domenica 9 dicembre 2018

Bansky, echi di una mostra, Mudec Milano 09/12/2018

Una bella giornata di sole, Milano, una domenica fredda ma tersa, priva di foschia. Decido di andare al Mudec, Museo delle Culture, dove danno una mostra su Bansky. La fila dura una mezz'oretta , al contrario della mostra su Friha Kahlo, dove ho dovuto attendere circa 3 ore. E questo è il primo dato che mi sembra interessante. Frida Kahlo non fa più paura, la sua arte i suoi scritti, sono stati inglobati e digeriti nel tritacarne del sistema di potere. E' diventata potere, funzionale icona di un opposizione sistemica che serve solo a poter dire che il capitalismo permette le critiche: in materia di femminismo, per esempio. Anche il femminismo è stato digerito: le donne hanno posti di potere ma si comportano con gli stessi criteri degli uomini, dei maschi. La facciata è salva, però. Bansky ,evidentemente, per i suoi messaggi antipotere fa ancora paura. Non più di tanto, comunque, come diremo. In fila c'è un mucchio di gente e resto in ascolto. Disdicono prenotazioni al ristorante, scrivono su Facebook che sono alla mostra su Bansky. Così, come qualcuno che voglia vantarsi che ha qualcosa di importante da fare. Di CULTURALE!. Una volta entrato registro nella mente alcuni pensieri aforismatici: 1) la gente riconosce la cultura quando deve pagare per vederla 2) ora capisco il vero senso del benessere della pratica del qi gong per un occidentale :resistere alle code e trasformarle in meditazione...sempre che si riesca a estraniarsi dal chiacchiericcio molesto...e senza distintivo. All'ingresso della mostra alcuni pannelli riassumono per iscritto il personaggio: un artista inglese di cui non si conosce l'identità ( le sue opere sono realizzate in contesti urbani di nascosto dalle polizie di mezzo mondo) che pesca le scaturigini del suo lavoro nelle avanguardie artistiche e culturali anarchiche che risalgono agli anni '50 e '60 nel mondo anglosassone. Stati Uniti in cima. Sostanzialmente Bansky è definito un graffitaro, perché all'origine pare che fosse questa la sua attività artistica prevalente. Ma in realtà è un artista visuale, ingiustamente paragonato a Andy Warhol. Una delle sue idee guida consiste nel saccheggiare opere già note intervenendoci su con modifiche che rendano quella stessa opera un'altra opera, un opera a se stante. Le tematiche trattate sono decisamente anarchiche, antibelliche, anticonsumistiche e in difesa dei migranti. Una delle figure da lui maggiormente ritratte è quella del ratto. I ratti rappresentano i reietti della società, gli ultimi, quelli che abitando le fogne sono il gradino più basso della scala sociale. Sulle pareti delle sale sono affisse incorniciate alcune delle sue opere più famose: dalla ciambella gigante trasportata su un blindato scortato da agenti di polizia, all'immagine di due selvaggi armati di lancia che individuano in due carrelli del supermercato degli strani mostruosi animali da abbattere, alla bambina povera tenuta per mano da due Mickey Mouse della Mac Donald, per non parlare dei due duri di Pulp Fiction con in mano due banane al posto delle pistole. Opere in parte disegnate, in parte nate da foto modificate, in parte ancora costituite da stencil stesi su pareti di numerose città del mondo, comprese alcune aree del conflitto arabo-isrlaeliano. La caratteristica del personaggio è la sua invisibilità. Realizza opere dal forte impatto visivo, in luoghi precisi delle grandi aree urbanizzate. Opere che durano pochi minuti, perché subito cancellate dalle cosiddette AUTORITA' COSTITUITE. In un documentario proiettato in una sala al termine del percorso si vede Tony Blair che cancella un graffito raffigurante due poliziotti inglesi maschi che si baciano in bocca. Opera dalla provocatorietà devastante. Famosissimo un graffito realizzato nei pressi dell'ambasciata francese a Londra, che raffigura Cosette, personaggio principale de "I miserabili" del romanziere Victor Hugo, sullo sfondo della bandiera francese, con in basso disegnato il candelotto di un lacrimogeno. E a destra un QR code connettendosi sul quale, con un normale smartphone si poteva accedere alla visione di un video, postato su internet, che mostrava gli scontri della polizia francese con i migranti di Calais, nel 2016. Un opera geniale, a mio modo di vedere. Geniale perché sfrutta a pieno ogni tipo di forma espressiva, dallo stencil per l'immagine di Cosette, al graffito per il lacrimogeno, al QR per l'interattività con internet. Ora io non ho idea se i curatori della mostra (prezzo 14 euro, ma li vale) versino dei contributi all'autore -che sospetto essere, più che una persona singola, un consorzio di persone ben organizzate (non si capisce altrimenti come possa un uomo da solo aggirare le telecamere di sorveglianza di un'ambasciata o entrare in un museo a Bristol , disseminandolo di opere complesse e ingombranti ,geniali gli hotdogs semoventi nei panini)-, ma il fatto stesso che questo fantasma dell'arte diventi oggetto di culto ed entri nella stessa catena consumistica che si picca di criticare aspramente con le sue opere, rischia di porlo al servizio del sistema stesso che combatte. Sotto questo profilo Vysockij, il cantautore-poeta ribelle , morto nel 1980, che sposò l'attrice francese Marina Vlady, boicottato nella grigia e liberticida Unione Sovietica, le cui canzoni registrate clandestinamente su mangianastri di fortuna circolavano a milioni nelle case sovietiche, rischia di apparire addirittura più eversivo e dirompente. Ma non voglio fare i conti in tasca a nessuno. La mostra vale la pena di essere vista. E le immagini delle opere di Bansky hanno un impatto sulla mente degli spettatori deflagrante. Costringono a riflettere. Sono un pugno in faccia in una giornata di tramontana. O la risata roca di un cantante giamaicano alla venticinquesima canna. E sicuramente mi confermano che nei tempi contemporanei in cui l'immagine è più fruita della parola scritta, la sua forma d'arte è destinata a lasciare un segno.

domenica 20 agosto 2017

Personaggi e artisti: Anna Tasselli

Anna Tasselli è una mia amica di Ostuni. Ci conosciamo per via della sorella , una splendida ragazza mediterranea sorridente, solare, battuta pronta, purtroppo scomparsa da tempo . Non ci eravamo mai frequentati in passato e avevo conosciuto anche sua cugina che in seguito si trasferirà a Milano. Insomma a momenti conoscevo tutta la famiglia tranne lei. Ma quest'estate , dopo qualche scambio di battute su Facebook è partito un invito a pranzo. Subito raccolto da me con piacere e curiosità. E si, perché Anna Tasselli oltre ad essere un'amica è anche un artista del fornello. Ero curioso di vedere cosa mi avrebbe preparato e di ascoltare la sua storia, i suoi trascorsi. Avevo lo smartphone fuori uso ed ero riuscito a mala pena a farmi comunicare via whatsapp l'indirizzo della sua dimora(ma non il numero). Mi aveva chiesto di prendere un vino, per accompagnare un pranzo che mi aveva anticipato sarebbe stato a base di pesce, la sua specialità. Compro un rosato "Le Rotaie I pastini" , un vino dei vitigni Sussumaniello della Valle d'Itria. Ne era rimasta una sola bottiglia. Mi stava aspettando. A piedi a 42 gradi all'ombra, attraverso una Ostuni infuocata, grondando di sudore. Lo smartphone non ne voleva sapere di funzionare. Attraverso viale Pola e mi dirigo verso via Fogazzaro, verso le 13. In giro poche stanche macchine e nessun passante, solo un pazzo viandante affamato e assetato. Io. Giunto nei pressi di una traversa di via Fogazzaro, una delle avenidas principali della parte nuova di Ostuni, strada di negozi, banche e qualche bar, comincio a guardare i citofoni vicino ai portoni delle abitazioni...e, fortunatamente, forse il fiuto del recente giallista, leggo in cima ad uno dei citofoni "Tasselli". Suono e mi risponde subito Anna con la sua voce lievemente irrochita, un po' alla Claudia Cardinale première manière. Mi invita a salire al terzo piano. Una bella palazzina. Prendo l'ascensore più che altro per non arrivare in cima alla rampa di scale completamente liquefatto . Uscendo dall'ascensore a destra si apre una porta. E subito Anna mi si fa incontro con quel sorriso monello e sbarazzino della donna matura senza tempo. Mi parla alternando dialetto ostunese a italiano e il mèlange linguistico che viene fuori da quella sua silhouette snella, i capelli corti e i movimenti felini, la fanno apparire come appena uscita dalle pagine di un romanzo a fumetti di Corto Maltese. Si scusa per il fatto che la cucina è piccola e si sente frustrata per questo perché non può esprimere tutte le sue potenzialità creative. L'appartamento è arredato in stile etnico , a destra c'è la saletta da pranzo con il tavolo già preparato, di fronte alla finestra , con la persiana semiabbassata da cui proviene una brezza rinfrescante. Dopo i convenevoli si rimette al lavoro per finire di cucinare. Spadella con una velocità impressionante e usa le mani con la destrezza di uno scultore. Vederla all'opera è uno spettacolo. E contemporaneamente parla, racconta e sorride. In quel momento penso che questa di parlare e usare le mani per fare delle cose allo stesso tempo sia una dote non comune a tutti. Avete mai provato a cantare e suonare una chitarra contemporaneamente? I cantautori lo fanno sembrare facile come connaturato all'uomo. Ma vi assicuro che non è così. Le dico che da questo incontro ne voglio trarre un pezzo. Perché io sono uno che scrive. O almeno ci provo. Lei sorride per nulla imbarazzata e continua a preparare. Intanto mi presta un carica batterie per il mio telefono che sembra funzionare. Mentre penso che l'estate dovrebbe essere un momento adatto al digiuno telematico per disconnettersi con il mondo virtuale e vivere quello presente e vivo, fatto di vento, sole, sudore, ghiaccioli che sgocciolano sulla pelle arsa dalla calura e un bel bicchiere di birra gelata bevuta davanti al mare. Birra Dreker (Dreher), come la chiamano i muratori delle nostre parti nell'altosalento pugliese. Mentre sta mettendo l'acqua per la pasta a bollire mi mostra sul suo smartphone un video in cui si sente uno strano sgranocchiamento in sottofondo mentre ad essere inquadrata è una delle due granceole che ha preparato ( ancora viva). Sorridendo buffamente dice che quel rumore è quello di una chele della granceola che ha voluto assaggiare cruda, come si conviene a chi ama cucinare il pesce. Ridiamo tutti e due, perché è esattamente lo spirito che deve avere un vero chef specializzato nel cibo di mare...deve assaggiare un pezzo di mare prima di cucinarlo. Tutti gli chef che si rispettino dovrebbero assaggiare qualcosa di crudo che si apprestano a cucinare. E senza essere Anthony Bourdoin, il celebre cuoco autore di "Kitchen Confidential". Intanto il rosato è nel freezer e mentre l'acqua è lì sul fornello a fuoco lento, perché deve bollire al momento giusto, ci sediamo in tavola per l'antipasto a base di cozze crude. Al centro ci sono delle alici marinate preparate in precedenza. Apriamo il rosato. Da fuori attraverso le persiane, nella penombra continua a giungere una brezza ritemprante. Mentre apre le cozze nere tarantine alla velocità di Flash Gordon, sorride della mia imbranataggine nel farlo. Io proprio non ci riesco. Dico che mio padre mi ha un po' castrato sul mangiare le cozze crude, per paura di tifo ed epatite. Lei mi guarda con quel sorriso sbarazzino da cui capolinano i denti bianchi esaltati dall'abbronzatura di stagione e dice-già fatti. Piano piano mi insegna ad aprire le cozze , ma non è semplicissimo. Sembra una lezione di scuola di cucina. Poi mentre le apre, sempre rapidamente, mi dice che quelle che all'interno hanno un colore che non la convincono le getta via. E fa tutto questo con una velocità manuale impressionante. Io comunque le cozze crude la mangio, così, alla crudele. Non lo avevo mai fatto e mi ero perso qualcosa di unico, intenso, emozionante. E' come assaporare il mare, la sua anima. Del resto la cozza è un filtro. Ma mi piace pensare che trattenga dolori e ardori degli abitanti dei mari. Le alici poi anno un sapore speciale. Le finiamo in un battibaleno. E assaporiamo il rosato. Dopo un po' serve le granceole, in un piatto al centro, l'una d fronte all'altra. Le racconto che in Brasile, dove sono stato in vacanza molte volte, avevo partecipato a parecchie caranguejadas, caratteristiche mangiate di granchi giganti lessi a puntino di cui si mangia la tenera polpa bianca presente nelle chele che si rompono a bella posta con martelletti di legno. Lei con la rapidità di un gatto, mi dice-già fatto io, sono semi crepate, puoi aprirle con le mani. Divorata la polpa passiamo al carapace e...sorpresa, all'interno del carapace c'è il ripieno. Presumo composto da pan grattato , uova, prezzemolo e gamberetti. Delizioso. Mentre gustiamo le granceole, una foto in bianco e nero incorniciata e appesa in alto sulla parete a destra mi colpisce. Ritrae un uomo giovane su una moto. Mi ricorda un po'Alberto Granado, amico di Che Guevara nella sua avventura in giro per l'America Latina raccontata dal Che stesso ne "I diari della motocicletta". Una motocicletta che i due amici avevano battezzato con il nome di Poderosa. E' mio padre, dice Anna, con un'espressione lievemente nostalgica in viso...è stato lui a insegnarmi a mangiare il mare crudo. Dice proprio così, Anna. Nel corso della conversazione mi racconta un po' della sua carriera nel mondo della gastronomia. Iniziata per una passione sin da piccola e poi diventata un lavoro. Oltre a gestire un ristorante di sua proprietà ,l'Odissea, sito proprio in basso alla cinta muraria del quartiere Terra del centro storico di Ostuni, ha avuto esperienze professionali intense al Grand Hotel Rosa Marina, sempre di Ostuni, presso il ristorante L'Intento, a Torre Santa Susanna(Br), presso l'Hotel Monte Sarago, ad Ostuni. Stanca di occuparsi interamente della gestione del suo ristorante lo ha dato in affitto ad altri ristoratori, dice, e offre ora i suoi servigi presso la Masseria di Borgo San Marco, in territorio di Fasano(Br). Ha perfezionato la sua cucina, molto personale , intuitiva, sbarazzina, primitiva e ardita, seguendo corsi con importanti chef come Giorgio Nardelli , Giancarlo Schettini e Fabrizio Sangiorgi. Non ha mai voluto, per il momento, accettare lavori troppo lontani dalla sua amata terra, perché non potrebbe fare a meno del suo mare. E dei suoi odori e sapori, unici e percepibili così intensamente solo vivendoci accanto. Ma in futuro potrebbe anche cambiare lidi. E portare la sua arte in luoghi dove far rivivere gli stessi odori e sapori a cui si è abituati potrebbe essere una sfida stimolante. Il piatto di linguine di grano duro e astice al sugo, che normalmente avrebbe stroncato chiunque, a quel punto del pranzo, è così saporito e gustoso che lo spazzolo via con un appetito come fossi all'inizio. Sotto gli occhi soddisfatti di Anna. Intanto arrivano telefonate da suoi collaboratori. La avvisano del numero di persone per cui cucinare in serata. Fra un po', mi dice, devo andare. Ma sono contenta di averti avuto a pranzo...io gli uomini li prendo per la gola, mi fa...e sorride beffarda...Suo padre dalla foto con quel sorriso alla Kerouac sembra approvare.

lunedì 10 aprile 2017

Ispirazioni, Rime ed Esperienza, di Benedetto Putomatti , Europa Edizioni

Giorni fa , presso il Circolo Culturale Metromondo , in via Appennini, a Milano, sono stato alla presentazione di un libro di poesie. L'autore, Benedetto Putomatti, un esordiente, sedeva su una delle sedie sistemate in circolo nel Circolo( scusate il play of words involontario), alle presenza di una trentina circa di persone. Con una certa timidezza ma audacia, al tempo stesso, e scandendo bene parole e ragionamenti, ha spiegato i motivi che lo hanno spinto a scrivere un libro di poesia. E ,in modo netto, dai suoi ragionamenti, ho colto l'essenza di ciò che attiene ad un animo poetico. Mettendo insieme in un crogiolo , esperienze di vita vissuta ma anche letta, perché la lettura è un aspetto della vita vissuta, in aggiunta, vieppiù, a momenti di canzoni ascoltate e poesie recitate, ha cominciato a scrivere dei testi assemblati secondo la propria musica interiore. Così, come mosso dall'invisibile musa dell'arte. Mano mano che i foglietti su cui scriveva i suoi componimenti aumentavano, spinto e incoraggiato da Gino Perri e Daniela Napolitano, animatori del circolo e militanti dell'associazionismo più autentico e disinteressato della scena milanese, si è lasciato convincere dall'idea di poterne ricavare un libro di poesie. Come ha molto ben spiegato con la sua voce calma, lo sguardo quasi estatico, in questo stanzone dell'associazione pieno di libri e dischi usati o donati , pieno di vita, di "tazzate" di bicchieri di vino rosso , focacce di compagnia e sogni puntualmente infranti dalla truce realtà pragmatica dell'associazionismo indipendente che tale vuol restare, mosso da quell'audacia che solo i coraggiosi posseggono, ha cominciato a leggere alcuni di quei componimenti. Subito l'atmosfera intorno si è riempita di emozione. Ecco, appunto, la poesia è , credo, emozione; e trasmettere ,per iscritto o recitando, versi che , scorporati dal frusto tran tran produttivistico quotidiano e messi lì davanti ad occhi assuefatti ai divi della Società dello Spettacolo ed ascoltati da orecchie quasi non più abituate a distinguere il grano dal loglio, facciano riflettere, suona un po' come il dono di una indispensabile preghiera laica. Io auguro a Benedetto Putomatti ogni fortuna e mi complimento con lui perché anziché lamentarsi del fatto che per scrivere( e farsi leggere) in Italia sia come per tutte le cose e che ci vogliono padrini e padrinaggi politico-economici, infischiandosene bellamente, ha scritto e pubblicato le sue poesie. E sono belle. Qui di seguito mi piace riportarne una: Vita di città Le moto corron per le vie/tra i palazzi/delle periferie/come razzi/che acrobazie/son ragazzi!/Donne e motori/il lavoro e la carriera/tanti rumori/la vita e la riviera/tacchi e splendori/arriva la sera/vecchia con il cane/il carrello del supermercato/un'offerta, fame/la casa, il bucato/la zuppa per il pane/i ricordi del passato/impiegato in linea/assunto a progetto/fino alle 8 di sera/500 euro per un tetto/amore se verrà/di tutto rispetto/scuola per bambini/matite, quaderni/museo dei girini/compiti odierni/merenda coi panini/discipline alterni/concerto di strada/gente che accorre/occasione rada/conoscenze incorre/musica o spettacolo cada/divertirsi occorre.

mercoledì 21 dicembre 2016

Il tropico del maresciallo, nuovo libro di Danilo Coppola

Il maresciallo Gabriele Santoro, è un uomo di mezz'età, di origine pugliese, Alto Salento ( per la precisione di Ostuni, come chi scrive questo romanzo), e presta normalmente, da alcuni anni, servizio ,presso la sezione omicidi della caserma dei Carabinieri di via della Moscova a Milano. Negli ambienti investigativi è piuttosto famoso per alcune prerogative curiose, che comprendono una costante sofferenza colitica che tenta di sedare con un consumo quotidiano di quantità industriali di camomilla, un grande amore per la buona musica, dalla classica al jazz latino, soprattutto, e per le buone letture, anche di un certo spessore, di cui si avvale nella sua particolare filosofia investigativa:Santoro sostiene che le filosofie di vita dei personaggi dei romanzi e le speculazioni filosofiche, in generale, che sfociano spesso nella formulazione di teorie e formule, sono governate dagli stessi criteri di un'indagine dal vivo sul campo.Vanta il 100% dei casi risolti. Un'anomalia, nel panorama investigativo italiano.Ama , oltre che l'arma dei Carabinieri, la Costituzione del suo paese, che pone sopra ad ogni altra prerogativa persino nel suo lavoro. Motivo per cui molti dei suoi superiori lo ritengono indisciplinato, o "strano", comunque "non conforme". Cosa che lo lascia spesso sarcasticamente sorpreso. Ama inoltre la buona cucina, che essendo un single impenitente, lo porta a realizzare per il proprio palato piatti prelibati specie della gastronomia pugliese, ma non solo. Cammina spesso a piedi e per le indagini preferisce taxi e mezzi pubblici invece che un proprio mezzo privato. Apparso per la prima volta in un romanzo dal titolo, "Al maresciallo piace la buona musica", edito per le Edizioni del Tamburino,ricompare adesso in questo nuovo racconto, che lo vede protagonista di una storia incredibile addirittura in Brasile. Due anni prima delle vicende narrate nel libro in parola, "Il tropico del maresciallo"( ed. Youcanprint), il maresciallo Santoro aveva perso la sua compagna, un'avvenente brasiliana di colore che si chiamava Vanessa De Almeida Conceicao, sacerdotessa candomlecista, tra le altre cose, pare in un incidente di autobus, mentre era in visita presso la propria famiglia nello Cearà, stato nel nordest del continente verdeoro. Le circostanze di quell'incidente non avevano mai del tutto convinto il maresciallo pugliese, il quale, dopo due anni di sogni premonitori in cui la sua ex gli appariva sia pure in modo sfumato come se gli chiedesse di ristabilire la verità vera, oltre quella ufficiale e troppo facile fornita dalle autorità brasiliane, decide di chiedere un periodo di aspettativa per svolgere un indagine per proprio conto in loco. Questo l'antefatto del mio nuovo romanzo che porterà il maresciallo Santoro(per la prima volta alter ego animato di vita propria rispetto ai miei precedenti scritti più evidentemente autobiografici) a contatto con la cultura Brasiliana , esplorandola in alcuni dei suoi più avvincenti e misteriosi aspetti, a partire dal Candomblè, culto religioso afro nato dal mix dei culti animisti importati dagli schiavi neri africani e miti e santi della religione cattolica,via via a contatto con tutti gli strati di quel continente dall'antropologia multiforme e multiculturale, correndo rischi di ogni genere, scontrandosi con bande di pedofili e spacciatori di droga, magnati televisivi , conoscendo poeti e musici di strada, prostitute dal cuore d'oro e "curandere" di strada, in un corredo di esperienze affrontate sempre con il suo caratteristico umorismo venato spesso di sarcasmo, vero valore aggiunto e pozione salvavita, persino nelle traversie più difficili da affrontare , nel corso di questa storia. Buona lettura

mercoledì 12 ottobre 2016

Glamorama, Bret Easton Ellis, rece

Negli spazi delle pause del lavoro leggevo Glamorama, libro di ben 731 pagine dell'enfant prodige della letteratura statunitense Bret Easton Ellis. Enfant prodige a sentire le testate giornalistiche di tutto il mondo pagate dai suoi editori per recensire positivamente un libro inutile, lontano parente di Meno di Zero e di American Psycho, che pure mi erano piaciuti. American Psycho, per esempio è la storia di un omosessuale represso che vive le sue pulsioni sessuali facendo l'etero fico con prostitute e o donne dell'ambiente degli yuppies anni ottanta newyorkese. Ma le descrizioni del mood newyorkese di quegli anni , lo sguazzare nel denaro facile, l'uso disinvolto della cocaina, per quanto mi concerne, lo si ritrova tutt'oggi in una qualsiasi serata milanese spleen . L'irruzione di questo serial killer , Patrick Bateman, che in Glamorama appare in una scena e saluta Viktor Ward,lo stinto protagonista di questo pastiche spionistico-noir ambientato nel mondo della moda, aveva dato ad America Psycho la stura per dire che la letteratura americana avesse un nuovo protagonista. Glamorama seppellisce quelle speranze. In questo romanzo , chiamiamolo così, Viktor Ward seminoto divo del mondo della moda newyorkese, modello e attore, perso fra studi televisivi, interviste , spinelli e "pezzi", come si chiamano di questi tempi le dosi di coca,figlio di un noto senatore, frequenta una modella di nome Chloe. Per qualche motivo qualcuno trucca delle foto che lo ritraggono in atteggiamenti affettuosi con un'altra donna e Clhoe apprende dell'esistenza di queste immagini. Fra uno spinello , un tiro di coca, una sigaretta, un wiskej e via discorrendo, s'intende. Che letto in pausa dal lavoro dopo che uno ha venduto arredamenti a gente che continua a dirti che ha figli che dirigono qualcosa , non si sa che cosa, ma giusto per dirti che sono importanti e puerpere che si sentono ancora in cinte e non sanno decidersi di che colore vogliono armadio e scrivania, puo' avere il suo fascino e spingerti a pensare che in fondo chi si droga non sia tanto peggio delle persone che considerano se stesse, normali.Le vite dei due virgulti della moda american style anni '90 si perdono di vista e Viktor Ward viene coinvolto in una storia di ammazzamenti di fotomodelli gay asiatici in odor di sadomasochismo e in scene di sesso, descritte da Breton Ellis ,minuziosamente. L'ho già detto in più occasioni anche rispetto a 50 sfumature di grigio, questi libercoli da niente spinti dalla battage (sarebbe meglio dire battuage)pubblicitario o, per dirla con Ellis dal potere dell'hype del marketing , che vorrebbero apparire scandalosi e attirare l'attenzione di lettrici da parrucchiera che si scandalizzano nell'apprendere che le palline cinesi legate ad un cordino non sono uno strumento masochistico per percuotere ma una cosa che si infila nelle parti intime per godere, sono semplicemente folklore, paragonati alla vera letteratura scandalosa del marchese De Sade. Basta leggere le 120 giornate di Sodoma per farsi un'idea precisa dell'esistenza in natura di un corredo di opzioni e varianti sessuali talmente vasto , che De Sade, tra l'altro, in forma di romanzo, tipicizza, fornendo tra l'altro basi solide alla psicanalisi ancora di là da venire, nella sua epoca. Un pioniere, antesignano della psicanalisi e dell'antropologia delle classi abbienti ed esploratore di tutti gli ambiti della psiche umana riguardo al sesso. Il tutto reso con una scrittura elegante , efficace e per nulla volgare. Chi lo volesse leggere comincerebbe a guardare i libercoli di cui sopra come buoni per alimentar fiamme di caminetti montani.Più che di conoscenze in un qualsiasi campo. Ma torniamo a Glamorama, andando avanti nel racconto un fantomatico mister Palakon offre a Viktor in cambio di denaro un viaggio a Londra al fine di svolgere un'indagine su Jamie, anch'essa fotomodella, che risultava scomparsa , per conto della di lei famiglia. Insomma, per farla breve, al termine di una miriade di episodi conditi di descrizioni stucchevoli di sesso a gogo' anche bisessuale in cui Ellis annuncia al mondo quello che in America Psycho aveva appena accennato, insomma di essere gay(ecchesarà mai), Viktor Ward apprende che dietro questo viaggio c'è la macchinazione di suo padre, il senatore, che non approva il suo stile di vita nel momento in cui sta decidendo di candidarsi alla Casa Bianca(si chiamerà così perchè è la casa della cocaina?). E qui c'è la conferma che molti libri sono scritti sotto la spinta di disagi familiari. Un mio carissimo amico nonchè collega di lavoro mi ha detto una volta che continuare a leggere un libro che non ti sta piacendo , dal momento che la nostra vita è breve e dobbiamo cercare di godere del bello il più possibile prima di percorrere le verdi praterie degli al di là indiani, rappresenta un esercizio di puro masochismo. Io non sono d'accordo, dal momento che questo libro ricco di niente, mi ha fatto superare pause di lavoro in cui dovevo dimenticare che la fauna umana che popola il nostro pianeta spesso fa letteralmente schifo ( e senza drogarsi)e mi ha fatto comprendere(accettare mai) realtà per me incomprensibili. Come quella che vede milioni di persone acquistare e leggere un libro così brutto. Danilo Coppola

venerdì 30 settembre 2016

Siddhartha di Hermann Hesse, una recensione

Lo avevo letto anni fa ma non mi aveva lasciato delle grandi tracce. Ci sono libri che bisogna rileggere per capirne il senso compiuto o per scoprire se ti hanno lasciato qualcosa. Questa seconda rilettura di Siddhartha, dello scrittore tedesco naturalizzato svizzero Hermann Hesse, mi ha lasciato un po' cosi, come dire disorientato. Hermann Hesse pesca a pieno nelle letture dei saggi religiosi e dei libri sapienziali indiani , in particolare e orientali in generale. Il protagonista del breve romanzo, Siddhartha, appunto, non si sa se incidentalmente uno dei nomi del Buddha, che invece nel racconto viene citato con il solo nome di Gotama, e' il figlio di un Brahmano, un sacerdote , un saggio, un uomo savio. Ma Siddhartha se ne allontana insieme al suo fedele amico , Govinda,per seguire le pratiche ascetiche dei sadhana. Cosa che a suo padre non va certo a genio. Dopo molti anni di pratica presso i sadhana , Siddhartha, che cerca un proprio io che definisce Atman, l'equivalente dell'anima nelle religioni induiste, principio di se stessi ed eterno ritorno in noi stessi, si potrebbe dire, non e' pero' soddisfatto dell'apprendistato presso gli asceti. Un giorno incontra Gotama, il Buddha, un uomo saggio che dopo una lunga meditazione sotto un albero di mango, che in realta' doveva essere di fico, albero che e' presente in tutte le religioni come spettatore di svolte ecumeniche epocali, vedi Giuda che si impicca ad un albero[ ma mi direte, certo, a cosa si sarebbe dovuto impiccare , all'epoca, ad un palo dell'alta tensione?], Odino, il Dio delle religioni mitologiche scandinave, per apprendere la conoscenza resto' appeso ad un albero nove giorni e nove notti, si crede un albero d frassino, per non parlare di Gesu' e della parabola del fico sterile[che non era una premonizione su qualche famoso vip che non riesce ad avere figli], vive numerose sue preesistenze e si risveglia con in mente ben chiara una nuova religione, una nuova filosofia. Basata sulla consapevolezza che vivere, di per se', e' doloroso. Buddha e' il primo uomo che si pone il problema dell'annientamento del dolore che di per se' genera vivere, cioe' vedere i tuoi cari morire, il tuo corpo invecchiare ed ammalarsi, i tuoi desideri, abusati nel tempo, spegnersi. E ritiene che la massima forma di annientamento del dolore sia impedire il samsara, l'eterno ciclo della reincarnazione in esseri viventi di varia natura e specie, destinati e rivivere all'infinito, finche' non vivono in modo virtuoso:retto parlare, retto mangiare, retto meditare, rette pratiche sessuali...il che non vuole necessariamente dire mortificanti pratiche ascetiche, ma vivere a cavallo fra una vita satanica, da rifiutare in toto, e una angelica ottenuta attraverso la mortificazione del corpo. Mi viene da ridere mentre scrivo perche penso che se Buddha avesse ragione, in cosa dovrebbero incarnarsi certi nostri politici o esponenti di viplandia. Non lo saprete mai. Anche perche' condurro' un esistenza virtuosa e non rinascero' piu', estinguendomi nel Nirvana, il paradiso dei buddhisti, la non piu' rinascita , il mai piu' samsara. Ok, spero di essermi spiegato abbastanza in questa mia piccola dissertazione sul buddhismo. Ma torniamo a Siddharta, egli ha l'ardire di dire a Gotamo, cioe' Buddha, che lo rispetta, ma che lui sta cercando altro. E vediamo , con lo scorrere delle pagine cosa sta cercando Siddhartha. In sequenza lo vediamo incapricciarsi di una prostituta d'alto bordo, tale Kamala, la quale lo spinge a diventare ricco, se volesse, il nostro eroe ricorrere ai suoi servigi. Gli cerca un posto di lavoro presso un ricco commerciante, Kamaswami, e presto diviene suo socio e altrettanto abbiente. Cosi Kamala si concede completamente e lo istruisce nell'arte dell'amore, del trattenere a se' un uomo piu' a lungo possibile. Siddharta attaversa fortune alterne, diviene giocatore d'azzardo, perde denari, li vince, li riperde, li riguadagna. Ma ad un certo punto, quella ricerca dell'io, dell'Atman, dai meandri piu' reconditi della sua coscienza, lo richiama a se'. Abbandona Kamala e il suo socio commerciante e ritorna nel bosco. Vuole tornare povero, semplice, ritornare all'essenziale, pensare, resistere, digiunare. Presso il fiume incontra un barcaiolo con cui fa amicizia e che era lo stesso che lo aveva traghettato quando aveva abbandonata i samhana. Questa volta parlano piu' a lungo e Vasudeva, un uomo semplice che deve la sua grande saggezza, oltre che alla semplicita' all'ascolto del fiume, sua personale divinita', lo invita a restare. I due uomini si legano di affetto fraterno finche' un giorno, in circostanze misteriose, presso la loro dimora, sosta, in viaggio per una conversione alla nuova religione di Gotamo, il Buddhismo, Kamala. E'in compagnia di suo figlio. L'incontro e' gravido di emozione, ma non succede niente di succulento, non solo perche' Siddhartha e' ridiventato un sadhana ma anche perche' lei ha deciso di non esercitare piu' la nobile arte del meretricio. Poco dopo Kamala viene morsicata da un serpente velenoso e muore nella capanna dei due, non prima di aver svelato a Siddharta che quel ragazzo e' anche suo figlio. Siddhartha prende in carico il figlio, il quale viziato com'era[fatto che testimonia la validita' del samsara se si prendono ad esempio gli attuali figli dello smartphone , qualcuno dei quali sara' sicuramente un figlio di Kamala], non riesce ad instaurare alcun rapporto con il padre. Anzi lo rifiuta e lo insulta ripetutamente e nonostante Vasudeva inciti Siddharta a fargli un bel pagliatone educativo, di fronte alla reazione compassionevole dell'amico, allarga le braccia e si prepara al peggio.Il figlio infatti fugge e Siddhartha cerca di rintracciarlo, ma senza riuscirci. Alla fine Vasudeva lo persuade che in fondo suo figlio gli assomiglia, che ha fatto come lui con suo padre, ha scelto la sua strada per conto suo, come e' giusto che sia. La conclusione e' molto commuovente e se soffrite di pressione alta o di problemi cardiaci, saltatela. Anche perche' Siddharta incontra Govinda, che nel frattempo s'era perso per strada divenendo discepolo di Gotamo , abbracciando la sua dottrina e fra i due c'e' uno scambio intenso, attraverso il quale ripercorrono vicendevolmente le proprie vite...e uno si aspetta un finale a sorpresa, un finale pirotecnico...Finale che non tradisce le attese...dal momento che non c'e' un finale. Bene, buona lettura e perdonate certe mie licenze cabarettistiche, non vi aspetterete la solita recensione seriosa e noiosa da me? Anch'io cerco il mio atman e spero di trovarlo fra i vostri sorrisi e il vostro ridestato, per la lettura, interesse.

mercoledì 21 settembre 2016

La scuola della carne, Yukio Mishima, una recensione

Ho letto questo libro di Mishima, il grande scrittore giapponese, sorta di Pasolini giapponese, con un certo sconcerto. Il linguaggio usato dall'autore e' breve , stringato e inusualmente contemporaneo, al contrario della sua elegante prosa classica alla Proust, ricca pero' di imbizzarrimenti dati dalla provocatorieta' degli argomenti. Forse la scrittura e' costituita di frasi brevi perche' piu' che un romanzo si tratta di un racconto. Taeko, avvenente trentanovenne separata ricca professionalmente a causa del possesso di un avviato atelier di moda, fa lega con altre due donne della stessa eta' , staus ed estrazione sociale, una critica cinematografica e la titolare di un ristorante chic. Insieme hanno inaugurato il comitato Toshima, organismo immaginario che esiste convenzionalmente fra loro e che fa da sfondo ai loro incontri e racconti di vita di cui si mettono reciprocamente a parte. Nel Giappone postbellico la naturale riprovazione sociale per queste donne separate, grazie ai nuovi costumi importati dalla cultura americana per cui il denaro funge da lavacro di una vita svolta nel peccato ,viene stemperata, riproporzionando, che dire, ricollocando,agli occhi della societa', in modo accettabile, queste tre donne in ambiti di un certo prestigio. Donne,le quali sembrano approfittare del loro benessere economico per condurre una vita agiata e frequentare luoghi chic, ma anche alternativi. In uno di questi loghi alternativi, un gay bar, Taeko conosce un giovane avvenente, Senkichi, che far il barman in quel luogo . Fra di loro nasce quasi subito un legame torbido, la quarantenne si innamora appassionatamente e nonostante la sua parte razionale combatta contro quella passionale, alla fine la bella trentanovenne cede inopinatamente alle alchimie muscolari del giovane, infischiandosene delle implicazioni perverse che pure avrebbe comportato frequentare un verde virgulto che cedeva le sue grazie a uomini di ogni risma [ sia pure per denaro] .Nel racconto , ripeto, inferiore alle aspettative del Mishima che conosco, si possono godere le fiondate dell'autore giapponese alla cultura occidentale. Gli americani, giovani e vecchi, vengono definiti brutti e con la pelle di pollo, al contrario dei giapponesi che vengono esaltati , soprattutto in senso estetico, quanto deprecati nella sottomissione ai costumi occidentali. Solo gli italiani, concede Mishima, come poetica dei corpi, possono competere con i giapponesi, bonta' sua. La storia fra Taeko e Senkichi va avanti in modo strano e subisce delle trasformazioni, i due si concedono piu' autonomia e indipendenza nel rapporto, un legame che si riaccende nelle battaglie del letto e si stempera nelle lunghe session ai videogiochi del giovane adone nipponico, mentre l'affascinante quarantenne non disdegna delle buone letture. Mano mano che le cose vanno avanti pero' Taeko comincia ad essere insoddisfatta di questo legame, vuole aiutare il giovane a compiersi come individuo , abbandonando la sua vocazione parassitaria, e lo spinge a riprendere gli studi. Cosa che Senkichi non fa in modo concreto, fino al giorno in cui lei scopre che lui la tradisce. La tradisce , pero', non con il cuore, ma con l'ambizione di guadagnarsi uno status sociale rispettabile corteggiando la giovane figlia di una famiglia molto in vista e ricca, la figlia di una cliente, ironia della sorta, del suo atelier. Lo sviluppo della storia e' stupefacente e bizzarro e ribalta , cosa che avviene in tutti gli scritti di Mishima, la sua collocazione politica in un alveo culturale appartenente alla destra, storica , sociale e culturale, facendolo assurgere per l'ennesima volta a pensatore originale e indipendente, trasvalutatore dei "nuovi valori consumistici", in nome della necessita' del rispetto delle antiche tradizioni[Samurai compresi]. Teruko, un travestito che frequentava lo Hyacinthe{da Giacinto, amato follemente da Apollo], locale dove lavorava Senkichi, prima di fare il mantenuto di Taeko e che quel giovane conosce bene, di fronte ai tormenti d'amore di Taeko, si commuove e le fornisce delle prove che potrebbero rovinare il legame ancora fragile inaugurato da Senkichi con la giovane vergine ereditiera. Le consegna delle foto compromettenti che ritraggono Senkichi in pose lascive con alcuni suoi clienti.E in cambio non le chiede nulla. E' questo il momento piu' commuovente del racconto, incentrato sul legame tutto femminile fra la donna e Teruko, il quale ribalta tutti gli stereotipi riferiti alla "gente della sua specie" , di cui anche il Giappone e' intriso, comportandosi come qualcuno che ama l'amore e lo rispetta in ogni sua forma, molto piu' di quanto venga rispettato dai cosiddetti rispettabili nella forma che essi pensano sia esplicato da gente "della sua risma".La conclusione, per rispetto dei lettori e dell'autore, scrittore che amo e che , lo ripeto, da' il meglio di se' in altri scritti, la lascio alla buona creanza di chi avra' la curiosita' di leggere questo scritto comunque appassionante.