbusto apparirà per dirci che è in vigore lo stato d'emergenza e che fra un po' partirà il coprifuoco senza riuscire a sentire la mia battuta immediata che fa, ma quale stato d'emergenza, quello che c'è sempre stato? L'emergenza è la forma di governo degli ultimi cinquant'anni in questo paese ed ha consentito in nome di questa presunta precarietà di schiavizzare milioni di persone e di far perdere loro qualsiasi speranza di vivere dignitosamente facendoci credere che tutto quel che si stava facendo da parte di loschi individui che invitavano a stringere la cinghia mentre loro se l'allentavano a furia di trigliceridi da cene di palazzo, era per il nostro sacrosanto bene. Una volta in cima davanti agli schermi di arrivi e partenze con sempre maggior sentore di essere in realtà derive e approdi, un mucchio e una sporta di senegalesi in vestiti sgargianti colorati e tradizionali, osservavano quei numeri di orari illuminati elettricamente come uomini della giungla amazzonica marziani con cornini ricetrasmittenti . Poco dopo scendo per delle scale deserte, la gente non le prende nemmeno per scendere, e mi ritrovo su un lato della stazione, dove , seduti su un gradone circondati di cartoni da supermercato, un gruppo di barboni marocchini fumano e bevano birre becks avendo capito tutto della vita e oziando della grossa, dal momento che se il fine del ben vivere è arrivare a non fare niente avevano deciso di portarsi parecchio avanti. Magri, olivastri, tatuati, barcollanti per l'alcool ingurgitato a prescindere dal cibo, fumavano sbuffando come locomotive ottocentesche all'ultimo viaggio prima della rottamazione e si godevano quel loro ozio come dei piccoli macilenti Bukowski assolutamente senza pretese letterarie , interpretando al meglio il ruolo di barboni senza vergogna, pronti a godersi le tiepide notti dell'estate incipiente, fumando e sbuffando alla luna, gracchiando alle divise e sorseggiando l'ultimo nettare batesoniano che danzerà la danza dei coltelli con i loro fegati allenati al peggio. Sul piazzale Duca D'Aosta me ne sto a guardare il Pirellone questa specie di gigantesco fallo cementizio piantato ad arte nello sfintere della Lombardia tutta, mentre tutt'intorno un mucchio di altri falli cementizi col fumetto di Generali, Radio 105, Mini Hotel Aosta in cima ai terrazzi come inevitabili creste di gallo che testimoniano la loro promiscuità , fanno a gara a dare l'assalto al creatore come piccole insignificanti Torri di Babele che Dio non degna neanche del più distratto sguardo, magari perchè ha messo il telecomando sul terremoto in Emilia . Dietro il Pirellone altri grattacieli fallici con un enorme numero illuminato di rosso in cima, quasi a mò di birilli identificativi per la prossima palla bomba da boowling scagliata da qualche paria estromesso dalla grande torta del potere, qualche sorta di altro Bin Laden di cui s'è perso il controllo. Intorno alle aiuole, venditori abusivi di occhiali da sole hanno messo in mostra le loro mercanzie , inforcano a loro volta i migliori manufatti della loro merce, guardandoci tutti come le Iene di Tarantino . Mi siedo ad un Mac Donald e una pazza urla qualcosa di incomprensibile contro la carne che si vende lì. Passa e spassa davanti e dà grossi colpi con un bastone sulle griglie delle biciclette dell'atm, andandosene via, con l'urlo che si sente sempre più flebile, mano mano che viene inghiotita dall'Enterprise della Stazione...