sabato 25 settembre 2010

Racconto 2




Nicolae & Carla



Carla uscì di casa, quella giornata di settembre, un settembre piovoso in una Milano sotto il diluvio della crisi economica. Era diretta alla fermata dell'autobus, uno di quegli autobus ecologici elettrici tutti verdi di vetrometallo. Attese l'arrivo del mezzo. Pioveva e Carla aveva il suo ombrello, un ombrello che aveva preso giorni prima in metro, sotto la metro, da un ambulante abusivo cinese, che fra un lavoro e l'altro , si era messo in permesso, appena era venuto a piovere, per sfruttare l'opportunità di qualche buona vendita. E l'ombrello reggeva, nonostante i cinque euro che era costato. L'autobus, però , tardava, forse il traffico, qualche auto parcheggiata male che si doveva aspettare che rimuovessero in qualcuna di quelle strade che incrociavano via Giambellino, storica via di Milano, via di quartieri popolari, di duri di un tempo, oggi quartiere multietnico su base magrebina ed est europa. Poi l'autobus arrivò e il conducente ebbe l'accortezza di non schizzarle addosso l'acqua di una pozzanghera che era lì nei pressi del marciapiede. Le porte al centro del mezzo si aprirono nel fragore del traffico del pomeriggio inoltrato e Carla salì a bordo . Il cielo era grigio, come il mantello di un ratto immenso e immoto addormentato con la schiena che dava sul pianeta terra che ronfava della grossa grossi tuoni e , di quando in quando, si svegliava lanciando sguardi in tralice come lampi verso possibili deità gattiche. Carla si sedette ad un sedile vuoto, vicino ad un ragazzo. Carla era bella, un tipo di bellezza classica , ma , al tempo stesso, semplice, con la sua minigonna, nonostante tutto, piuttosto castigata, non aderente modello guanti da chirurgo plastico quali si era soliti vedere in giro per Milano, nelle brevi estati torride e umide. I capelli castani a caschetto, gli occhi verdi da ragazza di facebook, il giubottino di jeans, sopra ad una camicetta semplice e attillata , cui gli ultimi due bottoni privi del controllo della asole, conferivano un atmosfera sexy, nonostante i suoi seni mignon, facevano di lei un “bel fighino”, come dicevano a Milano. Al suo fianco c'era un ragazzo, un biondino smilzo, sui trenta, più grande di lei, quindi, che non arrivava a venticinque, coi jeans sdruciti alla moda , una t-shirt logora ma pulita, due occhi chiari modello siberian husky. Si chiamava Nicolae, era rumeno e odiava quel nome. Gliel'avevano dato i suoi che erano degli ex privilegiati dei tempi di Ceausescu, quando se chiamavi un figlio con quel nome ti davano dei soldi ed era considerato segno di prosperità, in un paese dove il dittatore aveva varato una tabella sul consumo mensile degli alimenti, pensa un po', pensava Nicolae. E poi in che consisteva il privilegio dei suoi? Nell'essere minatori e guadagnare di più del loro ingegnere. Tutto qui. Ora erano in miseria e Nicolae era dovuto venire in Italia a vedere se riusciva a far restare a galla la barca della famiglia. E lui odiava Ceausescu e odiava chi gli era succeduto e odiava l'Italia, un paese che passava il tempo ad additare gli stranieri come unici responsabili della decadenza di una nazione. Non capiscono, hanno bisogno di nuova linfa, di forze nuove , di energie giovani e intraprendenti, di una trasfusione di spregiudicatezza. Pensava troppo Nicolae ed erano mesi che non toccava una donna . E ora c'era Carla lì, seduta, vicino a lui, con quel vago odore acre alla Julia Roberts descritta in quel libro di Rupert Everett letto di sfuggita in una libreria in centro. La osservava, senza tuttavia fissarla. Carla sembrava persa nei suoi pensieri, guardava fuori dal finestrino, lì a destra, dove c'erano delle cancellate arrugginite cui qualcuno aveva affisso delle bandiere di sindacati e un cartello con la scritta ”ridateci il nostro lavoro”.
Verso piazza Napoli Carla si alzò , lentamente, e schiacciò il pulsante di avviso acustico. Una luce rossa lampeggiò e il conducente del mezzo, dette un'occhiata tramite specchietto laterale e quella gradevole figura umana femminile che si accingeva a scendere. Nicolae guardò Carla intensamente. Ne avvertì l'odore forte nelle narici ed ebbe quasi un mancamento o un piacere lieve e breve, antipasto di quello che sarebbe potuto essere un piacere più lungo e intenso. Carla, quasi avvertendo quell'energia che proveniva alle sue spalle, istintivamente si voltò. Gli sguardi dei due ragazzi, per un momento, si incontrarono all'infinito. Un momento zen. Un'improvvisa, breve , ma intensa, illuminazione. Durò qualche secondo, poi Carla si voltò e scese. Le porte dell'autobus erano aperte. Subito dietro di lei, scese Nicolae. Carla non badò a lui e , con l'ombrellino aperto , si incamminò verso un piccolo parco che era nei pressi. C'era il cinema , lì di fronte ed era un mercoledì e c'era un mucchio di gente che approfittava dello sconto infrasettimanale per andare a vedersi qualche film. Non importava quale, importava l'idea di poterci andare quando costava meno. Un pubblico di intellettuali e studenti. Le masse ci andavano di sabato e domenica. Carla si infilò nel cinema dietro una piccola fila che faceva il biglietto per lo spettacolo di metà pomeriggio. Nicolae era dietro di lei. La guardava intensamente da dietro, i suoi capelli castani e umidicci emanavano un odore intenso di donna farfalla che sta abbandonando il bruco adolescente, un odore da donna, fortunatamente non ancora rancido di mezz'età. L'odore perfetto , pensò per un momento Nicolae, ma perchè nessuno pensa di imprigionare certi profumi per commercializzarli? Prestò attenzione a ciò che faceva Carla.
“Un biglietto per -Notthing Hill-”, chiese al bigliettaio. E la sua voce suonò come un flauto dolce.
“Lo stesso”, disse Nicolae. Carla si voltò e vide Nicolae. Il ragazzo dell'autobus. Carino. Biondo. Occhi chiari. Magro. Jeans sdruciti alla moda. Sguardo da incantatore. Uno straniero. Quando realizzò che era uno straniero, gli altri attributi si smaterializzarono. Nicolae la stava fissando e le sorrideva.
“Ciao”, disse agitando la mano in un saluto infantile, Nicolae.
Carla sorrise ma non disse niente. Si voltò e si avviò verso la sala dove proiettavano il film. Un film con Julia Roberts e Hugh Grant. Julia Roberts, guardacaso, pensò Nicolae. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, a Carla. La seguì nella sala non ancora buia e si andò a sedere alle sue spalle. Carla si accorse della mosse e non senza qualche patema si sedette e si tolse il giubottino. Lo piegò per bene e se lo mise sulle gambe. In grembo.
Il film andava avanti lento e romantico, romantico tipo all'americana. Ma a Carla stava piacendo. Anche se non riusciva a goderselo pienamente. Si sentiva osservata. Sentiva gli occhi di Nicolae dietro di lei, sentiva che la penetravano, e la scrutavano sotto i vestiti. Ebbe un brivido. Di paura, pensò in un primo momento. Poi d'improvviso avvampò, perchè si accorse che invece quello che aveva avvertito era un brivido di piacere. Un oscuro, sottile ma incandescente desiderio sessuale. No, pensò, non è possibile. Ma se fosse un bravo ragazzo? Non ci sarebbe niente di male. Anche se è straniero. Già, straniero. I suoi l'avrebbero cacciata di casa. Suo padre, un tranviere dell'Atm alle soglie della pensione odiava gli stranieri. Ne incontrava ogni giorno, nel suo lavoro, con cui doveva litigare perchè non avevano il biglietto. Anche un mucchio di italiani non avevano il biglietto. Ma gli italiani erano italiani. A parte quelli del sud, s'intendeva. Suo padre era di Foggia. Embeh, sembrava a lei di sentirlo, sono trent'anni che vivo a Milano, me lo sono guadagnato di cacciare tutti via a calci nel culo. Un po' egoista, vero Papy? Egoista un cazzo, di questo passo comanderanno loro. E chi te l'ha detto che non staremmo meglio...persino tu, Papy, che hai obbedito per una vita a dei perfetti idioti. Zitta tu che sei una donna. Perchè hai studiato con i miei soldi ti credi in diritto di farmi la morale, quando cacherai con il tuo culo, forse. Con licenza parlando, eh , Papy. E non mi chiamare Papy, non lo sopporto, chiamami Papà o Babbo. No babbo no, meglio Papà. E sua madre, pensionata dopo una vita di lavoro in una fabbrica tessile, per carità, uno straniero? Non se ne parla neanche. Devi sposare un professionista , uno con una posizione. Ma se l'ultimo che mi avete presentato era gay...le sembrò di dire a sua madre. Gay o non gay, te lo potevi sposare e raddrizzare. I soldi aggiustano tutto. La miseria non aggiusta niente. Non si può certo dire, cara mamma, che tu abbia seguito la strada di sposare un professionista. Ma che c'entra erano altri tempi e poi tu sei più intelligente di me, tu hai studiato. Perciò devo seguire i tuoi consigli, mamma? I consigli di una che non ha studiato? Ma come ti permetti, di parlarmi così, figlia ingrata. Ma non capisci quando sono ironica? Non, non la capisco a quest'ironia , io non ho avuto tempo per l'ironia, io c'ho avuto tempo solo per lavorare e accudire a tuo padre.
Il film scorreva melenso e lento, uno stillicidio di romanticismo a gogò e Carla si stava perdendo nei meandri dei suoi pensieri. Si voltò alla sua destra , perchè aveva avvertito un movimento, al buio. Nel posto a fianco a lei si era seduto qualcuno. Quando ci fu sul maxischermo, una sequenza più luminosa, riuscì a vedere che era il ragazzo dell'autobus.
“Ciao, ti disturbo se mi siedo qui, dove ero seduto io mi sentivo solo e abbandonato”, le disse Nicolae. E Carla vide che i suoi occhi brillavano nel buio della sala. “No...non mi disturbi, tanto è libero”, accennò Carla, con una voce piuttosto tremula.
“Io sono un ragazzo semplice, come quello del film...e tu sembri un attrice”, disse Nicolae. Carla sorrise. Gli piaceva. Ammise a se stessa che gli piaceva. E giurò a se stessa che non sarebbe uscita con lui. Nei film succedono le cose che si vorrebbe che succedessero nella realtà. Ma la realtà è diversa. La realtà è fatta di vicini di casa che commentano e disapprovano, di amiche che , per invidia o altro, condannano, di genitori che soffrono ancorati ai pregiudizi della loro epoca dalla quale non sono mai usciti narcotizzati da una vita fatta di lavoro e sacrifici. No, non si può proprio. In un altra vita, in un altro paese, in un'altra epoca.
Poi silenzio. Un silenzio rotto dalle battute dei protagonisti del film. I quali si sposano. E lui è un ragazzo qualunque e lei un'attrice famosa. Ma dai, succede solo nei film, pensò Carla. Ma era bello lo stesso. Faceva stare bene, l'happy end.
Sui titoli di coda, era ancora buio e Carla si alzò e seguendo le piccole luminarie ai bordi delle scale laterali, si avviò all'uscita. Senza voltarsi. Uscì dal cinema e si avviò alla fermata dell'autobus. Doveva rientrare e andare a casa. Studiare un po', poi la tv, una cena frugale con i suoi e a nanna piuttosto presto. Niente di speciale, nella città che pensa di essere speciale, dove abitano milioni di esseri non speciali.
Una volta raggiunta la pensilina della fermata, si voltò. Nicolae non c'era. Le dispiacque, un po'. D'accordo, le dispiacque molto. Che sguardo malandrino, che aveva, il ragazzo. E che occhi penetranti. E che tratti marcati, da attore americano, un po' alla Di Caprio. Proprio come i tipi che piacciono a me, pensò Carla.
Attese per un po'. E fu tentata dal tornare indietro. Poi però desistette. Pensò che era meglio così. Gli stranieri creano solo problemi. Magari non in modo diretto. Per il fatto di esistere e basta. Ma Carla non poteva cambiare le cose. Chi era lei? Una semplice studentessa, figlia di genitori modesti. Carina, si, ma di più belle ce n'erano a iosa, in quella città. E anche di molto più spregiudicate. E quello non era il suo pane, pensò. Prese l'autobus e non ci pensò più. A metà via Giambellino, più o meno, dove c'era un cinema porno sempre aperto e pieno di vecchi e magrebini, Carla scese. Si incamminò sul marciapiede sotto lo sguardo degli avventori del cinemino a luci rosse, che fumavano una sigaretta all'aperto, durante l'intervallo. I loro occhi la scannerizzarono immaginando di fare con lei qualsiasi cosa. E lei lo sentì sulla pelle. Avvertì l'odore rancido dei loro sudori di desiderio represso , il fumo di sigarette scadenti e di denti marci e la disperazione di animali da catena, che emanava da quegli uomini di mezz'età. Ma nonostante i commenti a mezza voce, passò indenne. Si infilò nel vicolo sulla sinistra e si accinse a percorrere l'ultimo tratto per arrivare sotto il portone del suo condominio.
Era quesi arrivata sotto casa, quando dai cespugli di un parco a due passi dal suo portone di casa, vide sgusciare un ragazzo magro, il viso pallido, i jeans sdruiciti e quegli occhi inconfondibili fra milioni. Era Nicolae. Ma lei non sapeva il suo nome. “Ciao”, le disse Nicole, “come ti chiami?”, le chiese.
“Carla”, disse lei, improvvisamente spavalda e per nulla intimorita. Anzi, divertita.
“Io Nicolae. Ma chiamami Nico, odio il mio nome, mi ricorda Ceausescu”.
“Ceausescu?”, fece Carla.
“Si, era il nostro dittatore, come da voi Mussolini”.
“Ah...capito”, fece Carla restando sulle sue.
“Che ne dici di fare due chiacchiere...così, ci conosciamo uno poco fra noi”, disse Nicolae.
“Beh, stiamo parlando”.
“No, ma dicevo lì, nel parco...dove c'è panchina. Sai parlare in piedi così per strada, non è conveniente”, disse Nicolae.
“Ho voglia di fare sesso con te”, disse all'improvviso.
Carla, incredula di se stessa e di come non si lasciava impressionare, disse:”e chi ti dice che io voglia fare sesso con te?”.
“Tuoi occhi. Oggi nel cinema. Prima in autobus. E ora, qui, davanti a me”.
“Parli come quel calciatore del Milan...come si chiama? Ah si, Ibrahimovic”.
“Si, lo conosco. Lui e di vicino le mie parti. Anche se lui serbo”.
“E tu?”, fece Carla continuando a sviare il discorso, “tu di dove sei?”.
“Io sono di Romania”.
“Sento il tuo profumo, sento su pele solletico di tuoi peli, voglio spalmare come olio abbronzante il tuo sudore, voglio mangiare tue labbra, bruciare fra le tue braccia, perdere me in tuo bosco, bere tua saliva, fare paruca con tuoi capelli, sentire battere tuo cuore su mie mani...voglio...”, Nicolae si interruppe. Sul più bello, pensò Carla. Devo essere impazzita, a starmene qui, sotto casa ad ascoltare questo pazzo. Ma com'è bello. E com'è convincente. E'un demonio travestito da angelo.
“Va bene, solo per un po', devo andare a studiare...eh...solo parlare”, disse Carla. E gli sorrise.
Guardandosi intorno, s'infilarono nelle macchie del parco.


Buona giornata e buona fortuna

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