mercoledì 12 gennaio 2011

Racconto 4


Giorgio


Una sera ero capitato in via Guido Guinizelli, una traversa di viale Monza, a Milano. In una casa di brasiliani ad una festa brasiliana. Il classico “churrasco”, come chiamano loro la grigliata di carne. C’era un mucchio di gente e la casa, pur piccola, si affacciava su un’ampia terrazza attrezzata con tanto di barbecue e pc portatile collegato a potenti casse da cui ascoltare le più svariate melodie brasiliane, dal samba al forrò, prese da Youtube. Mi aveva invitato un’amica, una brasiliana che conoscevo da tempo. Una volta lì però lei non c’era. Ma nessuno mi aveva chiesto nulla. Potevo essere un imbucato e comunque mi avrebbero offerto dei pezzi di picanha(codone di vitellone) e birra gelata senza soluzione di continuità. Vietato avere il bicchiere vuoto. La terrazza si apriva davanti ad una balconata enorme e dietro la balconata una panoplia di porte nascondeva altrettanti appartamenti in affitto, tutti affittati a brasiliani. Il proprietario del posto era un italiano di cui nessuno conosceva il nome. Tutti conoscevano invece un brasiliano che faceva le sue veci. Un tale Lucio. Me lo aveva detto una mulatta, magrina, con un vestitino a gonna corta attillata quasi ascellare ed un paio di tatuaggi discreti sui deltoidi definiti, i capelli a caschetto lisci e ben curati, le unghie all’ultimo grido decorate e lunghe modello Griffith famosa velocista afromericana degli anni ’80 ed un paio di sandali con tacco 18 molto fetish…Karina, si chiamava. Senza che le chiedessi nulla mi disse che faceva la puttana. E che usciva con fior di calciatori di Milan e Inter. E con altri vips. Lo disse come se fossero delle medaglie al valore, come se il fatto che uscisse con gente conosciuta, in qualche modo, potesse edulcorare l’opinione che mi sarei potuto fare sul suo conto. Io non dissi nulla. Ascoltavo. Dopo 20 anni a Milano diventi minimalista: ad esempio, una volta avrei detto, è una puttana. Oggi guardavo le cose da un altro punto di vista: la ragazza aveva fatto 10mila chilometri con l’aereo, rischiava ogni giorno di essere arrestata come clandestina perché nessuno le aveva offerto un lavoro nemmeno di pulizia delle scale di fatiscenti condomini di periferia, gli italiani se la volevano scopare gratis, beh, che dire, aveva fatto di necessità virtù.
A turno ragazzi e ragazze mi riempivano il bicchiere di birra e mi chiedevano: ”tudo bom?”.
”Si,tutto bene,grazie”, rispondevo. Karina era sempre nei miei pressi e ogni tanto mi lanciava delle strane occhiate. Io bevevo e mangiavo. E aspettavo la mia amica: Julia. Ma Julia non si vedeva. Feci un giro nelle scale per vedere se veniva. Tutto il caseggiato era popolato di brasiliani. Sembrava di stare a Rio De Janeiro. Un tizio a cui chiesi come mai ci fossero tutti questi brasiliani mi osservò attentamente e mi disse:”in questa zona sono tutti brasiliani. In tutto il quartiere. Ci sono anche un sacco di travestiti”. Lasciò cadere la parola così,”travestì”, pronunciata in portoghese, con un certo disprezzo, come se non approvasse. Anche in questa festa ce n’erano alcuni, di transessuali. Se ne stavano nel loro angolo e non si mischiavano con gli altri frequentatori del posto. Anche perché non sembrava ci fosse un’aria troppo tollerante nei loro confronti. Ma si capiva che oltre al pregiudizio culturale, c’era anche in po’ di invidia, perché quelle strane creature a Milano facevano soldi a palate, persino di più delle prostitute donne.
Ritornai al terzo piano, dov’era la festa. Nel frattempo la gente cambiava. C’era chi andava via e chi veniva. Le musica, ad altissimo volume, imperversava e qualcuno aveva anche accennato a qualche passo di samba, nonostante lo spazio esiguo. Una ragazzo e una ragazza si stavano picchiando per una storia di gelosia e qualcuno li aveva divisi. Qualcun’altro non si reggeva già più in piedi per aver fatto il pieno di beveraggi pesanti e la carne nei piatti sul tavolo al centro della terrazza era finita. Julia, nel frattempo ,mi aveva chiamato al cellulare. Si scusava per il ritardo ma stava arrivando. Mi misi in un angolo e aspettai. Di fronte a me c’era un uomo,un bell’uomo che doveva aver passato i 40, con pantaloncini verde militare e una camicia nera piegata dalla curvatura di una importante gibbosità addominale. Se ne stava seduto sfumacchiando i suoi sigarini, a fianco a Karina, di cui sembrava molto amico. Nel frattempo la ragazza che sembrava essere la fidanzata del padrone di casa,un’italiana di vent’anni dagli occhi verdi, uno e ottanta di altezza e una minigonna di jeans modello pornostar americana, stava respingendo la corte di un nero brasiliano, magro, bermudato, con canotta circense e cappelino da baseball messo in testa in diagonale molto alle periferica terzomondiale.
“Che mancanza di rispetto”, fece la tipa rivolta a me,”sa che sono fidanzata con Yuri e ci prova lo stesso davanti a tutti. Che ignoranza!”.
“Già”, dissi io,”davvero sconveniente. Tante volte la cultura consiste nella capacità di addomesticare gli ormoni”.
“Cosa?”,disse lei.
Colpa mia. Che a quarant’anni suonati me ne andavo in giro per feste di ragazzini moccolosi parlando come un nouveau philosophe. E comunque pensai lo stesso che ,in realtà, la cultura consisteva nel corteggiare comunque una ragazza impegnata col giusto distacco ,mostrandosi come una fortezza invulnerabile con la porta di servizio sempre aperta. Era come la pesca delle trote. Chi aveva la mosca più rassomigliante alle vere non necessariamente pescava di più. Le mosche dei pescatori sono tutte comunque false. La differenza la faceva dove buttavi la canna e se davi l’impressione che ti importasse davvero. La trota abboccava sempre alla mosca più lontana e misteriosa. Ma finiva comunque nella rete. Non lo so perché pensai queste cose. Fatto sta che dopo un po’ ,Angela ,questa splendida ragazza mora, capelli lunghi lisci, diciannove anni, si mise a parlare con me e non mi lasciava più stare. La differenza d’eta non sembrava importarle, come invece importava alla maggior parte delle sue coetanee italiane. Forse era rimasta contaminata dalla cultura brasiliana. I brasiliani se ne fregano delle convenzioni europee. Se amano qualcuno non è importante la sua età. Il tipo con cui stava le si avvicinò un paio di volte, ma lei non lo degnò più di tanto. E lui coi suoi vent’anni , i suoi occhi azzurri,il fisico da ginnasta e la poesia della sua chitarra elettrica da “rockero” ultima moda brasiliano presto corse dietro un’altra gonna. E dire che ce n’erano, da quelle parti. Dopo un po’ Julia arrivò. Nera , imponente, panterona d’Amazzonia, un corpo scolpito da madre natura e mai allenato in altre palestre che non fossero gli abituali lavori domestici e la sua professione di parrucchiera per vip. Mi salutò con un lungo bacio. E Angela capì che doveva battere in ritirata. Bevemmo un paio di bicchieri di birra. E il tizio a fianco a Karina continuava a guardarmi. Dopo un po’ Karina si avvicinò e ci invitò ad andare a casa sua con Giorgio. Giorgio era il tizio seduto a fianco a lei che fumava in continuazione questi sigarini “amigos”,dall’aroma delicato e saporito.
Io non ebbi nulla in contrario. E così uscimmo da quella festa, prendemmo la macchina di Giorgio, una Bmw ultimo tipo blu metallizzata iperaccessoriata, con satellitare incollato al vetro che parlava come un pappagallo amazzone elettromagnetico abbarbicato lì davanti a noi quattro. Accese la radio e ascoltammo un brano di Ligabue. Pietro si presentò: ”salve. Sono Giorgio, piacere di conoscervi”,disse . E sorrise. Dall’accento capii che era romagnolo. Inconfondibile.
Quando arrivammo in una strada dietro la stazione Centrale, Giorgio fermò l’auto. La parcheggiò con dovizia e scendemmo. Al terzo piano di un appartamento che si affacciava sui binari dei treni che dalla “Centrale”di Milano partivano per ogni dove, davanti ad un’ampia finestra, ci sedemmo al tavolo. Karina tirò fuori dal frigo un paio di Brahma, la potente e amarognola birra brasiliana molto consumata dal “povoao” delle favelas. E quando ne ebbi bevuto un sorso, capii perché. Aveva un gusto forte e un retrogusto amarognolo e aveva l’aria di scendere bene in modo ingannatorio, salvo poi manifestare un effetto successivo improvviso e inaspettato, da rendere una mazzata da baseball sul cranio preferibile a quell’effetto.
Chiacchierammo un po’. Non c’era un motivo preciso. Era semplicemente che Karina voleva fare quattro chiacchiere con Julia lontane dalla confusione e “fofocare”un poco su questa e su quell’amica e su questo o quel brasiliano avessero avuto o meno fortuna a Milano o in Italia. Non c’era bisogno che ascoltassi ,perché di tutte o tutti quelli di cui parlavano, nessuno aveva avuto veramente fortuna. Magari erano riusciti a farsi una casa in Brasile ,o ne pagavano una con mutuo in Italia. Io non avevo mai pensato a questa cosa della fortuna. Forse perché venivo da quell’antica filosofia napoletana che avevo sempre adorato e che prende le mosse da quella barzelletta del napoletano seduto in riva al mare che non fa niente e che incalzato dal milanese che gli chiede come mai non si dia da fare andando a lavorare per farsi una casa, una famiglia, dei figli, una macchina di lusso, per poi, un giorno andarsene in pensione e non fare niente...Ecco, appunto, avrebbe detto il napoletano: niente...è quello che sto facendo. Se la meta era quella un giorno di non fare niente, beh, io, come il napoletano, mi contentavo di arrivare alla meta prima di tutto quello sbattimento. O almeno ci provavo. Solo che a parte alzarmi ogni mattina per andare a lavorare, lavorare 9 ore, tornare a casa e fare le pulizie, cucinare e andare a corricchiare per evitare di guardarmi nudo allo specchio senza più distinguere il davanti dal di dietro, non mi rimaneva molto per oziare. La mia era un’attitudine. Non so se mi spiego. Io sapevo di essere sempre stato un brasiliano nell’anima, ma se avessi vissuto come un brasiliano in Italia sarei durato poco. Per cui in attesa di non fare niente facevo una montagna di cose. Nessuna della quali realmente produttiva per la mia anima. Che restava quindi brasiliana. Non so se mi sono spiegato. Ma comunque andando avanti nel racconto, alla terza Brahma, Giorgio ci aveva già quasi raccontato la sua vita. Nativo di Rimini era sempre vissuto in ambienti di prostituzione. Affittava case a prostitute brasiliane e si prostituiva lui stesso. La sua specialità era cagare sulle clienti. Meno male che avevamo mangiato da tempo e la fase digestiva era già a buon punto. Karina , forse perché abituata a quei racconti non fece una piega. Julia fece una smorfia. Ma non più di tanto. Come di chi è a conoscenza che la vita ti mette di fronte a una panoplia di scelte non tutte comunque perfettamente in sintonia col concetto di “normalità”. Giorgio parlava di queste sue vicende autobiografiche con una naturalezza, scusate il termine, fisiologica. Dopo un po’ Karina tirò fuori due olive, che accompagnarono le birre. Giorgio fumava i suoi sigarini e beveva. Aveva quasi finito il pacchetto. Tirò fuori il suo cellulare ,uno di quelli che fanno le foto e ci mostro alcuni dei suoi capolavori. Si vedevano corpi femminili con in bella vista il pacco regalo depositato su quelle pelli bianche di ragazze, che, a giudicare dalle forme che si intravedevano, dovevano essere anche carine. A quel punto dissi: ”beh, nelle centoventi giornate di Sodoma, il marchese De Sade descrive una cinquantina circa delle perversioni sessuali più in voga ai suoi tempi e questa era una di quelle più gettonate”. Giorgio mi guardò e non disse niente. Karina disse: ”chi?il marchese De Sade? E chi caralho è?”. Tralascio la traduzione di “caralho”, facilmente intuibile.
“Era un filosofo francese vissuto a cavallo fra il ‘700 e l’’800. Era un libertino e fu uno dei precursori della libertà sessuale”.
“Ah”,disse Karina.
“E tu come lo sai?”,fece Julia.
“Ho letto i suoi libri”, dissi io.
“Visto?”,disse Giorgio,”io faccio cose di cui hanno parlato i filosofi”.
“Si ,adesso però non t’allargare, non c’è molto di filosofico in quello che fai”, dissi io sorridendo.
Anche lui ammise. E rise.
Bevve un altro bicchiere di birra e scartò un altro pacchetto di sigarini. Ne offrì uno anche a me. Julia fece per allontanarsi. Non tollerava quella puzza, disse.
“Beh,non è niente in confronto a quello che tollerano le clienti di Giorgio”,dissi.
Giorgio rise.”Pagano bene,però”,disse.
“Non ne dubito”,dissi io,”anche De Andrè disse una volta che dalla merda nascono fiori e dai diamanti non nasce niente. Ma qui ci troviamo davanti al caso che grazie alla merda uno si può comprare diamanti”,dissi io.
Giorgio continuò il suo racconto. Disse che abitava a Rimini e affittava appartamenti a prostitute. Gli affari andavano a gonfie vele,negli anni ’80 e lui aveva fatto soldi a palate. Le accompagnava al lavoro come taxista, vendeva loro preservativi, medicinali, provvedeva a tutto. E incassava cospicui affitti, anche. Inoltre si prostituiva con turiste ,per lo più, tedesche.
“No, dico, ma anche loro amavano la materia di cui sopra?”,dissi.
“No, quella è stata una evoluzione da quando sto a Milano”, disse lui.
“E come fai ….dico, a farti venire lo stimolo?”,disse Julia.
“Già”,disse Karina morendo di curiosità.
“Mi viene naturale”,disse Giorgio. “Solo all’idea che qualcuna vuole quella cosa…mi viene lo stimolo”.
“Beh,può essere…ma, scusa se siamo curiosi, come fai a farla venire sempre bella corposa come si vede nelle foto?”, chiesi.
Karina a Julia risero. Giorgio non rise.”Cerco di mangiare bene”,disse.
Noi ci guardammo in faccia e scoppiammo a ridere. La maggior parte delle serate a Milano erano delle serate di merda, era la prima volta che passavo una serata divertente parlando di merda. Non so se mi spiego.
Poi la birra stava per finire, Julia doveva andare a casa perché l’indomani aveva appuntamento con una diva di Canale 5,una brasiliana mulatta che era molto esigente e pagava bene. Io anche dovevo lavorare. Giorgio si offrì di accompagnarci.
Di lì a poco, una volta salutata Karina che nel frattempo aveva ricevuto una telefonata da un calciatore piuttosto famoso, io, Julia e Giorgio, stavamo sfrecciando in corso Buenos Aires e Giorgio si era avventurato in una discussione politica manifestando il suo disprezzo per la sinistra. Per uno di Rimini mi sembrò strano. Ce l’aveva a morte con Di Pietro e disse che il suo giornale preferito era “Libero”. Io lo guardai e dissi:”ma se le leggi più severe sulla prostituzione le sta facendo la destra, non ti capisco. Non danneggiano il tuo lavoro?”.
“Quello è normale ,è tutta broda che danno agli elettori,tanto poi i primi miei clienti sono loro,i politici. Per ogni puttana che gli procuro mi danno fino a tremila euro. Esentasse. E quelli di destra, come diresti tu, pagano subito e in contanti. Non hai ancora capito che le leggi sono per i poveri?”, disse sganasciandosi.”Anzi, più si proibisce, più florido è il mercato. Aumentando il rischio, aumenta la parcella”,aggiunse.
“Capisco”,dissi.
Avevo studiato tomi di scienza della politica, saccheggiato biblioteche a caccia di libri di filosofia, ero un intellettuale , compravo la Repubblica tutti i giorni , ma non avevo capito un cazzo della vita. Di come girava il mondo. Giorgio lasciò Julia nei pressi di un palazzo in viale Umbria. Julia mi dette un bacio in bocca caldo e appassionato. Intimò a Giorgio di accompagnarmi a casa e che di lì a poco mi avrebbe chiamato. Le “brasucas”, come chiamo a volte io le brasiliane, sono gelose come ghepardi. E’ nella loro natura. Io invece non ero più geloso di nessuna. Forse era questo il mio segreto. Nel rimorchiare ancora qualcuna, dopo i quaranta, senza essere un nababbo cui escono i soldi dal culo. Dopotutto c’era ancora bisogno di poesia, di sentimenti, nell’epoca delle puttane a caro prezzo e del ritorno di De Sade in salsa riminese. Forse non era vero che non avevo capito nulla. Dopo un po’ la gente si stufa della merda. In ogni senso.


Buona giornata e buona fortuna


3 commenti:

  1. certo che... per scrivere così bene di questi ambienti... vuol dire che li conosci bene eh? ;)

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  2. ma certo che no, ho molta immaginazione ;-)
    Danilo

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