mercoledì 29 settembre 2010

Monologo




Allievi dell'Ostuni, 1982....provate a riconoscermi;-)







Memorie di un automobilista




Un giorno qualunque di una settimana d'autunno. L'autunno portava sempre tristezza. Prese la macchina e se ne andò in giro, per le strade provinciali, verso Vigevano e poi Mortara, che era un po' come andare incontro alla morte solo in un modo diverso a quello tradizionale. Verso Mortara. Ma , dì un po' , cos'è che c'è a Mortara. Niente. E a Roma cos'è che c'è. Totti e Califano. E a Milano cos'è che c'è. Niente. Milano non c'è più. Solo grattacieli e appartamenti affittati a puttane d'alto bordo per clienti d'alto bordo che si scagliano continuamente contro scrittori che sputtanano la città. Ma non ce n'era bisogno. La città era morta da almeno venticinque anni e l'unica cosa che la rendeva umana, troppo umana, era il prezzemolo piantato nelle vasche da bagno dei terroni delle prime generazioni. Tutto il resto era fiction, culattoni, aids, sarti che si facevano chiamare stilisti, modelle anoressiche, veline modello mazze di scopa, terroni che avevano dimenticato da dove venivano, studi di canale cinque e ok il prezzo è giusto. Sembrava il commento di un cliente che avesse appena chiesto ad una puttana ferma sul marciapiede quanto volesse.
Aveva una miriade di pensieri in testa. La vita era bella e la vita era brutta, buona a volte cattiva spesso. Si guardava intorno, la campagna era desolata, mentre passava con l'auto su queste strade provinciali, strette lingue d'asfalto consunto dal sole d'estate e dall'umido e dalla nebbia in inverno, qua e là terra brulla, canali irrigui e campi di granturco ormai secchi di fine stagione. Ogni tanto una puttana prendeva l'ultimo sole del pomeriggio di questo giorno d'autunno, seduta comodamente su una sdraio. C'era anche una puttana di colore che prendeva il sole. Lasciò perdere possibili battute berlusconiane. C'era giusto lui che era rimasto a farle. Lui e qualche quindicina di milioni di italiani. Cui non importava niente di niente. A parte mangiare a sbafo, fottere il prossimo e segarsi su Ibra la domenica allo stadio. Paese del primo mondo, ci facevamo chiamare. See, dopo la catastrofe nucleare, in un nuovo ipotetico inizio. Ma non si potevano trapanare i crani di quei quindici milioni e infondergli la scienza. Anche perchè c'era da aver paura , una volta traforati i crani, circa il contenuto. Ancora una puttana sul ciglio della strada. Se ne stava tranquilla, con una gamba piegata tipo un fenicottero e sullo sfondo degli aironi che le assomigliavano. Nella stessa posizione. Insieme facevano parte del paesaggio rurale. Non c'era granchè di traffico e in lontananza ogni tanto dei campanili indicavano dei centri urbani. Campanili di chiese. Forse li facevano apposta. Per indicare che li c'era un agglomerato urbano, un punto di ritrovo della civiltà umana. O forse un ritrovo di vampiri in attesa di succhiare il sangue di malcapitati passanti. Forse troppi film americani. O troppa realtà. Un centro commerciale Bennett con un parcheggio affollato, ed era un mercoledì pomeriggio. Ma cosa ci farà tanta gente di mercoledì pomeriggio al centro commerciale. Semplice. E' in fuga. Dalla moglie, dalla fidanzata, dal lavoro, dalla merda di cane da pulire, dalla responsabilità del pensare. Toh, andiamo a vedere cos'hanno inventato di nuovo , di tecnologico, se c'è qualcosa che ancora non abbiamo a casa. Case immense piene di cose inutili, case di collezionisti di suppellettili suscettibili di aggiornamenti periodici. Le case erano come computer, sugli schermi apparivano i caricamenti degli aggiornamanti. E gli schermi erano i centri commerciali.
Qualche tir ad andatura lenta e il Ticino che serpeggia fra i ponti, con i suoi arenili pieni di ciottoli bianchi come i visi dei camionisti che vedono solo lune e buio e lampeggiatori della polizia e puttane. Eppure c'è il sole. Ma non riesce a scaldare i cuori della gente. Non riesce a scaldare il mio, pensò. Mise su un cd di musica brasiliana. Bossa nova. Che musica paradisiaca. Un'iniezione di morfina. Che suono melodioso. Riuscì a vedere garotas di ipanema lungo i canali irrigui lungo le risaie. Ma erano delle puttane. La disoccupazione aumenta la prostituzione, pensò. E la prostituzione aumenta la disoccupazione, visto quanto si guadagnava. In Italia si sarebbero sempre fatti soldi a palate. Perchè il nostro è il paese del si fa ma non si dice. E per non dire devi pagare. Era proprio così.
Ma l'amore, allora, l'amore? L'amore esisteva, ma durava poco. Lo spazio intercorrente fra due mutui d'appartamento. No. Non poteva vivere così. Questo era Kafka. Questo era nichilismo. Questo era Nietzsche. Beh, gli dava l'idea che questo Nietzsche la vita se la fosse goduta. Si era persino preso la sifilide. Ma visse felice lo stesso. Pensò che la sifilide non era poi tanto male, di fronte alla prospettiva di rientrare a casa e vedersi l'Inter in Champions League. Del resto esisteva anche una sifilide dell'anima. E quella era incurabile.
Ad un tratto prese per l'autostrada. Prese un biglietto al casello ed entrò per lo spettacolo, il drive in dell'autostrada per Genova- Gravellona Toce. Ma avrebbe potuto essere Inculandia e su radio Deejay c'era qualcuno che diceva che solo chi aveva veramente sofferto era in grado di perdonare. Mio Dio, dare la filosofia in pasto ai deejay ,era come dare dell'Uranio Impoverito a Satana. L'Uranio Impoverito sarebbe morto. Anche quello arricchito, per la verità. Ma magari Satana poteva avere qualche problema con la borghesia ed era il caso di andare sul sicuro. La borghesia vince sempre, è storico. Mio Dio, non riusciva a smettere di pensare, il suo era un monologo interiore, era una riedizione delle Memorie dal sottosuolo di Dostoevskij. Lui si che se ne intendeva di dolore. Aveva stuprato una minorenne. Ed era Dostoevskij. Non sapeva se il mondo si rendeva conto della gravità della cosa. E visse col senso di colpa tutta la vita. Era come se fosse stato costretto a camminare con una palla di piombo al piede. For ever.
Prese sulla destra e uscì per Alessandria , fece un mucchio di chilometri, sull'asfalto deserto, intorno niente, sullo sfondo le alpi e il sole in faccia come una lampada della gestapo che lo interrogava. Troppo sole tutto insieme, nell'autunno grigio topo lombardopiemontese, lo stava stordendo. Cinque minuti dopo trovò un altro casello. Pagò e imboccò di nuovo l'autostrada.
Camminò per mezz'ora e beccò un altro casello. Gli sembrò quello di prima. Erano tutti uguali, i caselli, come i giapponesi all'aereoporto di Tokio. Non c'era niente da fare, il berlusconismo ce l'avevamo tutti sottopelle. Come un secondo vestito. Persino a lui, che era un democratico, gli venivano questi paragoni. Ma poi cosa significava democratico, se comandavano sempre gli stessi o i parenti di quelli che c'erano prima della democrazia? Dicevano che il comunismo era utopia e la democrazia che cosa era. Una cosa che non si era mai realizzata. Lui lo disse una volta in un assemblea al liceo. E il professore di filosofia, un comunista, lo tacciò di estremismo. In Italia bastava dire la verità, per passare per estremisti. Ma poi cos'era mai questo estremismo. Era pane al pane e vino al vino, una cosa che c'era scritta persino nella bibbia. Ma cosa c'era scritto nella bibbia lo decidevano i preti. Come quella volta che chiese al prete del catechismo dove c'era scritto nei vangeli che i culattoni erano peccatori. Tra le righe, fu la risposta. Eh, no , caromio, disse, carta canta, lo dite sempre anche voi. Solo quando c'è in ballo l'otto per mille. Fa niente. Lui credeva in Dio, in fondo, solo non aveva fede in lui. Una cosa più grave che l'ateismo. Come la faceva la sbagliava. Mancava solo che fosse gay e...ma si, in fondo avrebbe fatto carriera. Bastava non dichiararlo. Di sicuro avrebbe fatto più sesso. E non avrebbe guardato quelle puttane incontrate prima con un certo interesse tutt'altro che antropologico.
Così pensando e andando on the road si fermò ad un casello pagò e fece un'altra ora di strada. Ma dove stava andando. Non lo sapeva così almeno non poteva perdersi. Ok, questo lo disse Kerouac. Ma con tutti gli stronzi che hanno scritto tutto era già stato detto da qualcuno. Lui però era molto bravo a ribadirlo. Era come la storia, come la dittatura. Non contava se c'era già stata. Riproporla era sempre vincente. Bisognava solo essere bravi a farlo. Non era nemmeno troppo difficile. I caselli, per esempio. Se volevi andare in macchina da qualche parte, dovevi fare i conti con i caselli. Semplice e lineare. Come la 44 magnum dell'ispettore Callaghan. Giunse ad un casello. Si accorse che era lo stesso di prima e lo stava passando per la terza volta. Gli svincoli autostradali erano come la matematica. Non li capiva. Gli ingegneri che li avevano progettati meritavano la ghigliottina. Stava andando bene, se continuava a pensarla così avrebbe avuto la carriera spianata in politica. Sarebbe persino potuto diventare ministro. Poi si sarebbe sposato una velina ,avrebbe fatto un figlio, e, infine, inatteso, sarebbe venuto l'amore. L'amore veniva sempre alla fine. Sembrava la metafora dell'eiaculazione. Non c'era niente da fare. Sua madre aveva ragione. Non avrebbe mai potuto scrivere un racconto d'amore. Era più forte di lui. Come la dittature. E come i caselli. Pagò il biglietto e disse prendendo il resto: “signore, ci devono essere delle indicazioni stradali sbagliate, è la quarta volta che pago il pedaggio allo stesso casello. Fate qualcosa”. Si allontanò sgasando, mentre alle sue spalle si sentiva il clangore dei centesimi di resto che cadevano in una vaschetta metallica. Era un casello automatizzato.


Buona giornata e buona fortuna

sabato 25 settembre 2010

Racconto 2




Nicolae & Carla



Carla uscì di casa, quella giornata di settembre, un settembre piovoso in una Milano sotto il diluvio della crisi economica. Era diretta alla fermata dell'autobus, uno di quegli autobus ecologici elettrici tutti verdi di vetrometallo. Attese l'arrivo del mezzo. Pioveva e Carla aveva il suo ombrello, un ombrello che aveva preso giorni prima in metro, sotto la metro, da un ambulante abusivo cinese, che fra un lavoro e l'altro , si era messo in permesso, appena era venuto a piovere, per sfruttare l'opportunità di qualche buona vendita. E l'ombrello reggeva, nonostante i cinque euro che era costato. L'autobus, però , tardava, forse il traffico, qualche auto parcheggiata male che si doveva aspettare che rimuovessero in qualcuna di quelle strade che incrociavano via Giambellino, storica via di Milano, via di quartieri popolari, di duri di un tempo, oggi quartiere multietnico su base magrebina ed est europa. Poi l'autobus arrivò e il conducente ebbe l'accortezza di non schizzarle addosso l'acqua di una pozzanghera che era lì nei pressi del marciapiede. Le porte al centro del mezzo si aprirono nel fragore del traffico del pomeriggio inoltrato e Carla salì a bordo . Il cielo era grigio, come il mantello di un ratto immenso e immoto addormentato con la schiena che dava sul pianeta terra che ronfava della grossa grossi tuoni e , di quando in quando, si svegliava lanciando sguardi in tralice come lampi verso possibili deità gattiche. Carla si sedette ad un sedile vuoto, vicino ad un ragazzo. Carla era bella, un tipo di bellezza classica , ma , al tempo stesso, semplice, con la sua minigonna, nonostante tutto, piuttosto castigata, non aderente modello guanti da chirurgo plastico quali si era soliti vedere in giro per Milano, nelle brevi estati torride e umide. I capelli castani a caschetto, gli occhi verdi da ragazza di facebook, il giubottino di jeans, sopra ad una camicetta semplice e attillata , cui gli ultimi due bottoni privi del controllo della asole, conferivano un atmosfera sexy, nonostante i suoi seni mignon, facevano di lei un “bel fighino”, come dicevano a Milano. Al suo fianco c'era un ragazzo, un biondino smilzo, sui trenta, più grande di lei, quindi, che non arrivava a venticinque, coi jeans sdruciti alla moda , una t-shirt logora ma pulita, due occhi chiari modello siberian husky. Si chiamava Nicolae, era rumeno e odiava quel nome. Gliel'avevano dato i suoi che erano degli ex privilegiati dei tempi di Ceausescu, quando se chiamavi un figlio con quel nome ti davano dei soldi ed era considerato segno di prosperità, in un paese dove il dittatore aveva varato una tabella sul consumo mensile degli alimenti, pensa un po', pensava Nicolae. E poi in che consisteva il privilegio dei suoi? Nell'essere minatori e guadagnare di più del loro ingegnere. Tutto qui. Ora erano in miseria e Nicolae era dovuto venire in Italia a vedere se riusciva a far restare a galla la barca della famiglia. E lui odiava Ceausescu e odiava chi gli era succeduto e odiava l'Italia, un paese che passava il tempo ad additare gli stranieri come unici responsabili della decadenza di una nazione. Non capiscono, hanno bisogno di nuova linfa, di forze nuove , di energie giovani e intraprendenti, di una trasfusione di spregiudicatezza. Pensava troppo Nicolae ed erano mesi che non toccava una donna . E ora c'era Carla lì, seduta, vicino a lui, con quel vago odore acre alla Julia Roberts descritta in quel libro di Rupert Everett letto di sfuggita in una libreria in centro. La osservava, senza tuttavia fissarla. Carla sembrava persa nei suoi pensieri, guardava fuori dal finestrino, lì a destra, dove c'erano delle cancellate arrugginite cui qualcuno aveva affisso delle bandiere di sindacati e un cartello con la scritta ”ridateci il nostro lavoro”.
Verso piazza Napoli Carla si alzò , lentamente, e schiacciò il pulsante di avviso acustico. Una luce rossa lampeggiò e il conducente del mezzo, dette un'occhiata tramite specchietto laterale e quella gradevole figura umana femminile che si accingeva a scendere. Nicolae guardò Carla intensamente. Ne avvertì l'odore forte nelle narici ed ebbe quasi un mancamento o un piacere lieve e breve, antipasto di quello che sarebbe potuto essere un piacere più lungo e intenso. Carla, quasi avvertendo quell'energia che proveniva alle sue spalle, istintivamente si voltò. Gli sguardi dei due ragazzi, per un momento, si incontrarono all'infinito. Un momento zen. Un'improvvisa, breve , ma intensa, illuminazione. Durò qualche secondo, poi Carla si voltò e scese. Le porte dell'autobus erano aperte. Subito dietro di lei, scese Nicolae. Carla non badò a lui e , con l'ombrellino aperto , si incamminò verso un piccolo parco che era nei pressi. C'era il cinema , lì di fronte ed era un mercoledì e c'era un mucchio di gente che approfittava dello sconto infrasettimanale per andare a vedersi qualche film. Non importava quale, importava l'idea di poterci andare quando costava meno. Un pubblico di intellettuali e studenti. Le masse ci andavano di sabato e domenica. Carla si infilò nel cinema dietro una piccola fila che faceva il biglietto per lo spettacolo di metà pomeriggio. Nicolae era dietro di lei. La guardava intensamente da dietro, i suoi capelli castani e umidicci emanavano un odore intenso di donna farfalla che sta abbandonando il bruco adolescente, un odore da donna, fortunatamente non ancora rancido di mezz'età. L'odore perfetto , pensò per un momento Nicolae, ma perchè nessuno pensa di imprigionare certi profumi per commercializzarli? Prestò attenzione a ciò che faceva Carla.
“Un biglietto per -Notthing Hill-”, chiese al bigliettaio. E la sua voce suonò come un flauto dolce.
“Lo stesso”, disse Nicolae. Carla si voltò e vide Nicolae. Il ragazzo dell'autobus. Carino. Biondo. Occhi chiari. Magro. Jeans sdruciti alla moda. Sguardo da incantatore. Uno straniero. Quando realizzò che era uno straniero, gli altri attributi si smaterializzarono. Nicolae la stava fissando e le sorrideva.
“Ciao”, disse agitando la mano in un saluto infantile, Nicolae.
Carla sorrise ma non disse niente. Si voltò e si avviò verso la sala dove proiettavano il film. Un film con Julia Roberts e Hugh Grant. Julia Roberts, guardacaso, pensò Nicolae. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, a Carla. La seguì nella sala non ancora buia e si andò a sedere alle sue spalle. Carla si accorse della mosse e non senza qualche patema si sedette e si tolse il giubottino. Lo piegò per bene e se lo mise sulle gambe. In grembo.
Il film andava avanti lento e romantico, romantico tipo all'americana. Ma a Carla stava piacendo. Anche se non riusciva a goderselo pienamente. Si sentiva osservata. Sentiva gli occhi di Nicolae dietro di lei, sentiva che la penetravano, e la scrutavano sotto i vestiti. Ebbe un brivido. Di paura, pensò in un primo momento. Poi d'improvviso avvampò, perchè si accorse che invece quello che aveva avvertito era un brivido di piacere. Un oscuro, sottile ma incandescente desiderio sessuale. No, pensò, non è possibile. Ma se fosse un bravo ragazzo? Non ci sarebbe niente di male. Anche se è straniero. Già, straniero. I suoi l'avrebbero cacciata di casa. Suo padre, un tranviere dell'Atm alle soglie della pensione odiava gli stranieri. Ne incontrava ogni giorno, nel suo lavoro, con cui doveva litigare perchè non avevano il biglietto. Anche un mucchio di italiani non avevano il biglietto. Ma gli italiani erano italiani. A parte quelli del sud, s'intendeva. Suo padre era di Foggia. Embeh, sembrava a lei di sentirlo, sono trent'anni che vivo a Milano, me lo sono guadagnato di cacciare tutti via a calci nel culo. Un po' egoista, vero Papy? Egoista un cazzo, di questo passo comanderanno loro. E chi te l'ha detto che non staremmo meglio...persino tu, Papy, che hai obbedito per una vita a dei perfetti idioti. Zitta tu che sei una donna. Perchè hai studiato con i miei soldi ti credi in diritto di farmi la morale, quando cacherai con il tuo culo, forse. Con licenza parlando, eh , Papy. E non mi chiamare Papy, non lo sopporto, chiamami Papà o Babbo. No babbo no, meglio Papà. E sua madre, pensionata dopo una vita di lavoro in una fabbrica tessile, per carità, uno straniero? Non se ne parla neanche. Devi sposare un professionista , uno con una posizione. Ma se l'ultimo che mi avete presentato era gay...le sembrò di dire a sua madre. Gay o non gay, te lo potevi sposare e raddrizzare. I soldi aggiustano tutto. La miseria non aggiusta niente. Non si può certo dire, cara mamma, che tu abbia seguito la strada di sposare un professionista. Ma che c'entra erano altri tempi e poi tu sei più intelligente di me, tu hai studiato. Perciò devo seguire i tuoi consigli, mamma? I consigli di una che non ha studiato? Ma come ti permetti, di parlarmi così, figlia ingrata. Ma non capisci quando sono ironica? Non, non la capisco a quest'ironia , io non ho avuto tempo per l'ironia, io c'ho avuto tempo solo per lavorare e accudire a tuo padre.
Il film scorreva melenso e lento, uno stillicidio di romanticismo a gogò e Carla si stava perdendo nei meandri dei suoi pensieri. Si voltò alla sua destra , perchè aveva avvertito un movimento, al buio. Nel posto a fianco a lei si era seduto qualcuno. Quando ci fu sul maxischermo, una sequenza più luminosa, riuscì a vedere che era il ragazzo dell'autobus.
“Ciao, ti disturbo se mi siedo qui, dove ero seduto io mi sentivo solo e abbandonato”, le disse Nicolae. E Carla vide che i suoi occhi brillavano nel buio della sala. “No...non mi disturbi, tanto è libero”, accennò Carla, con una voce piuttosto tremula.
“Io sono un ragazzo semplice, come quello del film...e tu sembri un attrice”, disse Nicolae. Carla sorrise. Gli piaceva. Ammise a se stessa che gli piaceva. E giurò a se stessa che non sarebbe uscita con lui. Nei film succedono le cose che si vorrebbe che succedessero nella realtà. Ma la realtà è diversa. La realtà è fatta di vicini di casa che commentano e disapprovano, di amiche che , per invidia o altro, condannano, di genitori che soffrono ancorati ai pregiudizi della loro epoca dalla quale non sono mai usciti narcotizzati da una vita fatta di lavoro e sacrifici. No, non si può proprio. In un altra vita, in un altro paese, in un'altra epoca.
Poi silenzio. Un silenzio rotto dalle battute dei protagonisti del film. I quali si sposano. E lui è un ragazzo qualunque e lei un'attrice famosa. Ma dai, succede solo nei film, pensò Carla. Ma era bello lo stesso. Faceva stare bene, l'happy end.
Sui titoli di coda, era ancora buio e Carla si alzò e seguendo le piccole luminarie ai bordi delle scale laterali, si avviò all'uscita. Senza voltarsi. Uscì dal cinema e si avviò alla fermata dell'autobus. Doveva rientrare e andare a casa. Studiare un po', poi la tv, una cena frugale con i suoi e a nanna piuttosto presto. Niente di speciale, nella città che pensa di essere speciale, dove abitano milioni di esseri non speciali.
Una volta raggiunta la pensilina della fermata, si voltò. Nicolae non c'era. Le dispiacque, un po'. D'accordo, le dispiacque molto. Che sguardo malandrino, che aveva, il ragazzo. E che occhi penetranti. E che tratti marcati, da attore americano, un po' alla Di Caprio. Proprio come i tipi che piacciono a me, pensò Carla.
Attese per un po'. E fu tentata dal tornare indietro. Poi però desistette. Pensò che era meglio così. Gli stranieri creano solo problemi. Magari non in modo diretto. Per il fatto di esistere e basta. Ma Carla non poteva cambiare le cose. Chi era lei? Una semplice studentessa, figlia di genitori modesti. Carina, si, ma di più belle ce n'erano a iosa, in quella città. E anche di molto più spregiudicate. E quello non era il suo pane, pensò. Prese l'autobus e non ci pensò più. A metà via Giambellino, più o meno, dove c'era un cinema porno sempre aperto e pieno di vecchi e magrebini, Carla scese. Si incamminò sul marciapiede sotto lo sguardo degli avventori del cinemino a luci rosse, che fumavano una sigaretta all'aperto, durante l'intervallo. I loro occhi la scannerizzarono immaginando di fare con lei qualsiasi cosa. E lei lo sentì sulla pelle. Avvertì l'odore rancido dei loro sudori di desiderio represso , il fumo di sigarette scadenti e di denti marci e la disperazione di animali da catena, che emanava da quegli uomini di mezz'età. Ma nonostante i commenti a mezza voce, passò indenne. Si infilò nel vicolo sulla sinistra e si accinse a percorrere l'ultimo tratto per arrivare sotto il portone del suo condominio.
Era quesi arrivata sotto casa, quando dai cespugli di un parco a due passi dal suo portone di casa, vide sgusciare un ragazzo magro, il viso pallido, i jeans sdruiciti e quegli occhi inconfondibili fra milioni. Era Nicolae. Ma lei non sapeva il suo nome. “Ciao”, le disse Nicole, “come ti chiami?”, le chiese.
“Carla”, disse lei, improvvisamente spavalda e per nulla intimorita. Anzi, divertita.
“Io Nicolae. Ma chiamami Nico, odio il mio nome, mi ricorda Ceausescu”.
“Ceausescu?”, fece Carla.
“Si, era il nostro dittatore, come da voi Mussolini”.
“Ah...capito”, fece Carla restando sulle sue.
“Che ne dici di fare due chiacchiere...così, ci conosciamo uno poco fra noi”, disse Nicolae.
“Beh, stiamo parlando”.
“No, ma dicevo lì, nel parco...dove c'è panchina. Sai parlare in piedi così per strada, non è conveniente”, disse Nicolae.
“Ho voglia di fare sesso con te”, disse all'improvviso.
Carla, incredula di se stessa e di come non si lasciava impressionare, disse:”e chi ti dice che io voglia fare sesso con te?”.
“Tuoi occhi. Oggi nel cinema. Prima in autobus. E ora, qui, davanti a me”.
“Parli come quel calciatore del Milan...come si chiama? Ah si, Ibrahimovic”.
“Si, lo conosco. Lui e di vicino le mie parti. Anche se lui serbo”.
“E tu?”, fece Carla continuando a sviare il discorso, “tu di dove sei?”.
“Io sono di Romania”.
“Sento il tuo profumo, sento su pele solletico di tuoi peli, voglio spalmare come olio abbronzante il tuo sudore, voglio mangiare tue labbra, bruciare fra le tue braccia, perdere me in tuo bosco, bere tua saliva, fare paruca con tuoi capelli, sentire battere tuo cuore su mie mani...voglio...”, Nicolae si interruppe. Sul più bello, pensò Carla. Devo essere impazzita, a starmene qui, sotto casa ad ascoltare questo pazzo. Ma com'è bello. E com'è convincente. E'un demonio travestito da angelo.
“Va bene, solo per un po', devo andare a studiare...eh...solo parlare”, disse Carla. E gli sorrise.
Guardandosi intorno, s'infilarono nelle macchie del parco.


Buona giornata e buona fortuna

martedì 21 settembre 2010

Racconto


Mohamed


Mohamed se ne stava sempre seduto su qualche scalino d’ingresso delle abitazioni a fianco alla Coop con una lattina di birra di marca infima o un litrozzo di vino rosso in tetrapak di quelli a buon mercato, sorseggiati lentamente come bevendo da un alambicco. Aveva un viso scuro reso ancora più tetro dalla barba alquanto incolta tipo un campo di grano gestito in modo dopolavoristico. D’inverno indossava sempre dei pantaloni verde militare lunghi e un maglioncino mimetico e d’estate un paio di bermuda dal colore verde terraceo stile talebano acquattato fra le rocce aguzze di un deserto afgano…a volte a torso nudo, più spesso con t-shirt maleodoranti che sagomavano impietosamente la sua pancia prominente di forte bevitore. Ogni tanto scambiava qualche parola con Afaf, una puttana marocchina il cui nome, ironia della sorte, in arabo significava “castità”. Lei era bella,formosa, pelle olivastra e capelli ossigenati da attrice di Hollywood, e si spacciava per turca, come se questa cosa potesse attribuirgli una maggior credibilità professionale. Parlavano fra loro in quella lingua così ostica e così affascinante, che a noi occidentali dà l’impressione sia tale e quale alla salmodiante dettatura di codici fiscali fatta da impiegati del catasto. Ogni volta l’argomento era sempre lo stesso. E cioè che Mohamed non aveva di che pagarla e che lei con i barboni non ci usciva. Metafora più metafora meno. Così Mohamed finiva per riattaccarsi alla lattina o al tetrapak e lasciava perdere. E Afaf entrava dal cinese e ordinava del riso con i gamberoni. Diceva che poi sarebbe passato suo marito a saldare. Suo marito era un marocchino vestito sempre elegante che se ne andava in giro con un Kawasaki 500 che faceva impennare ogni volta che ripartiva di slancio. Dopo aver saldato i conti. Con i soldi di sua moglie. E mi ricordo di quella volta che Mohamed se ne stava seduto a sorseggiare la sua birra, come un saggio beve il tè nel deserto. Voglio dire con quella stessa solennità, dettata dal rispetto che si nutre per la cose donate o ricevute senza aver sudato il sudore della propria fronte. Era a pochi passi dall’ingresso della Coop, dove di solito staziona un nutrito gruppo di ambulanti senegalesi che vendono cd taroccati,scarpe nike di fattura napoletana e qualche strana sostanza mischiata alla resina che serviva da base a delle pessime canne. I senegalesi erano vestiti eleganti, come rappresentanti di commercio, a momenti giacca e cravatta, con scarpe lussuosissime che indossavano anche d’estate, e portavano bracciali e anelli d’oro. Camminavano sempre molleggiando, quasi a rimarcare la loro assoluta rilassatezza dei movimenti e il fatto che il proprio corpo degnasse appena d’importanza l’importuna incombenza del camminare. Ad un certo punto uno di loro, una sorta di centometrista olimpionico, coi pantaloni ben stirati, la cintura di coccodrillo e vari bracciali tintinnanti al polso, la camicia aperta e il pettorale ben scolpito, avrà avuto una trentina d’anni, sbotta nei confronti di Mohamed dicendogli di spostarsi. Che alla gente faceva schifo avvicinarsi lì e che stava rovinando i loro affari. Mohamed continuò a sorseggiare la sua birra. Lo guardò e gli sorrise con gli occhi. Gli sorrise con la bocca, ma data la totale mancanza di denti, fatta eccezione per un molare sopravvissuto all’assenza di adeguate cure dei servizi nazionali sanitari di una mezza dozzina di paesi europei, il “Senegal” lo capì dagli occhi che stava sorridendo.
“Barbone sciroccato, bevi in continuazione contro tutte le leggi del corano, non ho mai visto un mussulmano così poco osservante”, gli urlò il senegalese in un italiano potentemente venato di francese. Mohamed lo guardò, ma ancora non diceva niente. Solo sembrava ridere e il molare gli sporgeva dalla bocca come un antico rudere di qualche civiltà mesopotamica scomparsa. O perlomeno con la stessa alterigia con cui un rudere millenario può guardare il più imponente grattacielo di cristallo circondato di ascensori spaziali.
Senegal insisteva ancora con questa storia del mussulmano e dopo un po’ , dopo l’ennesimo sorso , Mohamed si decise a dire qualcosa.
“Sono arabo, non mussulmano. A-ra-bo.Capito! Esistono mussulmani arabi, italiani, americani e cinesi. Ci sono anche mussulmani cinesi, se non lo sai , Senegal. E io voglio stare qui a bere la mia birra. Pensi di essere più pulito di me, tu che vendi droga? Non mettere la religione in mezzo, è sempre la scusa migliore per prepararsi ad uccidere”.
Aveva parlato diretto, in un italiano con forte accento arabo e il senegalese era rimasto per alcuni minuti che dovevano essere sembrati un’eternità, a lui e ai suoi amici, senza parole. Non si aspettava che l’arabo parlasse. Non si aspettava che reagisse. Non si aspettava che lo svergognasse così. La voce del barbone lo lasciò senza parole. I suoi amici si aspettavano che reagisse . Ma lui non fece niente. Mohamed sorseggiava la sua birra e rideva con gli occhi. Afaf uscì proprio in quell’istante dal cinese e passò davanti ai sei o sette Senegal boys. Sorrise loro lasciva e gli ricordò che il suo numero era sempre a disposizione alla cassa del cinese. Bastava chiedere alla cassiera,”Cuore di Giada”. La chiamò proprio così, in italiano, e doveva essere la traduzione del suo nome cinese. Mohamed la guardò con una certa ironia. E proseguì a sorseggiare.

A volte corro nelle campagne dietro casa. In tutte le stagioni. In estate c’è sempre il granturco che cresce da un giorno all’altro, a vista d’occhio, nutrito da un concime fecale suino. E come non ci prendiamo l’influenza suina dai pop corn qualcuno me lo dovrebbe spiegare. In inverno, la strada sterrata si dipana in mezzo a canali irrigui e campi deserti, con stoppie stalattitizzate dal gelo polare. E io corro sul ghiaietto a passo lento, scrivendomi in testa un mucchio di cose che non riesco mai a trasferire su carta. Sono il più grande romanziere dei romanzi scritti col pensiero durante lo jogging. Non ci sono prove per smentirmi. E a volte durante le mie sortite tapascionesche, incontro Mohamed. Abita in una cascina abbandonata , senza elettricità e senz’acqua. Si fa il bagno nei canali irrigui insieme alle nutrie che lo salutano festose come un amico. A volte lo incontro a piedi , lento e stanco, col capo in basso riflessivo. A volte con un vecchio motorino “Ciao”rosso stinto e arrugginito che penso funzioni con i gas residui della marmitta. Uno di quei motorini moribondi che hanno visto l’ultimo pieno quando i Righerira cantavano “Vamos a la playa”. Con a fianco il suo cane fedele: un grosso pittbull da competizione che gli obbedisce come una marionetta paffuta e gigantesca. Cui impartisce ordini secchi e precisi. Quando passo lo saluto con la mano, caracollante e sudato. E lui ricambia riverendomi e facendo accucciare il cane al suo fianco. Mentre gli spiega che sono un amico. Sono un amico. Non l’ho mai invitato a casa, non gli ho mai offerto una birra, l’ho solo salutato e , a volte , sorriso. E lui mi ritiene un amico. Deve essere qualcosa come fra animali. Un istinto.
E mi ricordo bene di quella volta che mi incontrò mentre ero di ritorno dal lavoro con la bicicletta e mi fermò tutto eccitato, con due angurie in mano. Per dirmi col suo italiano schietto e rudimentale che le angurie gliele aveva portate suo fratello che lavorava in nero a 5 euro all’ora come manovale a scaricare meloni. Per un pugliese. Me ne offrì una e io rifiutai l’offerta, perché non sapevo dove metterla e avevo il frigo pieno. Lui mi ringraziò lo stesso… Di avergli rivolto la parola. E mi salutò e mi riverì come uno sceicco. O perlomeno così parve a me che ero nato in un paese di gente che si credeva superiore perché c’aveva qualche soldo per pagarsi le puttane.


Ora è un po’ di tempo che non lo vedo, Mohamed. Spero che sia sopravvissuto all’inverno polare e che d’estate ce l’abbia fatta a dormire sotto l’aria condizionata dei pioppi , ben cosparso, di guano di canali antizanzare. Un po’ come si pensa di gatti o cani abbandonati in campagna, di cui ti ricordi quella volta che hai mangiato pesce e hai un po’ di spine avanzate da offrire.




Buona giornata e buona fortuna

sabato 11 settembre 2010

Settembrina



Era un bel pò che non attualizzavo il blog. Sto rivedendo il nuovo libro e...sapete una cosa, ho paura di aver scritto un buon libro, ho paura di stare incominciando a scrivere come voglio io. Una paura fottuta. Sto anche scrivendo altre cose, ho in mente dei racconti estemporanei da mandare in giro per concorsi. Stasera sono invitato dal comune di Pieve Emanuele per una festa a beneficio di un concorso letterario cui ho partecipato col mio ultimo lavoro.

Al lavoro si avverte l'effetto Pomigliano, tutti cercano di vivere come tartarughe rinchiusi nel proprio guscio sperando di essere dimenticati, ignorati, non toccati. Si illudono. Tutte le aziende multinazionali cercano di cacciare via un quarantenne garantito a beneficio di un ventenne ricattabile ad libitum.

L'estate sta finendo e io sono rientrato al lavoro. Oggi sono andato a correre in montagnetta a Milano, una bella giornata di sole e pieno di froci guardoni e belle figliole di mezz'età da farmi strabuzzare gli occhi. C'era anche una gara di mountain bike e io ho fatto i miei giri Cova, il percorso a otto ideato dal mitico mezzofondista italiano (che si allenava anche lui in montagnetta) interesecandomi col percorso di una gara di mountain bike della durata, negli intenti degli organizzatori, di ventiquattr'ore. Non lo so, ma non credo che qualcuno riuscirà a completarla, dopo mezz'ora c'era gente che arrancava le salitelle a piedi.

Quest'estate mi sono sparato un bel pò di mare ad Ostuni, mia madrepatria pugliese e ho fatto un pò di escursioni qua e là nel territorio salentino, fra cui una puntata a Soleto, uno dei tredici comuni della Grecìa salentina dove si parla ancora il griko, antico dialetto di derivazione greca, a mangiare "li pezzetti", carne di cavallo al sugo, da "Lu Zonzi". Da provare, ve lo consiglio. Tra l'altro ho assaggiato un bel pò di crocchette di patate lunghe sottili con dentro foglie di menta- ma come faranno a farle restare così lunghe senza che si spezzino, ci mettono il viagra?- assolutamente deliziose. Il tutto corroborato da un ottimo primitivo rosato.

Sulle ultime vicende politiche dirò poche cose: chi si illude che la fine di Berlusconi sia vicina si sbaglia di grosso. Gli italiani sono fascisti nell'anima, della destra liberale di cui ciancia Fini, non gliene frega una ceppa di minchia, loro vogliono un padrone, uno che gli dica cosa devono fare. Sono contenti così.

Qualcosa si muove, nel paese, ma non è Bersani, non vi preoccupate. E chi lo smuove , quello, se gli scoppiasse intorno la rivoluzione penserebbe che sono gli ultras della Reggiana di ritorno da una trasferta e direbbe;"so ragassi!". Invece ci sono un pò di italiani che sembrano, dico, sembrano ormai essersi frantumati gli zebedei della banda di malfattori da cui siamo governati e li contestano apertamente in tutti i luoghi e in tutti i laghi. Naturalemente i vari Dell'Utri, Schifani, Fassino e Bonanni, hanno i loro bravi corifei difensori d'ufficio, fior di intellettuali che sprecano preziose pagine di giornale e alberi amazzonici per denunciare i turpi estremisti dei centri sociali che fanno guadagnare consensi alle destra. A me francamente, caro Michele Serra, non mi sembra che ce ne sia bisogno, di far guadagnare consensi alla destra. Abbiamo visto la destra cosa se ne fa delle tue critiche patinate ed eleganti. Le cosparge di zucchero filato incensandoti e poi le butta in un formicaio.Con eleganza. Contento tu. A me che questa gente che ha tutte le platee massmediali del mondo per dire quanto sono bravi e belli e come sanno fare gli interessi dei lavoratori venga zittita e smerdata e apostrofata per strada mi ricorda le monetine lanciate a Craxi. Prima di dire che le argomentazioni si smontano con le idee, bisogna avere la possibilità di esprimerle, certe idee, possibilmente non sotto le minacce di un servizio d'ordine di leccaculi pagati dai contribuenti. Ci siamo capiti, caro Michelino. Se mi lanci una sedia addosso, come ha documentato il tg di Mentana, beh, io non ti lancio delle idee. Non c'è proporzione. La verità è che non sanno perdere, hanno la faccia di tolla,Cisl e Uil stanno facendo gli interessi di aziende che mandano migliaia di lavoratori a casa e che vogliono togliere il diritto di sciopero e la malattia pagata e vanno in giro a dire che non ci sono alternative e che stanno facendo tutto il possibile per arginare la situazione. See, infatti, il Po straripa e loro a bordo di uno yacht stanno gridando a quelli nelle cascine, mettetevi in salvo!

Ps: Letta dice che è meglio andare con l'Udc anzicchè con Di Pietro? Vai pure, nessuno ti trattiene.
RiPs: quest'estate ho letto "La sottile linea scura" di Landsdale, indiscutibilmente il mio scrittore preferito e "Assassinio al Comitato Centrale" e "Uccelli di Bangkok" di Vasquez Montalban. E vi assicuro che stare lontano dal frigo dopo le ultime due letture è stata dura.
Un ultima cosa: leggere è bello...Fatelo, vi renderà felici! E forse un pò meno stronzi...

Buona giornata e buona fortuna